DEFINIZIONE DEL TERMINE

L’albedo è definito come la frazione di luce riflessa da un oggetto o da una superficie rispetto a quella che vi incide. Questo termine viene spesso utilizzato per indicare la riflettività dei corpi celesti che non brillano di luce propria, come pianeti e satelliti, ma anche in climatologia.

Esso indica dunque il potere riflettente di una superficie. L’esatto valore della frazione di luce riflessa dipende, per lo stesso materiale, dalla lunghezza d’onda della radiazione considerata. Se la parola albedo viene usata senza ulteriori specifiche, si intende la luce visibile.

 

ALCUNI ASPETTI INTERESSANTI

Se esaminiamo alcuni aspetti legati all’albedo sul nostro pianeta, scopriamo dei dettagli interessanti.

Prendiamo in esame ad esempio la vita vegetale, cioè quella parte della vita che nella catena alimentare rappresenta l’anello fondamentale, poiché è dove la materia inorganica viene trasformata in materia organica attraverso la fotosintesi clorofilliana.

Esaminando l’albedo della vegetazione terrestre troviamo un valore molto basso poiché il colore verde delle foglie o dell’erba assorbe molto efficacemente la luce solare nella banda del visibile. Si potrebbe dire che le foglie e l’erba sono avide di fotoni, quindi cercano di acchiapparne la maggior quantità poiché per loro i fotoni rappresentano la sopravvivenza.

Per un organismo vegetale un’abbondanza di fotoni equivale a “vita” mentre una scarsità di fotoni equivarrebbe a “morte”, da qui si può comprendere l’avidità di fotoni da parte dei vegetali e da ciò ne consegue che l’albedo sia molto basso in un terreno ricco di vegetazione.

Lo stesso discorso vale per le distese d’acqua come fiumi, laghi, stagni e naturalmente oceani, i quali assumono una colorazione da verde scuro a blu-verde cupo quando sono ricchi di alghe e fitoplancton.

A parte i cicli stagionali che provocano un cambio di colore evidente in fiumi, torrenti, laghi e distese d’acqua in generale, avete mai osservato uno stagno morto o un fiume avvelenato? Hanno perso la loro bella tonalità verde cupa, presentando un albedo più elevato di quando erano vivi.

In conclusione possiamo affermare che gli organismi vegetali, i quali sintetizzano la materia organica a partire dalla materia inorganica per mezzo della fotosintesi e che per questo hanno bisogno di assorbire in gran quantità i raggi solari, possiedono un albedo molto basso o quasi nullo.

Ora facciamo un giro di 180 gradi e andiamo a vedere cosa c’è all’opposto, cioè in natura cos’è che presenta un albedo molto alto?

Un fiocco di neve!

Il fiocco di neve, una delle formazioni più “artistiche” tra i cristalli, ha lo scopo di sopravvivere, e sapete come lo fa? Producendo un indice di albedo elevatissimo, probabilmente l’albedo più elevato in natura.

Il fiocco di neve infatti per poter sopravvivere, deve respingere il maggior numero di fotoni e lo fa riflettendoli verso il cielo, esattamente l’opposto di un organismo vegetale che ne è “ghiotto”.

E così possiamo catalogare la neve fresca come la superficie con il più elevato albedo sul nostro pianeta.

Le calotte polari e i ghiacciai hanno anche loro un albedo elevato ma non tanto come la sfolgorante e luccicante distesa di neve recente.


Fatta questa doverosa premessa, cosa c’entra l’albedo con i minimi solari e come questo indice potrebbe influenzare il clima?

 

MINIMI SOLARI E CLIMA

Quando si parla di correlazione tra la temperatura globale e l’attività solare, alcuni “esperti” del clima ti spiattellano sotto il naso il seguente grafico, come prova inconfutabile e definitiva che non esiste correlazione alcuna tra “Temperatura” e “Attività Solare”.

 

 

Dal grafico infatti si evince facilmente l’assenza assoluta di correlazione tra l’evidente aumento della temperatura degli ultimi 140 anni e l’irraggiamento solare che invece nello stesso periodo è rimasto piuttosto stabile; da ciò dovrebbe (secondo loro) apparire lampante che l’attività solare non controlla la temperatura globale.

Quindi per questi signori la questione si chiude qui, finalmente andiamo tutti a casa contenti perché la scienza è risolta e ci mettiamo una pietra sopra.

Invece sembra proprio di no!

Chi aveva detto in primo luogo che è la variazione dell’irraggiamento solare a causare i cambi climatici? Be, se qualcuno l’aveva affermato probabilmente si sbagliava.

Infatti, durante un minimo solare si osserva si una diminuzione dell’irraggiamento solare, ma di una quantità talmente piccola che possiamo considerarla come irrisoria o trascurabile, almeno nello spettro visibile, che è quello che interagisce con la bassa atmosfera. (Semmai durante un minimo solare si è osservata una diminuzione apprezzabile dell’irraggiamento solare nella banda UV, ma quella lunghezza d’onda non influisce molto sulla bassa atmosfera, quindi la lasciamo da parte per adesso.)

Ma allora uno potrebbe giustamente obiettare: se la fluttuazione dell’attività solare non influenza l’irraggiamento solare, allora cosa causa le variazioni della temperatura globale del nostro pianeta, e quindi del clima, durante il susseguirsi dei minimi e i massimi solari?

 

TRE MANIFESTAZIONI

Per chiarire ulteriormente il concetto, durante un minimo solare non è l’irraggiamento della nostra stella a diminuire in modo percepibile ma semmai quella che si riduce notevolmente è la sua attività magnetica, fenomeno facilmente misurabile attraverso il conteggio delle macchie solari. Infatti la comparsa di numerose macchie denota un’elevata attività magnetica solare, mentre al contrario la scarsità o assenza di macchie indica bassa attività magnetica solare.

Ma una bassa attività magnetica solare, oltre a un’assenza di macchie provoca anche una serie di reazioni che evidentemente influenzano il nostro pianeta e che andiamo ad esporre di seguito.

 

  1. Raggi Cosmici e Copertura Nuvolosa

Durante un minimo solare si ha un aumento della copertura nuvolosa di nubi basse dovuto all’indebolimento del vento solare il quale non operando più come scudo attorno al nostro pianeta, provoca un maggior afflusso di raggi cosmici nell’atmosfera terrestre. Sono state scritte diverse pubblicazioni al rispetto ma in sintesi è ormai stato provato che i raggi cosmici favoriscono la nucleazione e quindi la condensazione del vapor acqueo in atmosfera, cioè un maggiore afflusso di raggi cosmici si traduce in un incremento nella formazione di nubi basse.

 

 

Cosa provoca una maggiore formazione di nubi basse? Un aumento dell’albedo terrestre, poiché le nubi basse riflettono parte della luce irradiata dal sole, luce che quindi non colpirà mai la superficie terrestre ma che al contrario verrà riflessa e quindi dispersa nello spazio.

 

 

Quindi durante un minimo solare si ha un incremento delle nubi basse con conseguente diminuzione di raggi solari che raggiungono la superficie terrestre a causa di un aumento dell’albedo.

 

  1. Eruzioni vulcaniche

Se guardiamo alle statistiche delle eruzioni vulcaniche catastrofiche negli ultimi secoli, possiamo notare un aumento di tali eventi durante i minimi solari.

Sembra che esista una correlazione tra eruzioni vulcaniche e raggi cosmici; sia come sia noi adesso non ci occupiamo del perché ma ci focalizziamo sul semplice dato di fatto che in passato abbiamo avuto eruzioni vulcaniche di forte intensità durante i minimi solari.  

Eruzioni come quella del Samalas nel 1257, del Laki nel 1783, del Tambora nel 1815, del Krakatoa nel 1883, tanto per citarne solo alcune tra le più catastrofiche, sono tutte avvenute durante un minimo solare.

Ma cosa c’entrano le eruzioni vulcaniche con il clima?

Un’eruzione vulcanica di un certo livello, diciamo oltre VEI6 nella scala di esplosività vulcanica, provoca una notevole emissione di ceneri e biossido di zolfo (SO2) i quali, a causa della violenza dell’eruzione stessa, vengono proiettati oltre il limite superiore della troposfera entrando in tal modo nella stratosfera.

Una volta nella stratosfera queste ceneri e particelle di biossido di zolfo, invece di ricadere a causa della forza di gravità, vi rimangono in sospensione anche per anni venendo disperse dai venti su ampie aree del pianeta. Questo materiale in sospensione negli strati alti dell’atmosfera provoca in primo luogo il fenomeno dello scattering con conseguente diminuzione dell’energia solare che raggiunge la superficie terrestre.  

Ma il cambio drastico avviene quando il biossido di zolfo (SO2), una volta entrato in stratosfera si combina con il vapore acqueo dando luogo all’acido solforico (H2SO4) il quale possiede una caratteristica del tutto peculiare: le goccioline di acido solforico infatti hanno un potere riflettente molto elevato e quindi la trasformazione di biossido di zolfo in acido solforico provoca un consistente aumento della riflettività di tali particelle sui raggi solari che può protrarsi per mesi o anni visto che i venti in stratosfera possono distribuire queste particelle su ampie porzioni del pianeta prima che esse ricadano al suolo.

 

 

Da ciò ne deriva che dopo una grande eruzione vulcanica si può produrre un forte aumento dell’albedo, con conseguente diminuzione della temperatura globale.

Va specificato inoltre che queste goccioline di acido solforico operano si una forte riflettività ai raggi solari, ma solo su quelli che arrivano più o meno perpendicolarmente, mentre invece hanno un effetto minimo sui raggi solari obliqui. Questa importante caratteristica fa si che, ad esempio nell’emisfero nord, durante l’estate l’effetto albedo causato da queste particelle sia massimo, mentre in inverno è minimo se non nullo.

Questa caratteristica molto peculiare delle particelle di acido solforico in sospensione nella stratosfera spiega il perché del famoso anno senza estate del 1816, quello che seguì la fortissima eruzione del Tambora nel 1815.

 

  1. Estensione della Copertura Nevosa

Come avevamo visto all’inizio, la neve appena caduta possiede un albedo molto elevato quindi possiamo dedurre che l’estensione della copertura nevosa rappresenti un fattore estremamente importante sul clima.

Maggiore sarà l’estensione della copertura nevosa, minore sarà la quantità di energia solare assorbita dalla superficie terrestre.

 

 

Cosa provoca una maggiore estensione della copertura nevosa? Un aumento delle precipitazioni nevose a latitudini e/o a quote inferiori. E cosa causa un aumento delle precipitazioni nevose a latitudini e/o a quote inferiori? Naturalmente una diminuzione della temperatura globale.

Quindi, come abbiamo visto nei due paragrafi anteriori, se durante un minimo solare si ha una maggiore formazione di nubi basse e una maggiore frequenza di eruzioni vulcaniche di grande intensità, avremo di conseguenza un abbassamento della temperatura globale che ci porterà un aumento dell’estensione della copertura nevosa.

Si tratta di un effetto a catena in cui in generale, più freddo fa e più la temperatura scende, poiché il freddo genera più neve, ma la maggiore copertura nevosa aumenta a sua volta l’albedo generando più freddo, e così via.

In ogni modo esiste un altro fenomeno indipendente che provoca un aumento dell’estensione della copertura nevosa durante un minimo solare: l’indebolimento del Vortice Polare.

Sembra infatti che la diminuzione dell’attività magnetica solare provochi a sua volta un indebolimento del Vortice Polare il quale, da ben saldo e confinato alle alte latitudini come si trova abitualmente quando il sole è al massimo di attività, perdendo la sua forza inizia a sparpagliarsi verso latitudini più basse con un andamento ondulato. Questo ovviamente provoca delle discese di aria artica a latitudini temperate.

 

 

Oltre alle discese di aria artica verso sud a causa del suo andamento ondulato, un Vortice Polare debole produce anche risalite di aria calda verso nord; in ogni modo ai fini dell’albedo, possiamo supporre che il computo complessivo sia positivo poiché l’aria calda che arriva alle latitudini elevate, raramente ce la fa a sciogliere i ghiacci presenti in quelle aree mentre al contrario l’aria artica che scende alle latitudini temperate riesce a causare nevicate inusuali in località dove di solito non si producono questo tipo di precipitazioni.

Quindi ancora una volta, con l’aumento dell’estensione della copertura nevosa abbiamo un aumento dell’albedo.

 

TIRIAMO LE SOMME

In tutti e tre i casi esposti sopra, abbiamo isolato l’ALBEDO come fattore chiave che provoca la diminuzione della temperatura durante i minimi solari.

Sembra proprio che la ridotta attività magnetica durante un minimo solare scateni una serie di reazioni che a loro volta provocano un aumento dell’albedo terrestre e quindi una diminuzione della temperatura globale.

 

 

Infatti studiando il passato, ogni volta che abbiamo avuto un minimo solare si deve essere verificata la perdita di una parte dell’irraggiamento solare a causa dell’aumento dell’albedo, il che alla fine è risultato in una ovvia diminuzione della temperatura globale.

Al contrario durante le fasi di massima attività solare, per le ragioni opposte si è avuta una diminuzione dell’albedo il quale ha causato un aumento della temperatura.

Partendo da queste supposizioni, possiamo concludere che non è la diminuzione dell’irraggiamento solare a causare l’abbassamento della temperatura globale durante un minimo solare, ma semmai il colpevole sembra essere l’aumento dell’albedo terrestre il quale, a causa del sommarsi di vari fenomeni, può provocare la riflessione e quindi la dispersione nello spazio di una parte consistente di questo irraggiamento. 

 


Infine va sottolineato che il fattore albedo esula dalle cause delle ben più lunghe e profonde variazioni del clima durante il susseguirsi dei periodi glaciali e interglaciali poiché in quel caso il principale responsabile è il ciclico cambiamento dei parametri orbitali terrestri.