Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 15 Dicembre 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=43040

 

A prescindere da quale sia la vostra idea sul global warming e i suoi derivati, se questa idea è supportata da un po’ di conoscenza della materia, saprete che il problema, quando si parla di clima e di tempo meteorologico, è sempre nella misura, cioè nell’osservazione dei parametri che li descrivono. Con riferimento al clima, inoltre, non c’è solo la difficoltà di disporre di misure attendibili, omogenee e sufficientemente rappresentative di tutta la superficie del pianeta oggi, ma c’è anche e soprattutto l’enorme difficoltà di rapportare queste misure alle poche informazioni di cui si dispone per il passato.

Però, la tecnologia avanza per fortuna, e presto o tardi, con l’impiego dei sensori montati a bordo dei satelliti la nostra capacità di osservazione – già molto migliorata – diverrà anche più affidabile e ci metterà a disposizione delle serie storiche sufficientemente longeve da poter essere definite stabili. L’ultimo esempio dell’utilizzo dei sensori montati a bordo dei satelliti viene dalla NASA, che ha presentato al meeting dell’AGU in corso in questi giorni un programma di misura della quantità di calore contenuta negli oceani attraverso la misura delle modifiche che la distribuzione del calore impone al campo magnetico terrestre.

Modifiche molto piccole ma, a quanto pare, sufficienti ad avere un dato di prossimità (non si tratta evidentemente di una misura diretta, ma derivata) con caratteristiche di omogeneità spaziale diversamente irraggiungibili con sensori tradizionali.

La faccenda è senz’altro interessante, ma fa anche sorgere una domanda spontanea. I sensori montati a bordo dei satelliti sono sempre di più e misurano sempre più cose. Alcuni come accennato poco fa sono molto giovani e ci vorrà tempo perché i risultati di queste misure possano assumere significato. Però ci sono quelli di prima generazione che misurano la temperatura dell’atmosfera, compresi gli strati più bassi, da oltre 30 anni. Però quando si tratta di parlare di riscaldamento globale, nessuno li usa.

Sarà perché quei dati mostrano un trend di aumento della temperatura molto inferiore a quello stimato con i dati superficiali?

Questo grafico viene da www.climate4you.com, una inesauribile fonte di dati. La curva blu rappresenta i dati satellitari della bassa troposfera, quella rossa quelli superficiali. In presenza comunque di un trend di aumento nel lungo periodo evidente in entrambe le serie, a partire dai primi anni 2000, la differenza tra i due dataset (grafico in basso) è andata via via aumentando. In pratica il dato meno omogeneo e con maggiore necessità di interventi di omogeneizzazione spaziale e correzioni, quindi maggiormente soggetto ad incertezza, mostra un rateo di aumento molto superiore. A mio parere significa che la qualità dei dataset superficiali sta peggiorando, nella migliore delle ipotesi. Però, ripeto, nessuno usa i dati satellitari. Qualcuno ha una risposta?