Articolo di Alessio D.G. – Giovedì 17 Ottobre 2024
Collaboratore di Attività Solare

Bentrovati a questo nuovo articolo per comprendere il funzionamento del clima terrestre. In particolare oggi parliamo di come l’attività vulcanica influisca sul clima, passo per passo.
I vulcani sul nostro pianeta sono tantissimi e sono dislocati sia su terraferma, che soprattutto nelle profondità dei fondali marini (oltre l’80% secondo alcune stime). L’aumento e la diminuzione della frequenza vulcanica sono dovuti a cambiamenti nella stabilità del nucleo e mantello terrestri, che si manifestano con variazioni di pressione dei gas e volume del magma al loro interno.

L’equilibrio del mantello, quindi dei fluidi e dei moti convettivi al suo interno, è fortemente influenzato dall’attività solare e da forzanti gravitazionali interplanetarie. In generale importanti incrementi nell’attività vulcanica (e sismica) si riscontrano durante fasi di max solare, specie se in concomitanza di picchi gravitazionali causati dalla Luna e da altri pianeti del sistema solare in congiunzione.

Fatte queste necessarie premesse, passiamo ora a parlare di come una eruzione vulcanica influenza il clima nei dettagli. Per fare ciò, è necessario tenere conto dell’indice VEI (Volcanic Explosivity Index), che ha una scala da 0 a 8.


Più precisamente, per modificare il clima vi è necessità che le ceneri vulcaniche raggiungano la stratosfera, essendo essa il luogo dove si forma il vortice polare, responsabile del clima invernale (perturbazioni, tempeste, ondate di freddo). Inoltre in stratosfera hanno origine i venti stratosferici, i quali hanno un ruolo importante nel redistribuire ozono e calore a livello planetario. Un indice che misura tali venti è la QBO. La distruzione dell’ozono stratosferico in seguito a violente eruzioni, è un ulteriore fattore di raffreddamento, in quanto tale gas funge normalmente da regolatore termico, evitando eccessivi raffreddamenti stratosferici. In seguito alla riduzione dell’ozono e alla schermatura della radiazione solare, le temperature in stratosfera crollano, fino a valori simili al libero spazio.

Fino al VEI 4 non vi è intrusione di materiale vulcanico in stratosfera; con un VEI 4 si ha solo una lieve diminuzione di temperatura a livello locale, con un modesto aumento delle precipitazioni.

E’ bene ricordare come i vulcani oltre alla cenere, immettono in stratosfera pulviscolo e vapore acqueo, che favoriscono un incremento delle nubi e delle precipitazioni.

Un VEI 5 determina un’espulsione di cenere fino in stratosfera, ma piuttosto modesta. Si ha un calo di temperature fino a 1-2 gradi a livello regionale, con un moderato incremento delle precipitazioni per circa 1/2 anni. Una eruzione di questi tipo non ha effetti in Europa se avviene all’equatore o all’emisfero opposto (salvo una parziale modificazione di venti e strutture bariche nel caso vengano influenzati i monsoni). Una certa influenza contrassegnata da inverni più freddi e nevosi per circa un biennio, insieme ad estati più fresche, si avrebbe nel caso l’eruzione avvenga in Islanda, ossia ravvicinata.

Col VEI 6 si inizia ad avere un effetto globale, con quantità importanti di cenere che arrivano in stratosfera (10 km cubi di materiale). Un tale VEI è in grado di abbassare la temperatura planetaria fino a un grado nel giro di un biennio e causare un incremento da lieve (nelle zone più lontane al vulcano) a moderato (nelle zone vicine) delle precipitazioni. Un esempio recente di tale VEI fu il Pinatubo nel 1991.

Il VEI 7 determina una immissione di ceneri in stratosfera piuttosto massiccia. Una tale eruzione comporta l’espulsione di ben 100 km cubi di materiale ed un conseguente abbassamento delle temperature globali da 2 a 4 gradi a seconda delle zone; si registra a livello di precipitazioni un aumento globale da moderato a forte.
L’esempio più recente fu il Tambora. Le ceneri abbondanti in stratosfera determinarono un raffreddamento del vortice polare, che raggiunse temperature fino a 100 gradi sotto zero in inverno.

L’elevato raffreddamento del vortice insieme alla presenza di ceneri sospese che ne limitarono il riscaldamento estivo, fecero si che sopravvisse durante l’estate con valori intorno i -50 gradi, tipici di inizio aprile, determinando così un estate molto fredda ed instabile in Europa ed East Coast Usa, con nevicate e gelate fino in pianura addirittura in giugno e luglio. Molti raccolti fallirono e ci fu un boom di morti per freddo e fame. Peggio andò nelle Indie: la grave alterazione della circolazione atmosferica provocò il blocco dei monsoni, con una carestia estrema unita a epidemie di tifo e colera che ridussero la popolazione fino a un terzo in alcune aree. Gli effetti gravi della cenere cessarono dopo 3-4 anni; tuttavia il clima, complice l’espansione dei ghiacciai, rimase fresco per più di un decennio.


Ultimo nella scala, abbiamo il VEI 8. Tale ultimo valore della scala evidenzia una super eruzione, capace di determinare un improvviso e catastrofico abbassamento della temperatura a livello planetario, con espansione dei ghiacciai continentali estremamente rapida (meno di un semestre).
Un supervulcano ha un minimo di espulsione, per essere classificato come tale, di 1000 km cubi di cenere. Tuttavia, si po’ arrivare a valori ben più elevati, come l’eruzione dello Yellowstone di 2 milioni di anni fa, che espulse ben 2450 km cubi di materiale.

Oltre i 2000 km cubi in poi si quantifica genericamente come VEI 8+. In caso di eruzione di un VEI 8, le temperature in stratosfera possono scendere fino a -130/-140 gradi, sviluppando un vortice polare straordinario che sopravvive intatto all’estate, sommergendo rapidamente il nord emisfero di neve e ghiaccio. Non di meno, una eruzione di questi portata può produrre piogge acide estese ed inquinamento delle falde acquifere.

A livello di amarcord, molto probabilmente l’eruzione più potente che si è avuta durante il periodo interglaciale caldo odierno è stata l’Ilopango, classificato come VEI 7+, espellendo ben 650 km cubi di materiale nel 536 d.C. L’ultima eruzione potente dello Yellowstone, risale a 640 mila anni fa, ed ha emesso circa 1000-1200 km cubi di materiale. L’eruzione più potente della storia fu il Toba, con ben 5300 km cubi di materiale eruttato circa 70 mila anni fa, causando quasi l’estinzione dell’Homo sapiens.

Tornando all’Ilopango, esso è l’esempio più vicino di simil supervulcano: nei due anni successivi l’eruzione si assistette ad un rapido deterioramento del clima globale. Le carestie ed epidemie che ne derivarono uccisero circa il 70% della popolazione cinese; in Europa la popolazione si ridusse di un terzo, con il grano nell’estate del 538 che non maturò nemmeno nelle campagne intorno a Roma. Molte civiltà precolombiane furono spazzate via in poche settimane dagli effetti diretti dell’eruzione.

Dopo aver parlato delle eruzioni continentali, parliamo ora di quelle sottomarine. E’ bene ricordare come la gran parte dei vulcani si trovi sotto mari ed oceani, e la gran parte del magma espulso ogni anno dal mantello viene rilasciato proprio nei fondali oceanici, come confermato anche dalla NOAA. Di conseguenza, essendo gli oceani i principali regolatori delle temperature globali, il vulcanismo sottomarino ha un ruolo determinante nelle variazioni della temperatura terrestre. Esempi vicini ed evidenti sono stati l’eruzione del Tonga nel gennaio 2022, ed El Nino 2023/24, in quanto principali responsabili dell’aumento di temperatura globale nell’ultimo triennio.

Notare come ogni volta che si impenna l’attività sismica/vulcanica, la temperatura aumenta; questo perché aumenta il calore rilasciato nei fondali oceanici, e dall’Oceano il calore passa poi in atmosfera.

N.b: l’origine del Nino è per la gran parte dovuta a vulcani sottomarini e a flussi geotermici intensi situati sotto la placca di Nazca e al largo dell’Indonesia.

Quando a violente eruzioni su terraferma si associano violente eruzioni sottomarine, l’effetto serra del vapore acqueo viene neutralizzato, diventando invece il fattore fondamentale per l’espansione dei ghiacciai: condensandosi al pulviscolo cinereo, ricade sotto forma di nevicate abbondanti ed estese.

Da ricordare poi come le zone con punti caldi oceanici siano le zone standard dove spesso si formano depressioni tropicali che poi diventano uragani. Una tale zona si trova in corrispondenza della dorsale medio atlantica, alla latitudine dei Caraibi. Solitamente le depressioni tropicali che poi muovendosi verso il continente americano diventano uragani, si formano li, traendo vapore ed energia dal calore rilasciato dal punto caldo.

In conclusione i vulcani hanno un impatto determinante sul clima terrestre, senza eguali. Gli stessi vulcani sono inoltre tra i principali regolatori dei livelli di CO2 e vapore acqueo atmosferici.