Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 31 Dicembre 2019
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=52099
Ogni anno, all’approssimarsi dell’annuale Conferenza delle Parti, l’IPCC pubblica un rapporto speciale, il cui scopo è quello di dare basi scientifiche ai lavori della Conferenza. Anche quest’anno è stato pubblicato un corposo rapporto che ha per oggetto lo stato e l’evoluzione degli oceani e della criosfera. Per evidenti problemi di tempo, mi sono occupato solo del capitolo dedicato a quella che è stata una mia passione da sempre: il livello del mare e la sua variazione:
Chapter 4: sea level rise and implications for low-lying islands, coasts and communities
Leggere un rapporto dell’IPCC è sempre un’esperienza interessante anche se piuttosto faticosa. Il primo ostacolo da superare riguarda il glossario utilizzato dagli autori. Trattandosi di un rapporto di tipo scientifico, uno immagina che esso sia scritto nella “lingua della matematica” per usare una citazione di G. Galilei. Nei rapporti IPCC sembra però che i numeri facciano un po’ paura. Questo che mi accingo a commentare, non fa eccezione. In questa prima parte mi limiterò a commentare il Riepilogo Esecutivo, ovvero quella parte del rapporto in cui si sintetizzano i contenuti sviluppati negli altri punti. In genere il riepilogo è destinato ai decisori politici ed a tutti coloro che non hanno voglia di invischiarsi nella parte più tecnica e, forse, questo è il motivo per cui i numeri latitano.
Uno dei pilastri su cui si fonda la scienza è la quantificazione delle proprietà di un certo fenomeno. Questa quantificazione può essere effettuata in modo deterministico o probabilistico. Nel primo caso si ottiene un numero assoluto, nel secondo un numero che rappresenta la probabilità che un certo evento accada o non accada. La probabilità che un certo evento si verifichi nel modo in cui noi ci aspettiamo (evento favorevole) è rappresentata da un numero compreso tra zero ed uno e, molto più spesso, dalla corrispondente percentuale. Se lancio una moneta, ho il 50% di probabilità che il risultato sia testa o, il che è lo stesso, ho una probabilità di 0,50 che esca testa.
L’IPCC non utilizza numeri per definire la probabilità di un evento, ma delle “definizioni standardizzate”. Bisogna, quindi, tradurre le definizioni standardizzate in numeri e non sempre la cosa è immediata. Per quel che mi riguarda è un modo sciocco di rendere ancora più ermetico un contenuto che lo è di per se, ma è una mia opinione.
L’IPCC è “praticamente certo” che il livello del mare sia in aumento. Ciò significa che la probabilità che il livello del mare stia aumentando, è maggiore del 99%. Fino a qua le cose filano. Qualche problema comincia a sorgere per le probabilità più basse. Bisogna ricordarsi ogni volta che se si parla di “media confidenza” o di evento “incerto” la probabilità è compresa in una fascia piuttosto ampia che, grosso modo, oscilla intorno al 50%: praticamente equivale al lancio di una moneta.
Tutto ciò premesso, vediamo cosa è scritto nel Riepilogo Esecutivo. Secondo gli autori e, quindi, l’IPCC, è quasi certo che il livello del mare stia aumentando e, cosa molto più interessante, esiste elevata sicurezza che stia crescendo la velocità con cui esso aumenta: in pratica l’aumento del livello del mare sta accelerando. Diciamo che la probabilità che ciò stia accadendo realmente è molto alta: superiore al 90%. Questo sulla base delle misure altimetriche e mareografiche. Non sono molto d’accordo, ma della cosa ci occuperemo in altra sede, per ora supponiamo che il livello del mare aumenti e che questo aumento avvenga in modo più rapido, mano a mano che passa il tempo. Il problema è quello di accertare le cause di questo aumento della velocità di variazione del livello del mare.
Il Rapporto dell’IPCC sostiene che la variazione del tasso di aumento del livello del mare sia dovuta al riscaldamento globale e, precisamente, alla dilatazione termica della massa oceanica, alla variazione del tasso di scioglimento delle calotte glaciali terrestri e del regime delle acque invasate a terra. Fino a qui non ho molto da obiettare, in quanto quelle descritte sono le grandezze fisiche che determinano il livello del mare e sono conosciute anche come componente sterica (dilatazione termica) e componente di massa (le altre due).
L’IPCC non fa ricerca in proprio: si limita a recensire le ricerche condotte da scienziati e pubblicate sulle riviste scientifiche. Ebbene, sulla base delle ricerche prese in considerazione dai revisori dell’IPCC, il livello del mare deve crescere in un mondo più caldo. A questo punto le mie opinioni cominciano a divergere da quelle dell’IPCC e ciò non sulla base di idee preconcette, ma dei numeri indicati dallo stesso IPCC. Stando a quanto scritto nel report, infatti, nell’ultimo interglaciale (tra 116.000 e 129.000 anni fa) le temperature globali erano più calde di oggi da 0,5°C a 1°C ed il livello del mare era da 6 a 9 metri più alto di quello odierno. Se andiamo a guardare il grado di incertezza di queste conclusioni, ci accorgiamo che ciò che sta scritto nel report, limitatamente a questa circostanza, è stato accertato con una probabilità compresa tra il 50% ed il 66%. Un po’ bassa o è una mia impressione?
Qualche era geologica prima dell’ultimo interglaciale e, precisamente nel Periodo Caldo Medio Plocenico (tra 3,3 e 3 milioni di anni fa), le temperature globali erano più calde di quelle odierne da 2°C a 4°C ed il livello del mare era più alto di oggi di circa 25 metri. Questo è stato accertato con un basso livello di confidenza. Diciamo che la probabilità che sia così, oscilla intorno al 20%.
A questo punto qualcosa non mi torna. Sembrerebbe, infatti, che da fatti caratterizzati da probabilità di accadimento oscillanti tra il 20% ed il 66% (per ben che vada), deriviamo la certezza (probabilità di accadimento maggiore del 90%) che in un mondo più caldo il livello del mare salirà a causa dello scioglimento delle calotte glaciali terrestri. E poi ci si meraviglia che alla COP 25 non hanno voluto dare il benvenuto a questo rapporto, così come alla COP 24 non lo vollero dare a quello di 1,5°C. Nel frattempo si strilla a destra ed a manca che la scienza è chiara, ma sono i politici che non vogliono capire. In particolare si dice che essi “non hanno paura” a sufficienza. Mi sembra difficile avere paura con questi numeri.
A questo punto potrebbe sembrare inutile proseguire nella lettura, ma non è vero perché nelle pagine successive si scoprono molte cose interessanti. La prima riguarda le conseguenze dell’aumento del livello del mare. Un livello del mare più alto dovrebbe causare degli eventi estremi più frequenti. Tali eventi estremi possono essere individuati in maggiori livelli di marea (acqua alta a Venezia, per esempio), aumento della frequenza di allagamenti di aree costiere (lagune, aree urbanizzate ed industrializzate), invasione delle falde idriche destinate ad usi potabili ed irrigui. Grossi problemi potrebbero aversi anche per le piccole isole, ovvero gli atolli corallini che si trovano a poche decine di centimetri al di sopra dell’attuale livello del mare. In contraddizione solo apparente con quanto discusso in precedenza, questi eventi sono da imputare per una percentuale significativa anche ad altre cause, diverse da quelle climatiche. L’IPCC individua queste cause nella subsidenza delle aree costiere a seguito dell’eccessivo emungimento di acque dalle falde freatiche, nell’alterazione degli ambienti costieri per far posto alle attività antropiche, nell’aumento della popolazione residente sulle sponde oceaniche e via cantando.
Sembra di capire, pertanto, che gli effetti dei cosiddetti eventi estremi legati al livello del mare, siano amplificati dalle mutate condizioni delle coste e dalla loro eccessiva urbanizzazione. In altre parole essi potrebbero incidere nell’immaginario collettivo molto più che nel passato, a causa dei maggiori effetti distruttivi su beni immobili e mobili che in passato non esistevano. Ovviamente questa è una mia considerazione, desunta dal report, ma non espressa in esso. Diciamo che l’aumento del livello del mare è solo una concausa dell’aumento degli eventi estremi che sono imputabili ad esso.
Si passa, quindi, dalle osservazioni alle previsioni e qui, ovviamente, le cose si complicano. Date le premesse, appare scontato che le previsioni siano basate sui famigerati scenari di emissione elaborati da IPCC. Nel report si fa riferimento a due scenari: lo scenario RCP2.6 (quello più “virtuoso” caratterizzato da una drastica riduzione delle emissioni ed allo stato poco realistico) ed allo scenario RCP8.5 (quello meno “virtuoso” in quanto caratterizzato da un aumento incontrastato delle emissioni e, quindi, altrettanto poco realistico).
Per questi due scenari estremi viene individuato il livello del mare al 2100. Sotto lo scenario più favorevole, il livello del mare dovrebbe aumentare di circa 0,43 m (media tra 0,29 m e 0,59 m), mentre sotto lo scenario meno favorevole l’aumento medio dovrebbe essere di 0,84 m (media tra 0,61 m e 1,10 m). Tutto ciò con un livello di confidenza medio che, tradotto in termini numerici, corrisponde a qualcosa come 50% di probabilità di accadimento. Da notare che questi valori sono maggiori di quelli riportati nel Quinto Rapporto IPCC, ma è aumentato l’intervallo di incertezza. Ancora una volta devo sottolineare che tutte le peggiori profezie di sventura legate all’aumento del livello del mare, sono caratterizzate da livelli di probabilità di accadimento relativamente ridotte.
Chi ha avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto, certamente si ricorderà che avevamo parlato di due contributi all’aumento del livello del mare: quello sterico e quello di massa. Soffermiamoci sul secondo. Sulla base di quanto scritto nel report IPCC, il contributo dell’Antartide all’aumento del livello del mare nel 2100, potrebbe arrivare fino a 28 cm, con un livello di confidenza medio, cioè con probabilità di accadimento intorno al 50%.
Concludendo il discorso, possiamo affermare che il livello del mare sotto i vari scenari di emissione, potrebbe aumentare dei valori indicati da IPCC con una probabilità di circa il 50%.
Resta, comunque, un’incertezza di fondo: sono giuste le quantificazioni delle definizioni standardizzate fornite in questo articolo? Io presumo di si, ma qualcuno potrebbe contestare questo mio modo di agire. Rispetterei la sua opinione, per il semplice fatto che la mia e la sua sono equivalenti: stiamo interpretando il pensiero dell’IPCC. Non sarebbe stato meglio esprimersi in termini numerici, invece che in termini qualitativi? Certamente, ma vuoi mettere il fascino delle parole con l’aridità del numero?
E, per finire, un breve cenno alle metodiche di adattamento agli eventi estremi legati al livello del mare. Essi sono di diversi tipi. Si va dalla ricostituzione dell’ambiente costiero originario (lagune, dune coperte di vegetazione e simili), allo spostamento di interi gruppi di popolazione, alla realizzazione di sbarramenti artificiali e via cantando. Ognuna di queste soluzioni ha i suoi pro ed i suoi contro, ma rappresenta un modo per poter affrontare il problema.
I redattori del rapporto non nascondono che tutte le soluzioni di adattamento proposte non possono essere considerate risolutive, ma consentiranno di guadagnare tempo, in attesa che le misure di mitigazione possano avere effetto. Questo richiede, però, ingenti investimenti (diverse decine di miliardi di dollari all’anno) e può acuire le differenze sociali e di genere tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, per cui è necessario che tutte le iniziative siano inquadrate entro una cornice regolamentare ben precisa.
A questo punto chi ha avuto modo di seguire le vicende della COP 25 appena conclusa, avrà l’impressione che queste cose le ha lette nei resoconti della vicenda. Non si tratta di un’impressione, ma è la realtà: i rapporti IPCC hanno lo scopo di fornire una base scientifica alle politiche proposte dalle Nazioni Unite negli incontri multilaterali, per cui non bisogna stupirsi se nei rapporti scientifici si parli di politica socio-economica, di parità di genere, di diritti delle minoranze e di ripartizione di risorse oltre che di ridistribuzione di ricchezza. Analogamente non bisogna stupirsi se le discussioni politiche ed economiche nelle COP, sono fortemente intrecciate a problematiche di carattere scientifico. Scienza, politica ed economia sono, infatti, le facce di uno stesso poliedro.