Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 26 Aprile 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=44317

 

Lo sviluppo delle piante è fortemente influenzato dalle condizioni meteorologiche. Questo è un dato di fatto e la maniacale attenzione con cui il mondo dell’agricoltura segue la meteorologia, costituisce una conferma dello stretto legame tra evoluzione delle piante e tempo meteorologico. Chi si occupa della coltivazione dei campi ha un’idea diversa di “bel tempo” e “cattivo tempo” rispetto a chi vive in città: se una o più giornate di pioggia vengono considerate per esempio una iattura da chi vive in città per i disagi che possono provocare, per chi si dedica all’agricoltura possono rappresentare la salvezza del raccolto ed il degno coronamento di un’intera stagione di lavoro.

L’interazione tra lo sviluppo delle piante ed il tempo meteorologico costituisce il campo di studio della fenologia, ossia di quella parte della biologia che studia lo sviluppo delle piante in funzione di fattori meteorologici come la piovosità, l’insolazione, le temperature etc. Come ben sanno tutti i lettori di CM, il clima è diverso dal tempo meteorologico, ma, su distanze temporali trentennali, l’evoluzione della temperatura acquista valore climatologico e non più meteorologico. Lo stesso si può dire per tutte le altre grandezze fisiche che caratterizzano il sistema. A questo punto appare evidente che i dati fenologici relativi ad una certa coltura, se coprono un intervallo temporale piuttosto esteso, potrebbero rappresentare degli ottimi dati di prossimità per studiare l’evoluzione del clima in aree più o meno estese. Io ho parlato di evidenza, ma questa evidenza è anche evidenza scientifica o si tratta di una semplice ipotesi, frutto di un ragionamento più o meno sensato? Per poter parlare di evidenza scientifica occorre verificare con dei dati l’ipotesi e questo è ciò che hanno fatto L. Mariani e F. Zavatti con uno studio estremamente interessante, i cui risultati sono stati pubblicati on-line dalla rivista Science of the Total Environment nell’articolo il cui titolo è qui sotto (da ora in avanti Mariani et al., 2017).

Multi-scale approach to Euro-Atlantic climatic cycles based on phenological time series, air temperatures and circulation indexes

In Mariani et al., 2017 si analizzano tredici serie di dati climatici e fenologici allo scopo di individuare ciclicità caratteristiche del clima europeo ed atlantico a diverse scale temporali. Di esse sei sono costituite da dati climatici: indice AMO, indice NAO, anomalie europee di temperatura o ETA, una serie di temperature misurate in Francia, una serie di temperature misurate in Svizzera ed una serie di misure di precipitazioni rilevate in Germania. Le restanti sette serie di dati sono riferite a fattori fenologici: la data di fioritura dei ciliegi in Svizzera e le date di vendemmia in diverse aree della Francia e dell’Italia (la Valtellina per la precisione).

L’indice AMO è determinato sulla base delle temperature superficiali dell’Atlantico settentrionale e la serie temporale presa in esame copre l’intervallo che va dal 1857 al 2015. L’indice NAO che è derivato dalla differenza di pressione tra l’Atlantico del nord e quello all’altezza delle isole Azzorre, viene misurato fin dal 1827. Entrambi gli indici sono estremamente importanti in quanto si influenzano a vicenda e sono in grado di determinare le correnti occidentali che condizionano la circolazione a macro scala nell’area atlantica.

Le anomalie delle temperature europee (ETA) coprono un intervallo temporale ancora più lungo: partono, infatti, dal 1660 e giungono fino al 2010. La serie è quella che compare in alto a destra nella home page di CM. Le altre due serie termometriche hanno lunghezza plurisecolare. La serie di precipitazioni presa in esame da Mariani et al., 2017 è quella della bassa Bavaria ed è stata ricostruita sulla base di analisi dendrologiche condotte su abeti rossi. Essa copre l’intervallo temporale compreso tra il 1480 ed il 1978. Le serie fenologiche riguardano periodi temporali variabili che vanno dal 1354 ai giorni nostri.

Nel corso della storia umana alcune tipologie di coltura hanno rivestito grande importanza. Un esempio è costituito dalla coltivazione della vite. Negli annali delle aree ove la vite ha rappresentato una delle principali fonti di sostentamento per intere popolazioni, è possibile risalire alle date di inizio e fine della vendemmia. In alcuni casi le date sono registrate in modo diretto, in altri tale data si può desumere dai registri di acquisto delle derrate destinate ai vendemmiatori e dalle date di assunzione dei lavoratori. La data di inizio della vendemmia dipende da diversi fattori. Il principale è costituito dal contenuto zuccherino degli acini. Questo dipende, a sua volta, dalle temperature primaverili ed estive, dal quantitativo di pioggia e, ovviamente, dalle caratteristiche del suolo. Per secoli i viticoltori europei hanno coltivato le stesse varietà di vite per cui le date di inizio della vendemmia rappresentano un potenziale dato di prossimità per stimare l’evoluzione del clima europeo. Mariani et al., 2017 ha analizzato questi dati tenendo conto anche di singolarità che ne hanno alterato l’omogeneità. Uno di questi eventi è rappresentato dalla comparsa in Europa della fillossera e di alcune fitopatologie fungine che hanno alterato il comportamento dei vitigni.

Mariani et al., 2017 indaga due “catene causali”:

  • MCTP (Macroscale Circulation => Temperature => Phenology)
  • MCPP (Macroscale Circulation => Precipitation => Phenology)

Lo scopo è quello di verificare se la circolazione a macro scala determinata dagli indici AMO, NAO ed ENSO sia in grado di influenzare la temperatura e le precipitazioni e queste ultime, a loro volta, la fenologia dei vegetali. Per poter verificare l’esistenza delle catene causali anzidette, Mariani et al., 2017 ha cercato di individuare nelle serie termometriche ed in quelle delle precipitazioni alcuni caratteri distintivi tipici degli indici circolatori. La stessa cosa è stata fatta, infine, per i dati fenologici.

Le serie di dati come quelle prese in esame dagli autori, non possono essere confrontate in modo diretto in quanto sono molto rumorose: le oscillazioni ad alta frequenza mascherano ogni forma di regolarità con frequenza più bassa. Si rende necessario pertanto sottoporle a trattamenti statistici che eliminino il rumore ad alta frequenza e consentano di isolare segnali a frequenza inferiore. Si tratta di metodiche di analisi spettrale piuttosto complesse che consentono, però, di ottenere dei risultati rilevanti.

Mariani et al., 2017 ha applicato alle serie di dati studiate che presentano una sostanziale continuità temporale, il metodo della massima entropia (MEM), mentre per le serie che presentano delle lacune e/o delle discontinuità, si è stato utilizzato il metodo Lomb-Spargle Periodogram (LOMB).

Sulla scorta delle elaborazioni numeriche eseguite, opportunamente verificate mediante test statistici atti ad escludere eventuali ipotesi nulle, si è potuto accertare che tanto nelle serie fenologiche che in quelle climatiche, possono essere individuati alcuni periodi particolari.

Mariani et al., 2017 ha potuto verificare che

  • il periodo di 65 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 24 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 20,5 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 13,5 anni è presente nel 50% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 11,5 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 7,7 anni è presente nel 75% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 5,5 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 4,1 anni è presente nel 58% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 3 anni è presente nel 50% delle serie prese in considerazione;
  • il periodo di 2,4 anni è presente nel 67% delle serie prese in considerazione.

Messa così la cosa si riduce ad un semplice esercizio statistico, ma i dati ottenuti consentono di sviluppare delle considerazioni piuttosto interessanti da un punto di vista climatico.

L’aspetto a mio giudizio più importante di Mariani et al., 2017 è che i dati fenologici contengono al loro interno importanti informazioni relative all’evoluzione del clima nel corso del tempo. Detto in altri termini le serie fenologiche possono essere considerate efficaci dati di prossimità delle grandezze che caratterizzano il clima. Le implicazioni dello studio di L. Mariani e F. Zavatti sono, però, molto più profonde.

Prendiamo in considerazione, per esempio, il periodo di 65 anni. Esso è presente nella serie dell’indice AMO, ma non in quella dell’indice NAO, nella serie termometrica di Parigi e nel giorno di inizio della vendemmia in Borgogna. Possiamo dire che il periodo di 65 anni verifica la catena causale MCTP. Analogo discorso vale per gli altri periodi indagati. Il periodo di 7,7 anni è presente in quasi tutte le serie di dati prese in esame per cui è un forte indicatore dell’influenza della circolazione a macroscala sulle temperature e sulla fenologia vegetale. Tale periodo è guidato, secondo gli autori, da una combinazione di AMO e NAO e rappresenta, quindi, un forte indizio dei legami tra la circolazione a macroscala e gli aspetti termici e fenologici delle aree considerate.

Altro aspetto estremamente significativo di Mariani et al., 2017 è rappresentato dall’assenza di particolari legami tra la serie delle precipitazioni e gli indici di circolazione a macroscala. Le precipitazioni non mostrano, inoltre, periodi comuni con le serie fenologiche per cui dobbiamo dedurre che la catena causale MCPP non appare giustificata dai dati. Le motivazioni di questa mancanza di legami tra le serie devono essere ricercati, a giudizio dei ricercatori, nella peculiarità delle precipitazioni in area europea che sono fortemente condizionate dalla circolazione a mesoscala più che da quella a macroscala e dal fatto che le caratteristiche del terreno sono in grado di “tamponare” gli effetti delle precipitazioni alterando i periodi propri delle precipitazioni.

E per finire è opportuno considerare che l’esistenza dei periodi più brevi (2,4, 3 e 4,1) evidenza un legame con i periodi propri delle aree tipiche dell’ENSO. Dall’analisi dei dati sembrerebbe, quindi, che esistano delle chiare teleconnessioni anche tra ENSO e le condizioni meteo-climatiche europee.

In questo commento mi sono limitato a riassumere quelli che possono essere considerati a mio giudizio gli aspetti salienti di Mariani et al., 2017, ma l’articolo presenta molti altri aspetti meritevoli di approfondimento e che lo spazio di un post non consente di porre opportunamente in evidenza. A titolo puramente esemplificativo e non esaustivo vorrei citare l’analisi comparata delle cause giustificative dell’assenza di alcuni periodi da alcune serie e della loro presenza in altre che io, per esigenze di sintesi, ho completamente trascurato, ma che nell’articolo sono molto ben argomentate.