Ripartendo dal precedente articolo, evidenzio come gli scambi tra cella polare e di Hadley, si alterino primariamente in stratosfera, (coinvolgendo anche la mesosfera) per poi propagarsi in troposfera. Vedi figura sotto:

 

 

Molto eloquente, nell’ultimo anno i venti stratosferici equatoriali (QBO), NON SI SONO INVERTITI, MA HANNO CONTINUATO E TUTT’ORA STANNO CONTINUANDO LA FASE POSITIVA. La difficoltà di comunicazione fra la due celle si evidenzia in troposfera attraverso un mancato rimescolamento del jet stream polare (che guarda caso si muove proprio alle quote stratosferiche) con quello tropicale nella cella di Farrell (corrente a getto classica), che diviene sempre più debole, con sempre più frequenti e persistenti fasi di blocco della circolazione zonale. Il jet stream polare è il principale responsabile degli scambi d’aria tra la stratosfera e le basse quote, e man a mano che la cella polare raffredda, aumentano le incursioni e l’intensità di tale corrente. Importante ricordare come le ingerenze fredde dalla stratosfera si manifestino attraverso geopotenziali molto bassi e temperature gelide alla quota di 500Hpa. I geopotenziali vanno a evidenziare aria molto fredda spingere verso il basso a quote superiori ai 500Hpa, e, per ripristinare il normale gradiente termico con il suolo, si attivano moti convettivi imponenti, rovesciando, attraverso le precipitazioni, elevate quantità di freddo al suolo in poco tempo. Per fare un esempio, l’aria gelida che si forma sulle pianure siberiane, è sempre dovuta a precedenti irruzioni polari, che, giungendo sul territorio, rovesciano il freddo al suolo ed i geopotenziali aumentano, in quanto si stabilizza il gradiente termico con l’alta atmosfera. La particolare conformazione della siberia permette poi alle masse d’aria fredda di divenire persistenti, raffreddandosi ulteriormente.
Negli ultimi 3-4 anni le maggiori ingerenze fredde stratosferiche hanno determinato un consistente aumento delle tempeste sul centro-nord Europa, (dato l’elevato gradiente termico con le masse d’aria miti presenti sull’Atlantico), le quali, al loro passaggio, dissipano importanti quantità di calore. In incremento negli ultimi 4 anni la frequenza e l’intensità delle grandinate nell’emisfero boreale.
L’intenso indebolimento degli alisei, dovuto alle alterazioni della cella di Hadley, va via via a diminuire il ricambio d’aria tra le zone tropicali ed il resto del pianeta, provocando sempre più frequenti episodi di El Niño. Al contrario di quello che è l’immaginario comune, il riscaldamento del Pacifico surriscalda essenzialmente i tropici, ed essendo tali zone molto più vaste dei poli, si assiste ad un aumento della temperatura globale. Il resto del pianeta risente solo in parte degli effetti di tale fenomeno, ed in maniera opposta. Il calore rilasciato dal Nino, soprattutto in forma di vapore acqueo, dopo aver riscaldato la fascia tropicale, si muove in direzione dei Poli, attirato dal forte deficit termico, determinando numerose rimonte altopressorie. La circolazione occidentale viene fortemente disturbata, e, di conseguenza, diminuiti gli apporti miti dalla fascia tropicale. Si assiste spesso a irruzioni polari o continentali alle medie latitudini. L’emisfero boreale perde calore.
Tanto per fare un esempio, quest’inverno è stato meno freddo dello scorso a livello emisferico, e si sono battuti meno record; il blob atlantico si è ridimensionato rispetto allo scorso inverno; a parte, incrementato l’innevamento emisferico, dovuto soprattutto all’ingente immissione di vapore acqueo, causa El Niño, in atmosfera. L’estate 2015, con El Niño in corso, ha fatto registrare quasi un anno senza estate in Scandinavia, Islanda e Gran Bretagna, con alcuni ghiacciai in Islanda e Scandinavia, che dopo anni di deficit, hanno fatto registrare un aumento di estensione; a fine agosto segnalata ancora la presenza di nevai spessi sulle montagne scozzesi e di ghiaccio nella baia di Hudson. L’estate 2016, dopo un El Niño così intenso, secondo alcuni doveva risultare caldissima, invece, nel Mediterraneo abbiamo avuto una normalissima stagione, ancora fresca e perturbata sul centro-nord Europa, anche se non come il 2015. Se torniamo al 2012, dopo un inverno ed una prima parte della Primavera con la Niña, abbiamo avuto un’estate molto calda in tutta Europa, seconda solo al 2003. Il caldo del 2003 (che vide in gennaio-febbraio frequenti retrogressioni fredde, grazie al El Niño) , secondo taluni fu dovuto alla fase ENSO positiva, pur se quest’ultima, tra l’altro di modesta entità, già era finita a inizio febbraio, con i mesi di aprile, maggio e giugno che invece vissero in compagnia di una Niña vivace, alisei forti e maggior ricambio d’aria tropici medie latitudini. Il 2010 (insieme al dicembre 2009) e 2005, con El Niño videro inverni molto lunghi e nevosi (non di soli 15 giorni come il 2012) ed estati a tratti calde, ma con break temporaleschi. Nell’estate 2005 la stratosfera polare risultò piuttosto fredda. Il caldo dell’estate 2009 viene imputato a El Niño; tuttavia il fenomeno si sviluppò solo a inizio luglio, e le ripercussioni sul clima europeo si hanno solo dopo 2-3 mesi dalla “nascita”; quindi non si può imputare l’estate calda del 2009 a El Niño.

Si può dire che con El Niño ci siano maggiori risalite dell’Hp africana, ma in un contesto di elevata dinamicità, e mentre in una Nazione si assiste ad una vigorosa ondata di caldo, in un’altra adiacente si assiste a clima freddo ed eccezionalmente piovoso.

Il clima si estremizza. Da ricordare come nel gennaio 1998, in Canada e stati nord-orientali USA, si assistette a terrificanti tempeste di ghiaccio, che in Quebec ed Ontario lasciarono per un mese 4 milioni di persone al buio; molti allevatori persero il bestiame poiché non potevano nutrirlo e tenerlo al caldo. Fu la peggiore tempesta di ghiaccio da oltre un secolo. Curioso poi come le temperature globali abbiano smesso di aumentare dopo l’evento di El Niño “Strong” del 1998.

Comunque, El Niño tornerà nel 2017.

Secondo le nuove stime dell’Australian Bureau of Meteorology (ABM) la probabilità che il fenomeno climatico si ripresenti entro i prossimi sei mesi è salita al 50%. Gli scienziati e i climatologi stanno correggendo in fretta le previsioni diramate solo poche settimane fa, perché diversi settori del Pacifico orientale si stanno riscaldando in modo imprevisto. Di conseguenza, spiegano dall’ABM, dopo aver inserito i nuovi dati all’interno dei modelli predittivi, i valori risultanti tendono sempre di più verso le soglie oltre le quali il ritorno di El Niño appare una certezza. Soltanto quattro settimane fa, la World Meteorological Organization (WMO) avvertiva che la probabilità di una nuova fase ENSO positiva, entro la fine del 2017, era al 40%. A preoccupare la WMO è anche la debolezza del fenomeno opposto e complementare, La Niña, che in teoria doveva essere moderata e durare per tutto l’inverno.
Se così sarà, probabilmente nel prossimo autunno/inverno verrà dato il colpo di grazia al meccanismo di riequilibrio termico poli-equatore. Contando infine l’innevamento boreale record di quest’anno e l’eccezionale accumulo di ghiaccio in Groenlandia, si può facilmente prevedere un’ingente immissione di acqua fredda dolce in Atlantico in questa primavera/estate, con tutte le conseguenze del caso.

 

Alessio