Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 03 Agosto 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41923

 

Concludiamo il nostro viaggio nell’intrigante mondo delle esternalità nascoste dedicando un pò di attenzione ad altri attori protagonisti. Parliamo di pezzi grossi: l’Inghilterra e gli Stati Uniti. E di un attore non protagonista, anzi, di una controfigura senza volto: l’Europa.

 

L’Inghilterra non si era mai posta il problema della esternalità ambientale, finchè la Thatcher negli anni ’80 non decise che era il momento di chiudere i conti con l’industria estrattiva del carbone. Fu allora che, in concomitanza con temperature più alte della media (ma che seguivano un periodo relativamente freddo in cui si gridava alla glaciazione imminente), la teoria del global warming da CO2 fu rispolverata e usata come una clava contro i minatori. Il primo, mirabile caso dell’uso del concetto di esternalità ambientale per secondi fini. Ma con il fine ultimo, e piuttosto singolare, di dare avvio al tumultuoso sviluppo del fenomeno socio-politico legato al circo del global warming. In altri termini, la nuova vita dell’allora vecchia e snobbata teoria dell’effetto serra, comincia proprio per l’esigenza di creare una esternalità da combattere, con la Thatcher.

Ad onore della quale va detto che nel 2003, a molti anni di distanza, la Lady di Ferro rinnegò con veemenza il supporto dato in passato ai doomsters, i “profeti della fine”, che accusò di esagerare nel creare paure come quelle legate all’innalzamento dei mari, sostenendo piuttosto l’importanza di fattori naturali come l’attività solare. Di più, la Thatcher arrivò a irridere Al Gore e l’inutilità di schemi economicamente costosi e dannosi per ridurre le emissioni di CO2 a fronte dei pericoli molto maggiori, esiziali, posti dal ritorno ciclico di eventi glaciali. Arrivò anzi a riconoscere come la scienza si fosse messa al servizio di una agenda liberal-democratica anti-capitalista, con l’effetto ultimo di minacciare il progresso e il benessere dell’umanità (Telegraph, 2010).

Era il 2003, quando la Thatcher scriveva queste cose. Oggi, 13 anni dopo, la classe politica attuale dimostra di non avere un grammo dell’onestà intellettuale di una leader politica che, nel bene e nel male, ha cambiato per sempre le sorti economiche e industriali del Regno Unito. La palla è passata agli elettori che, non dimenticando la sofferenza e il disagio, la miseria e la disoccupazione derivate dalla de-industrializzazione forzata del nord dell’Inghilterra, sono andati a votare per lasciare una Europa vista come imbelle se non come diretta responsabile del declino economico, sociale e industriale del loro Paese.

Sorvolando su fatti apparentemente secondari ma singolari, come la performance brillantissima della Borsa di Londra nel dopo-Brexit, resta il fatto che a latrare contro i traditori inglesi sono proprio i pasdaran delle esternalità economiche ambientali: i giocolieri della finanza creativa della City che si trastullano con i bond verdi e gli investimenti “etici” perennemente in perdita, e i paladini dell’informazione mainstream: protesta la City, protesta Stampubblica, il NYT e tutti i media liberal del Pianeta concordi nel dire, in modo più o meno raffinato e motivato, che gli inglesi se ne sono andati, fondamentalmente, perchè imbecilli.

Invece no: tra i tanti motivi, se ne sono andati anche perchè l’esternalità ambientale che ha contribuito a desertificare industrialmente il loro Paese non è bastata a giustificare gli enormi sacrifici sostenuti, a prevalente vantaggio di un mondo finanziario visto dal cittadino medio come fonte di grande ricchezza per pochi e di miseria e vessazione per troppi. Si potrebbe dire che l’esternalità ambientale si è rivoltata contro chi l’ha usata e continua tuttora ad usarla, giocando una partita essenzialmente politica che le masse intravedono sempre più chiaramente attraverso la nebbia e il fuoco di sbarramento di slogan più o meno triti.

In un gioco di specchi apparentemente infinito e comunque deleterio, esternalità chiama esternalità: de-industrializzo, incremento la disoccupazione, aumento il costo dell’energia per compensare un danno presunto, ma così facendo genero una ennesima esternalità, molto più concreta, dove il danno economico arrecato al produttore o consumatore meno “virtuoso” non è riparato in nessun modo. Con l’effetto surreale di creare, partendo da una finta esternalità sottesa a fini politico-economici, una esternalità vera, perchè non compensata.

Gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono il convitato di pietra, in questo viaggio nelle esternalità nascoste. E lo sono perchè, fatalmente, sono il paese dominante, in un mondo non ancora veramente multipolare. Ci sono gli Stati Uniti, dietro al Giudice Supremo, per effetto dell’inevitabile potere di persuasione all’interno del circolo delle Nazioni Unite. Ci sono gli Stati Uniti, dietro ai periti che fabbricano e alterano le prove in modo sistematico come al NOAA. Ci sono gli Stati Uniti, dietro gli accordi che mettono l’Europa in una condizione di nuova e più costosa dipendenza energetica per ridurne una esistente, ma decisamente più vantaggiosa.

Ma questo articolo non vuole e non può fare un processo agli Stati Uniti. Perchè non si può accusare un paese per il fatto di proteggere i propri interessi, usando delle legittime armi di pressione se c’è qualcuno, dall’altra parte, che gode nel farsi infinocchiare. Tanto più che si parla di un paese che è leader nella ricerca, nella finanza, nell’industria bellica, nella democrazia e nella difesa della libertà.

Perchè sarà pure singolare, ma è altrettanto rivelatore il fatto che proprio gli Stati Uniti sono il paese in cui in materia di global warming c’è una vera dialettica. Negli Stati Uniti si può essere scettici senza essere bruciati sul rogo mediatico di Stampubblica o ghigliottinati del proprio lavoro di meteoman televisivo. Ancora di più: negli Stati Uniti si può criticare aspramente il NOAA, fino ad avviare una inchiesta per indagare sulla falsificazione metodica dei dati meteo per fini politici.

È proprio quello che sta succedendo, e di cui non parla nessun giornale mainstream italiano (vi sfido a dimostrare il contrario): i Repubblicani hanno chiesto l’apertura di qualcosa di simile ad una commissione di inchiesta, allo scopo di verificare che le manipolazioni di Karl et al. (2015) non siano state deliberatamente condotte allo scopo di soddisfare l’agenda democratica basata sul “moriremo tutti salvo che”. I Democratici, ovviamente, si sono opposti vigorosamente, prendendo le parti degli scienziati salvatori dell’umanità. Ma lo scontro è talmente violento che i Repubblicani hanno richiesto l’equivalente di una rogatoria per sequestrare le email scambiate dai salvamondo del NOAA, ed usarle come prova finale dell’avvenuto tarocco per fini politici. I salvamondo, ovviamente, si sono rifiutati sdegnati (washingtonexaminer.com 2015). Ci si chiede cosa abbiano da nascondere se, come dicono, sono solo degli scienziati filantropi, e nient’altro.

…E l’europetta

Ma mentre negli Stati Uniti si discute e ci si divide, e così facendo si fa capire ai propri cittadini che non esistono verità assolute al di sopra di ogni sospetto (e di ogni interesse), nella pavida europetta tutta burocrati e distintivo si accoglie il verbo dell’esternalità climatica come una fatale necessità, una medicina amara da propinare ai propri cittadini ritenuti evidentemente stolti, quando non semplicemente male informati. Mettere in dubbio il global warming è eresia, negazionismo: un termine prima d’ora usato solo per fatti molto più gravi e tragici di questi.

La dialettica climatica in Europa non esiste, al netto di piccole eccezioni giornalistiche come il Telegraph. Non esiste per tanti motivi: per sottomissione preventiva all’alleato di sempre, come in un riflesso pavloviano. Non esiste per pigrizia ed ignoranza, perchè informarsi costa fatica, mentre conformarsi è gratis. Non esiste forse perchè, a differenza degli Stati Uniti, questa Europa sente di non avere interessi reali da difendere a parte quelli del suo, di attore dominante: la Germania. lo scenario è infatti quello di un tessuto industriale in veloce disfacimento (con la felice eccezione tedesca, ma a spese dei vicini); di una abdicazione a qualsiasi substrato di valori comuni fondanti: storici, religiosi o etici che siano; di uno sfaldamento delle più elementari regole di convivenza civile, e di una attenzione maniacale a tematiche di alta risonanza mediatica ma di nessun impatto sulle vite della maggioranza dei cittadini.

Tutti questi elementi finiscono per esporre i paesi europei all’imposizione di esternalità dettate da altri, esternamente o internamente alla stessa Unione. Un esempio tra tutti: l’inopinata cancellazione del South Stream, la linea che avrebbe dovuto portare il gas russo in Italia, aggirando l’Ucraina e mettendoci così a riparo dalle interruzioni di fornitura da parte delle autorità ucraine in perenne lite con quelle russe. Progetto cancellato dall’Unione Europea che, adducendo motivazioni a dir poco burocratiche, ha pensato bene di cancellare il progetto mentre era già in fase di realizzazione, arrecando un danno gravissimo e doppio all’Italia, sia perchè il contrattista destinatario del contratto era un’azienda italiana (Saipem) sia perchè l’Italia avrebbe accresciuto il suo ruolo strategico di hub del gas in Europa. Il tutto per poi veder rispuntare dopo qualche mese una versione aggiornata dello stesso progetto qualche centinaio di km più a nord, sotto la forma del raddoppio del North Stream per portare il gas…indovinate dove? In Germania (ilsole24ore.com 2016).

 

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Fig.1 Il South Stream (cancellato) e il North Stream (da raddoppiare?) Fonte: www.leblogfinance.com

 

Conclusione

L’aver provato ad analizzare il climate change alla luce del concetto economico della esternalità, pur con tutti i suoi limiti, ci ha permesso di sottolineare un aspetto importante, e non certo rivoluzionario: la narrativa del global warming, la minaccia di fine imminente con il suo circo itinerante di doomsters e i requiem intonati dai media asserviti possono essere visti, semplicemente, come un mezzo per portare avanti delle agende politiche ed economiche che con il clima non hanno niente a che vedere.

Che di politica, si tratta. E infatti, piuttosto che strapparci i capelli dinanzi alle pubblicazioni mensili delle palle rosse del GISS-arrosto, litigare per qualche centesimo di grado in più o in meno, o per qualche kmq in più di ghiaccio artico sciolto, forse dovremmo, semplicemente, guardare alle elezioni americane. In cui una candidata si propone di mantenere lo status-quo persistendo nell’imposizione di esternalità climatiche, mentre l’altro candidato si propone di distruggere questo ed altri paradigmi del mainstream: “upset the applecart”, resettare tutto e ricominciare da qualche altra parte. Con tutti i rischi e le incognite che tale cambiamento comporta.

Saranno le elezioni americane a decidere le sorti degli asserragliati del NOAA, dell’IPCC e dei loro sherpa mediatici a difesa del Fort Apache del tarocco-a-fin-di-bene, contro gli indiani ignoranti, iconoclasti e negazionisti. Sarà Hillary a salvarli, rifornendoli di nuovi e più potenti armamenti, o The Donald a mandarli al massacro per sostituirli con forze fresche e più compatibili con le sue idee sul global warming che ha liquidato, nel suo stile, come una pura e semplice truffa: “Global warming? A hoax”.

Che di politica si tratta. E a ben vedere, la vera esternalità da risolvere, e la causa della gran parte dei mali del mondo, è proprio la produzione di cattiva politica. Che arreca danni enormi a (quasi) tutti e, soprattutto, non compensati: nè economicamente, nè in altro modo.

 

Puntate precedenti:

Parte Prima (anche su AS)

Parte Seconda (anche su AS)

Parte Terza (anche su AS)

 

Bibliografia

Karl T.R., Arguez, A., Huang, B., Lawrimore, H.R.,  McMahon, J.R., Menne, F.J., Peterson, T.C., Vose, R.S., and Zhang, H. “Possible artifacts of data biases in the recent global surface warming hiatus”, Science, vol. 348, pp. 1469-1472, 2015.

Pireddu, G., 2002. Economia dell’Ambiente. Milano: Apogeo.