Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 02 Luglio 2020
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=53067
Sembra ieri, ma sono passati esattamente due anni da quando su questo Blog è comparso il post in cui si decretava la “Morte del Global Warming”. Ne sono successe di cose, in questi due anni. Non solo in termini di fatti concreti, ma ancor più in generale in fatto di “clima”, laddove con questo termine si vuole intendere, metaforicamente, l’ambiente politico, sociale ed economico in cui siamo immersi.
Al termine di quel post si scriveva: “morto un Global Warming, se ne farà semplicemente un altro”. E così è stato: il Global Warming è di nuovo tra noi, si chiama “Crisi Climatica”, e con la scienza e la politica non ha più niente a che vedere.
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Due anni fa si evidenziava il cambiamento della scena politica che fino ad allora aveva fatto da cornice alla declinazione mainstream del Global Warming: la vecchia generazione di leader che aveva visto nell’ambientalismo catastrofista una delle banderuole con cui sostituire il vecchio armamentario ideologico, cedeva il passo a nuovi leader. A personaggi controversi che promettevano di rimettere al centro la persona e i grandi temi del passato come il lavoro, l’occupazione, il benessere, piuttosto che i concetti del tutto astratti e intrinsecamente disumani dell’ideologia politically correct di cui il climacatastrofismo è pilastro portante.
Dal punto di vista dell’agenda politica, il Global Warming appariva davvero alla frutta. Troppi, e troppo gravi erano i problemi economici e sociali accumulati dall’inizio della grande abbuffata del globalismo finanziario. E al cospetto di quei problemi, quanto potevano valere elettoralmente, le solite sarabande ambientalistoidi e salvamondiste? Ben poco, quando il problema diventa trovare un lavoro, dar da mangiare ai propri figli, vestirli. E lì è successo qualcosa. Che si può far coincidere con un evento apparentemente piccolo, insignificante. Lessicale.
La neo-lingua
Esattamente un anno fa, il Guardian annunciava la necessità di usare un nuovo linguaggio, a proposito del Global Warming: da allora in avanti si sarebbe parlato di “crisi climatica” e “surriscaldamento globale”. Il cambiamento lessicale, in apparenza un ridicolo e disperato tentativo di portare ai massimi livelli la dose di allucinogeni per un paziente ormai assuefatto, si rivela invece come un segnale atteso, il nuovo scatto della bacchetta della direzione d’orchestra. Da quel momento è tutto un vociare di crisi e catastrofe climatica su tutti i media mainstream del Globo, per non parlare della politica, della finanza, e persino di organismi tradizionalmente neutri come corti costituzionali o ambienti religiosi.
È proprio in quel momento che irrompono protagonisti nuovi, e pesanti. Nel Dicembre del 2019, per esempio, Mark Carney (allora presidente della Bank of England) si lanciava in anatemi climatisti da far impallidire Greta: una vera e propria marea di eco-balle catastrofiste con tanto di innalzamenti degli oceani di 9 metri, temperature in aumento di 4 gradi, 800 milioni di persone sinistrate e quant’altro. Il tutto declinato rigorosamente nella neo-lingua del Guardian: “Direi che siamo in una Crisi Climatica. È arrivato il momento di agire”. Ovviamente lo slancio di Carney era del tutto disinteressato: nemmeno il tempo di lasciare la BoE e già era pronta la cadrega di consolazione: “Inviato speciale delle Nazioni Unite per la Climate Action”.
La voce di Carney non poteva rimanere isolata, perché appena tre settimane dopo il suo intervento, ecco irrompere Larry Fink, CEO di BlackRock (il più grande fondo di investimento mondiale), anche lui fresco di laurea in neo-lingua climatista: “La Crisi Climatica cambierà la finanza”.
Ghe pensi mi
Quando il boss di un fondo di investimento da 7 trilioni di dollari (7,000,000,000,000 …dodici zeri uno di fila all’altro) mette figurativamente il broncio e la treccina bionda, e annuncia urbi et orbi la necessità di dirottare quantità incalcolabili di denaro sul nuovo business del Green, allora il messaggio diventa chiaro anche per i più deboli di comprendonio: signore e signori, è nata una stella. Anzi, è nata una bolla: l’ennesima nella storia recente della finanza globalista scassata che ormai domina il Pianeta a colpi di Quantitative Easing e stampa infinita di fiat money. È una bolla verde, promette di salvarci dall’arrostimento globale, ma soprattutto promette profitti a tanti zeri a chi quella bolla intende gestirla in prima persona.
Proprio così, perché la resurrezione del Global Warming sotto le rinnovate forme della “Crisi Climatica” sottende ad un tema fondamentale: la destituzione de-facto della classe politica come intermediario privilegiato tra gli interessi della grande finanza, e il popolo. A rileggere gli eventi con il senno di poi, si resta infatti con la sensazione che ci avesse provato per anni, la grande finanza, a nascondersi dietro le figure di politici più o meno convincenti nel ruolo di salvamondisti. Ci ha provato, ma ha fallito. La “Crisi Climatica” e la decrescita (in)felice non sono argomenti attraenti per un elettore mediamente impoverito, preoccupato, e spaventato dalla crisi economica e sociale. Sono argomenti da pance piene. Non portano voti, semmai li fanno perdere.
Celebrato frettolosamente il funerale di una classe politica immolata sull’altare brucia-consensi del salvamondismo ambientalista (è proprio questo, il senso del post di due anni fa), i veri padroni del vapore sembrano aver deciso di non correre più il rischio di puntare su una sponda politica per poi ritrovarsi dalla parte sbagliata a causa delle bizze degli elettori. Certi investimenti hanno bisogno di prospettive sicure, e di lungo termine. Affidarle alle incognite di una tornata elettorale è un azzardo inaccettabile.
La politica tradizionale non serve più. A scendere in campo è un nuovo partito: mondiale, globalista, ricchissimo, di non-eletti: quel Partito di Davos che si precipita sulle nevi svizzere ogni anno con uno stormo di aerei privati a spellarsi le mani per gli applausi davanti ad un’adolescente con le treccine che li insulta perché fanno troppo poco contro la Crisi Climatica. Controllano la stragrande maggioranza dei media mondiali, molti dei quali direttamente, e li usano a mo’ di Pravda per formare le opinioni della gente. Esercitano un potere straordinario sui singoli paesi comprando e vendendo il debito sovrano e modificando gli spread di conseguenza. Agiscono attraverso lobby ben organizzate che amoreggiano con organizzazioni sovra-nazionali imponendo agende che, in cascata, sono rovesciate sui Paesi che a quelle stesse organizzazioni appartengono.
Neanche gli scienziati servono più. Hanno portato acqua per tanti anni alla causa, in buona fede, fino a praticare esercizi scientificamente controversi: revisioni di dataset del passato, output modellistici basati su premesse e assunti senza senso, e tanto, tanto altro di cui su questo Blog si è discusso per anni. Ma anche per loro la condanna a morte è arrivata a mezzo stampa: da quando la Pravda ha decretato che il Global Warming era “Scienza Consolidata”. Un ossimoro vero e proprio, perché una scienza “consolidata” non può esistere: si chiama dogma, o pensiero unico.
La “crisi climatica” non è più argomento di dibattito scientifico, perché la temperatura del Pianeta si rifiuta di crescere come da previsioni dei modelli, e il consenso scientifico si assottiglia di conseguenza. Il tempo del dibattito è finito, ora è solo tempo di aprire i portafogli.
Quattro parole, un Brand New World
La riqualificazione lessicale del Global Warming in “Scienza Consolidata” aveva preceduto mediaticamente di qualche anno l’invenzione della “Crisi Climatica”. Quattro paroline che in poco tempo hanno cambiato completamente il mondo del climambientalismo: i politici non servono più, troppo spesso perdono le elezioni e comunque non offrono garanzie sul lungo termine. Gli scienziati non servono più, hanno già dato e comunque non si possono esporre investimenti trilionari su scadenze decennali al rischio della scoperta scientifica.
Ed eccolo servito, il Brand New World della Crisi Climatica:
- Una informazione uguale per tutto il mondo, diversa solo nel formato e nella lingua, gestita da una finanza che la controlla direttamente: un megafono dove “l’emergenza climatica” è permanente.
- La figura dello scienziato usa-e-getta, utile a fornire la foglia di fico scientifica ad una causa prima di tutto economica, finché la causa stessa non diventa capace di autosostenersi.
- La sostituzione della figura del politico con quella della lobby che danza con gli organismi sovranazionali ottenendo il massimo risultato su un gran numero di paesi, con il minimo sforzo.
- Il conseguente stravolgimento del processo democratico dovuto all’imposizione di provvedimenti “salvamondo” attraverso organismi sovranazionali o comunque non eletti (ONU, UE, corti supreme, corti costituzionali, enti pubblici etc).
- La geniale invenzione del “movimento di protesta da riporto”, che si agita in piazza con l’effetto di sostenere inconsapevolmente gli interessi economici dell’ élite, a tutto danno della collettività.
E io pago…
Sarà la storia a dire se questa gigantesca operazione di “riconversione del modello di sviluppo” si configura realmente come una iniziativa volta a salvare il mondo, oppure come la prima e più chiara manifestazione di un livello superiore mondiale non elettivo ma “migliore degli altri”. Con un’unica certezza: a pagare sarà sempre il signor Rossi, perché il banchetto trilionario che si intende allestire con il Green New Deal sarà fatto a sue spese: attraverso nuove tasse e bollette energetiche sempre più insostenibili, e con l’effetto collaterale della distruzione di un intero sistema economico che per decenni aveva regalato lavoro, prosperità, benessere e conquiste sociali ai milioni di signor Rossi di questo (un tempo) fortunato angolo di mondo.