Di Salvatore Indelicato – Sabato 3 Agosto 2024
Fisico, laureato UNICT, ricercatore e divulgatore
Collaboratore di Attività Solare

Non è uno scherzo, ma l’ultima trovata da parte degli scienziati del clima angloamericani; visto che la riduzione della CO2 antropica non sta funzionando e la teoria AGW dell’IPCC dell’ONU sta rivelando la sua fallacia con i danni enormi inflitti all’economia europea e occidentale, allora una setta di ricercatori si è inventata la geoingegneria climatica!

Come funziona la geoingegneria climatica?

L’applicazione geoingegneristica giudicata maggiormente critica è la riduzione della radiazione solare (anche detta SRM, da Solar Radiation Modification). Consiste nel riflettere nello spazio la luce del Sole in modo da ridurre la temperatura della Terra, contrastando il riscaldamento causato dai gas serra.

Manipolare il clima per ridurre il riscaldamento globale non è una buona idea perché la complessità dei fenomeni naturali può ritorcersi contro e minacciare i fragili equilibri su cui si basa il clima. Senza l’ausilio di modelli matematici affidabili, in assenza di equazioni differenziali che includono tutte le variabili climatiche in gioco la modellizzazione computerizzata è assolutamente inaffidabile e neanche i più potenti elaboratori automatici possono offrire risultati previsionali affidabili.

La geoingegneria solare pretenderebbe di invertire l’aumento delle temperature terrestri in modo facile, economico e veloce. Mancano però evidenze scientifiche certe sui benefici, e anche i rischi sono ignoti. A fine giugno la Commissione Europea ha proposto cautela nell’affrontare il tema della geoingegneria, un termine ombrello che racchiude diverse pratiche per la manipolazione del clima della Terra e l’inversione del riscaldamento globale.

Si parte dal verniciare di bianco i tetti delle case, in modo che assorbano meno calore e riflettano parte della luce solare, e si arriva alla schiaritura delle nuvole marine e all’immissione di particelle di gas nell’atmosfera. Secondo Bruxelles, la geoingegneria pone “un livello di rischio inaccettabile per l’uomo e l’ambiente” perché non se ne conoscono le conseguenze di lungo termine. Ad oggi, peraltro, mancano sia gli studi scientifici, sia delle regole condivise a livello internazionale che uniformino questi interventi climatici.

Il metodo più discusso, nonché più sperimentato, ma in maniera disorganica e su scala ridottissima, prevede il lancio di palloni sonda che immettono nell’atmosfera qualche grammo di anidride solforosa, un gas dall’azione riflettente. Il processo, in poche parole, tenta di replicare artificialmente le conseguenze di un’eruzione vulcanica, nella quale viene per l’appunto rilasciata anidride solforosa; lo zolfo, quando raggiunge la bassa stratosfera, si converte in aerosol di solfati, che riflettono la luce solare (il contrario dell’effetto serra).


L’idea di fondo, quindi, è che se si mandasse nella stratosfera una quantità sufficiente di particelle di solfati si potrebbe ottenere un abbassamento delle temperature globali. La possibilità di manipolare il clima è controversa, e pone dilemmi etici – l’umanità ha il diritto di alterare deliberatamente e drasticamente la Terra, anche se ha il potere di farlo? – e dovrebbe invitare a un’attenta valutazione dei benefici e dei rischi.

Da una parte, infatti, l’iniezione di aerosol nella stratosfera non è complicata dal punto di vista tecnico (si utilizzano palloni o aerei) e potrebbe raffrescare notevolmente il pianeta nel giro di qualche anno appena: nessuna tecnologia per la riduzione delle emissioni è altrettanto semplice e porta risultati in così breve tempo. Dall’altra parte, non si conoscono gli effetti di uno stravolgimento di tale portata, che peraltro potrebbero interessare alcune zone del mondo più di altre.

Non bisogna sottovalutare gli effetti collaterali, come insegna un regolamento dell’Organizzazione marittima internazionale che si è trasformato suo malgrado in un esperimento di geoingegneria. Nel 2020 l’istituto ha imposto delle regole per limitare le emissioni di zolfo delle navi. L’esito ricercato, ossia la riduzione dei livelli di inquinamento, è stato raggiunto, ma si è anche verificato un risultato indesiderato.

Senza lo zolfo, le cosiddette ship tracks – un tipo di nubi che si formano attorno ai gas di scarico delle navi e che riflettono i raggi del Sole – sono diminuite e le acque dell’Atlantico settentrionale si sono riscaldate notevolmente. Lo scorso luglio la superficie di questa porzione d’oceano ha raggiunto la temperatura record di 25 gradi Celsius. “Per anni – faceva notare Science – l’Atlantico settentrionale si è riscaldato più lentamente rispetto ad altre zone del mondo” nonostante l’intenso traffico navale, o forse anche grazie a questo.

La questione di fondo sulla SRM è che mancano i dati. Qual è, per esempio, la temperatura media globale ottimale? Quali potrebbero essere – si domandano gli autori di un saggio sulla rivista Foreign Policy – le conseguenze sull’ozonosfera e sui monsoni? Vale la pena correre il rischio, se questo significa migliorare la vita ai paesi più esposti al riscaldamento globale?

Il punto è che non sappiamo quali siano questi rischi, e nemmeno i reali vantaggi. Gli esperimenti di geoingegneria solare sono troppo scarsi perché se ne possa trarre una qualche conclusione, e gli scienziati sono restii a procedere per via dell’opposizione pubblica: l’idea di “operare” sul clima per modificarlo artificialmente fa paura a molti. La cautela è comprensibile, ma c’è chi pensa che la serietà della crisi climatica ci obblighi a non escludere nessuna opzione.

La geoingegneria solare è rischiosa 

L’unico rischio certo è quello rappresentato dalla mancanza di regole condivise a livello internazionale sulla SRM. In loro assenza ciascun governo potrebbe decidere di procedere unilateralmente, con poco o nullo coordinamento con gli altri. Nel rapporto di sintesi di marzo 2023, l’IPCC (il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) ha scritto a questo proposito che “la mancanza di una governance solida e formale della SRM comporta dei rischi, in quanto l’impiego da parte di un numero limitato di stati potrebbe creare tensioni internazionali”. La geoingegneria potrebbe inoltre avere delle applicazioni militari.

Le regole sono importanti anche per frenare gli approcci fai-da-te delle aziende private. Il caso più vistoso è stato quello di Make Sunsets, una startup statunitense che nel 2022 lanciò dal Messico due palloni sonda per il rilascio di anidride solforosa nell’aria. L’intento era di natura commerciale, vale a dire la vendita di “crediti di raffreddamento” (simili ai più noti crediti di carbonio) alle società interessate a compensare le proprie emissioni.

Make Sunsets fece tutto questo senza consultarsi né con la comunità scientifica né con le autorità messicane. Il governo parlò infatti di violazione della propria sovranità, e ha poi annunciato la messa al bando della geoingegneria. I palloni della startup non erano dotati di strumenti di monitoraggio, quindi non è chiaro se le particelle abbiano effettivamente raggiunto la stratosfera. In ogni caso, le quantità trasportate erano comunque troppo basse – meno di quelle rilasciate da un volo transatlantico – per avere avuto un impatto concreto sul clima e sulla compensazione. Ciononostante, si teme che la mossa di Make Sunsets possa spalancare la porta alla geoingegneria commerciale prima ancora che la scienza e la politica internazionale si siano espresse sui processi e sugli standard.

Gli Stati Uniti hanno pubblicato un rapporto nel quale vengono definite le premesse di un ipotetico programma di ricerca sulla riduzione della radiazione solare. Pur specificando che non esiste l’intenzione di procedere in questo senso, è significativo che la Casa Bianca sottolinei l’importanza di possedere “la capacità di rilevare qualsiasi implementazione globale o regionale di Srm”. Ci sarà una corsa alle armi sulla geoingegneria? Una delle proposte più ambiziose e discusse nell’ambito della geoingegneria solare è il Marine Cloud Brightening (MCB), un approccio che mira a raffreddare gli oceani incrementando la riflettività delle nuvole sopra di essi.

Il concetto di Marine Cloud Brightening si basa su un principio semplice ma potente: aumentare l’albedo, o la riflettività, delle nuvole marine per riflettere più luce solare nello spazio, riducendo così il calore assorbito dagli oceani. Il processo prevede la dispersione di particelle fini di sale marino nell’atmosfera, che fungono da nuclei di condensazione per le goccioline d’acqua, rendendo le nuvole più dense e bianche. Questo aumento della densità e della luminosità delle nuvole dovrebbe teoricamente portare a una diminuzione della temperatura della superficie oceanica, contrastando alcuni degli effetti del riscaldamento globale.

Il concetto di Marine Cloud Brightening

La dispersione delle particelle saline nell’atmosfera rappresenta una sfida tecnologica significativa. Attualmente, gli scienziati stanno esplorando diversi metodi, tra cui l’uso di navi specializzate che spruzzano acqua di mare vaporizzata nell’aria e droni capaci di distribuire particelle a un’altitudine ottimale. Queste tecniche devono essere precise ed efficienti per assicurare che le particelle raggiungano l’atmosfera nella forma e nella concentrazione desiderate.

Il MCB offre la promessa di un metodo relativamente veloce per mitigare l’incremento delle temperature oceaniche, che è vitale per proteggere gli ecosistemi marini, come le barriere coralline, dallo sbiancamento e dalla morte. Inoltre, potrebbe aiutare a stabilizzare i modelli climatici che influenzano il meteo globale.
Tuttavia, come con qualsiasi forma di geoingegneria, il MCB solleva preoccupazioni significative. Gli impatti a lungo termine sulla dinamica atmosferica e sui cicli dell’acqua rimangono in gran parte sconosciuti. C’è il rischio che modifiche artificiali alle nuvole possano avere effetti imprevisti, inclusi cambiamenti nei modelli di precipitazione che potrebbero influenzare l’agricoltura e l’accesso all’acqua dolce in alcune regioni.

La realizzazione di progetti di MCB su larga scala richiede non solo avanzamenti tecnologici ma anche un’attenta considerazione delle implicazioni etiche e politiche. Chi avrebbe il controllo di queste tecnologie? Come si potrebbero gestire i potenziali conflitti tra nazioni con interessi divergenti riguardo al clima globale? Il Marine Cloud Brightening rappresenta un campo di ricerca promettente ma ancora nelle fasi iniziali. Mentre prosegue il dibattito sull’etica e la fattibilità di tali interventi sul clima, è essenziale continuare la ricerca e lo sviluppo in questo ambito.

Maurizio Michele Blo, presidente del Comitato Nazionale Moratoria Geoingegneria ha depositato una petizione con diecimila firme per chiedere che venga vietato qualsiasi utilizzo, sia civile che militare, di qualunque tecnica di geoingegneria, citando nello specifico il cloud seeding. La petizione è stata rivolta al presidente del Consiglio, ai presidenti di Camera e Senato e al ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Nella petizione vengono citati il cloud seeding (l’inseminazione delle nuvole) e il Solar Radiation Management (SRM), tecnica che mira a diminuire la radiazione solare e i suoi effetti sulla Terra. Il Comitato ha anche scritto una lettera al Parlamento e al Governo perché sia calendarizzata al più presto la discussione in merito all’utilizzo di tecniche di geoingegneria e alla richiesta di moratoria.

Il documento prende le mosse da due risoluzioni ONU, una del 2010 e l’altra del 2016, nonché da recenti legislazioni statunitensi, sia in ambito federale che statale, così come di altri Paesi – si legge anche su L’Indipendente – Per quanto concerne l’inseminazione delle nuvole, sono molti gli Stati che oggi la utilizzano in maniera palese, disponendo anche di agenzie appositamente create per compiere tali operazioni: gli Emirati Arabi Uniti rappresentano il Paese che certamente ne fa un utilizzo maggiore e non nascosto. La tecnica SRM è invece, almeno ufficialmente, in via di sperimentazione e sono molte le istituzioni e organizzazioni, accademiche e non, che stanno investendo denaro in queste tecnologie.

Il Solar Radiation Management comprende tecniche e tecnologie di geoingegneria che mirano a riflettere la radiazione solare o termica nello spazio. Questo approccio è molto criticato. L’idea stessa di voler intervenire drasticamente sull’ambiente terrestre, in relazione al suo rapporto col Sole, senza intervenire sui processi umani che sarebbero la determinante del cambiamento climatico, è già fonte di numerose critiche di stampo etico-sociale, oltre alle critiche poste da quanti si interrogano sulle conseguenze ecologiche circa le sconosciute ricadute e conseguenze ambientali e sociali di una tale azione.

Solar Radiation Management

Nel 2022 è anche nata un’organizzazione, la Solar Geoengineering Non-Use Agreement, che ha lo scopo di impegnare i governi nazionali e le Nazioni Unite a redigere e firmare un accordo che preveda il divieto di sviluppo e di utilizzo di tecnologia atta a interferire con la luce solare – scrive ancora L’Indipendente – Centinaia di accademici da decine di Paesi da tutto il mondo hanno sottoscritto una lettera aperta che esorta a non avventurarsi in campi troppo delicati, complessi e vasti, dato che “i rischi della geoingegneria solare sono poco compresi e non possono mai essere completamente conosciuti.

Gli impatti varieranno tra le regioni e ci sono incertezze sugli effetti sui modelli meteorologici, sull’agricoltura e sulla fornitura di beni di prima necessità di cibo e acqua”. Tra le tecniche di geoingegneria, vi sono anche quelle riferite alla modificazione metereologica, la quale si riferisce a tecnologie utilizzate da terra oppure in cielo che vanno a modificare temporaneamente le condizioni metereologiche di un determinato luogo o di una regione.

Uno degli esempi più noti di queste tecnologie geoingegneristiche è il cloud seeding, ovvero l’inseminazione delle nuvole, che intende alterare i modelli meteorologici e di precipitazione, ma non i modelli climatici generali.

La modificazione metereologica è oggi utilizzata e applicata in vari Stati del mondo, specie nei Paesi con scarsa precipitazione piovosa. Gli Emirati Arabi Uniti è uno di questi Paesi, il quale utilizza queste tecniche in maniera costante, e per cui ci sono agenzie specificatamente organizzate.