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Data di pubblicazione: 05 Ottobre 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=46001

 

Forse qualcuno con un po’ di anni sulle spalle se la ricorda, quella pubblicità della Telecom (allora SIP) in cui una ragazzina flirtava al telefono col moroso: “Mi ami? Ma quanto mi ami? E mi pensi? Ma quanto mi pensi?” E si intrometteva la madre: “Ma quanto mi costi! Sei in teleselezione!” La stessa scena sarebbe attuale oggi con le seguenti modifiche: un salvamondo ambientalista parla con un pannello solare a cui dichiara il suo amore incondizionato, mentre il signor Rossi dà un’occhiata all’ultima bolletta elettrica, e smadonna di conseguenza.

Il signor Rossi è in buona compagnia, perché dell’aumento della bolletta elettrica ci siamo accorti in tanti. Quello che in tanti non conoscono, è il motivo dell’aumento del costo dell’energia in Italia. In passato gli incrementi delle tariffe sono stati attribuiti soprattutto all’inflazione e al costo degli idrocarburi, ma sono giustificazioni non più attuali: l’inflazione è sparita dai radar, mentre i prezzi degli idrocarburi sono crollati da alcuni anni. Il punto è che ci sono altre voci nella bolletta che hanno comportato un aumento delle tariffe. Una su tutte: la componente A3.

La componente A3 è stata pensata per far pagare direttamente ai consumatori il sostegno alle fonti energetiche rinnovabili. Da sola, tale componente nel 2013 valeva circa il 93% di tutti gli oneri di sistema, e quasi il 20% dell’intera bolletta elettrica, l’equivalente di circa 90 euro all’anno per una famiglia media. Contributo ulteriormente cresciuto tra il 2013 e il 2016, di quasi il 30%. Il bello è che questa componente è praticamente sconosciuta alla quasi totalità degli utenti.

 

Fig. 1. Incremento della componente A3 per varie tipologie di consumatore domestico. Fonte

 

 

Contribuenti inconsapevoli

Un questionario in materia ha raccolto risultati desolanti sulla consapevolezza del consumatore: solo il 47% è a conoscenza di un contributo alle rinnovabili caricato in bolletta. Tra i consumatori informati, la maggioranza (il 64%) si dichiara contraria a sovvenzionare le rinnovabili attraverso un extra-costo in bolletta. Chi ignora l’esistenza del contributo in questione, si dichiara invece contento all’idea di pagarlo… Nel complesso, consapevoli e inconsapevoli sottostimano di circa il 50% l’entità del contributo in questione. Detta in altri termini, non solo la maggioranza dei consumatori non è al corrente dell’esistenza dell’obolo, ma tutti indiscriminatamente ne sottostimano notevolmente il peso in bolletta: contribuenti inconsapevoli nel senso più pieno della definizione.

Ma quanto vale, in soldoni, questa super-tassa del 20% (praticamente una seconda IVA) ideata per sovvenzionare pannelli e mulini a vento? Un’enormità: nel 2016 il contributo A3 è ammontato a 14.6 miliardi di euro: l’equivalente di una manovra economica dolorosa. Se si sommano i contributi versati tra il 2003 e il 2016 parliamo di quasi 80 miliardi di euro. Tanto per rendere l’idea, circa 40 volte l’importo dell’eurotassa pagata dagli italiani per entrare in Europa (e per altro, in parte restituita).

 

Fig. 2. Evoluzione del fabbisogno economico A3.

 

Questione di scelte

Spillare dalle tasche di un contribuente più o meno inconsapevole 80 miliardi di euro per sovvenzionare il rinnovabile è una scelta ovviamente e assolutamente legittima. Una scelta che ci ha regalato pale eoliche e pannelli in quantità, tanti dei quali tecnologicamente immaturi e con efficienze assolutamente ridicole rispetto a quello che offre oggi il mercato. Questa scelta ci ha regalato qualche posto di lavoro in più, prevalentemente nel campo dell’installazione e della commercializzazione, mentre la fetta più grossa della torta è rimasta altrove, là dove i pannelli si fabbricano (e sono ultra-sovvenzionati): ovvero quasi esclusivamente in Cina.

È tuttavia legittimo chiedersi cosa si sarebbe potuto fare, con quegli 80 miliardi. Che a valori correnti corrisponderebbero a qualcosa di più, all’incirca a quei 90.1 miliardi di euro stimati per la realizzazione di 25 opere prioritarie nel 10° Rapporto per la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici. Un libro dei sogni per l’ammodernamento, la messa in sicurezza o la realizzazione di opere infrastrutturali come strade, autostrade e ferrovie, tra cui opere indispensabili per un Paese che voglia dirsi civilizzato, come gli interventi sulla rete ferroviaria siciliana.

Ma la lista degli investimenti alternativi per quel tesoretto da quasi 100 miliardi è praticamente infinita. Qualche esempio:

  • Interventi in materia di dissesto idrogeologico
  • Edilizia scolastica
  • Interventi su acquedotti e bacini idrici
  • Investimenti nella ricerca
  • Sgravi fiscali
  • Pagamento dei debiti dello Stato verso le aziende (ad oggi, circa 65 miliardi)
  • Aiuti alle famiglie
  • Ammortizzatori sociali
  • Incentivi all’occupazione giovanile

Solo alcuni esempi di investimenti virtuosi che creano posti di lavoro, producono gettito fiscale, sono socialmente utili, regalano ossigeno ad un apparato produttivo stremato e promuovono lo sviluppo economico del Paese rendendolo più efficiente e più sicuro.

 

E invece?

E invece no:

  • Si è deciso di spendere una montagna di miliardi per regalare al Paese una fonte di energia non costante, poco affidabile, difficilmente gestibile ed economicamente insostenibile.
  • Si sono creati posti di lavoro limitatamente al settore dei servizi, e senza benefici sostanziali per il manifatturiero. Posti di lavoro che la sospensione della manna dei Conti Energia rischia di spazzare via in buona parte.
  • Si è deciso di regalare alla bilancia commerciale Italiana un extra-deficit monstre, legato alla massiccia importazione di pannelli prodotti all’estero (e a loro volta sovvenzionati con gigantesche operazioni di dumping da parte di paesi terzi).
  • Si è calata la mannaia sulle centrali di generazione elettrica convenzionali, alcune delle quali nuove di pacca e a bassissime emissioni, costrette a lavorare a singhiozzo per regalare la precedenza alle fonti alternative, con le inevitabili inefficienze che questo comporta. Il disastro di Sorgenia è prima di tutto conseguenza di questa politica.
  • Si è deciso di spendere ulteriori risorse per sovvenzionare gli idrocarburi attraverso i “capacity payments”: scelta indispensabile, pena la perdita della componente di generazione elettrica affidabile e costante nel tempo.
  • Si è deciso di appesantire in modo drammatico le spese a carico della manifattura italiana: una industria prevalentemente di trasformazione, sulla quale la bolletta elettrica ha un impatto enorme. Ché evidentemente non era stato fatto già abbastanza danno al manifatturiero italiano con l’imposizione di una valuta comunitaria troppo forte e la politica sfacciata e impunita di violazione sistematica delle regole europee sul deficit commerciale da parte della Germania.

 

Harakiri

In altre parole, si è fatto un gigantesco harakiri industriale, economico e sociale. E in ragione di cosa? Di campagne ambientaliste ottuse e pelose all’insegna del global warming e dei suoi fratelli, basate sulla minaccia di disastri collegati alle emissioni di CO2 che la realtà dei fatti relega a fake news indimostrabili e anzi clamorosamente smentite, nei fatti, dal global greening e dall’aumento della produzione agricola: regali accertati della CO2, in barba ad ogni narrativa salvamondista.

Stendendo un velo pietoso (in questa sede) sui reali interessi economici e geopolitici che sottendono alla narrativa salvamondista e all’ossessione di decarbonizzare a tutti i costi, resta un dato difficile da smentire: quegli 80 miliardi (che diventeranno molti di più con l’aggiunta dei contributi presenti e futuri della componente A3) sono stati una gigantesca opportunità perduta, un sunk cost ormai irrecuperabile e un monumento al masochismo economico e industriale che ha contraddistinto l’ultimo trentennio.

Uno scempio iniziato negli anni ’80 con lo smantellamento di centrali nucleari appena costruite, proseguito con politiche di deindustrializzazione forzata, sfociato in un NIMBY talebano che ha trasformato anche la sola posa di un tubo in un’impresa titanica, e concluso, ciliegina sulla torta, con una furia iconoclasta pseudo-ambientalista che nel nome del Dio Pannello ha sacrificato benessere, sviluppo economico, occupazione e speranza nel futuro. Bolletta energetica carissima, manifattura nazionale devastata, infrastrutture da terzo mondo, dissesti idrogeologici irrisolti, acquedotti colabrodo, disoccupazione ed emigrazione di ritorno. Per qualche pannello in più.

Il declino industriale, sociale ed economico di un Paese passa anche attraverso una decrescita (in)felice scandita da tambureggianti campagne pseudo-ambientaliste e salvamondiste. Se non vogliamo vederlo, oggi, mentre lo viviamo sulla nostra pelle, lo leggeremo più avanti, sui libri di storia. Quando sarà troppo tardi, per tutti.