Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 6 Maggio 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41252

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Quello con cui abbiamo a che fare è un sistema complesso, estremamente complesso e, quindi, molto difficile da osservare e riprodurre. Negli ultimi decenni, la nostra capacità di osservazione è aumentata incredibilmente, siamo ora in grado di ‘vedere’ cose delle quali a malapena si poteva immaginare l’esistenza. Ma, fino a quando non si potrà viaggiare nel tempo portandosi dietro anche il bagaglio di conoscenze acquisito – strumenti di osservazione compresi – sarà ben difficile mettere a paragone quello che ‘vediamo’ ora con quello che è accaduto in passato.

E’ il caso del paper pubblicato sul GRL di cui parliamo oggi:

Midlatitude cloud shifts, their primary link to the Hadley cell, and their diverse radiative effects

Si parla di circolazione atmosferica o, meglio, della sua componente sulle latitudini equatoriali e tropicali, la Cella di Hadley. L’esigenza mai soddisfatta di redistribuire in modo uniforme sul pianeta il calore in eccesso ricevuto sulla cinta di massima circonferenza e quello in difetto perso dai Poli, unita ai meccanismi astronomici di rotazione attorno al Sole e attorno all’asse, fanno sì che l’aria circoli attraverso dei meccanismi che a larga scala sono suddivisi in tre celle di circolazione tridimensionale, la Cella di Hadley appunto, quella di Ferrel sulle medie latitudini e quella polare a latitudini più elevate.

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La prima in particolare, oggetto di questo studio (a destra nell’immagine), è innescata dal sollevamento dell’aria calda sulla Zona di Convergenza Intertropicale, che schematicamente si colloca sull’equatore, ma in realtà oscilla su una posizione media che la vede interessare di più l’emisfero settentrionale. L’aria sollevata, viene così spinta verso i poli, prima di tornare a scendere sui tropici, dove forma alla superficie una cinta di alta pressione per subsidenza su tutta la circonferenza del pianeta.

Ora, unendo delle osservazioni a delle simulazioni modellistiche, gli autori di questo articolo hanno messo in relazione la posizione della fase discendente della Cella di Hadley con le nubi,scoprendo, riportano, un trend di queste ultime a spostarsi lentamente verso nord. Il tutto nel periodo 1983-2009. Un cammino verso nord, dicono, attribuibile ad un’espansione della fascia tropicale, presumibilmente a sua volta innescata, indovinate un po’, dal riscaldamento del pianeta….

Ora, che le nubi abbiano un ruolo fondamentale nel bilancio radiativo, cioè nel regolare la quantità di energia ricevuta che viene assorbita, riflessa o trattenuta nel sistema, è cosa nota. Come lo è il fatto che proprio le dinamiche della nuvolosità siano uno dei punti in cui sussistono le lacune di conoscenza più significative, sia per processi chimici e fisici della loro formazione, sia per la ridottissima scala spaziale a cui questi avvengono. Ma come diavolo facciamo a sapere cosa ha fatto la Cella di Hadley quando non avevamo questa capacità di osservazione? Perché, ove effettivamente riscontrabile, questa migrazione delle nubi dovrebbe essere un portato solo di quanto recentemente accaduto?

Qualche dubbio viene in effetti, anche perché, leggiamo nell’abstract che questo spostamento delle nubi, più facilmente attribuibile all’espansione della Cella di Hadley che non a una variazione della posizione del getto (la corrente ad alta quota che separa le celle di circolazione), in termini di bilancio radiativo ha effetti di segno opposto nei due emisferi: di aumento dell’energia trattenuta (riscaldamento) in quello settentrionale e di diminuzione nella stessa (raffreddamento) in quello meridionale, per effetto, probabilmente, della sostanziale differenza della distribuzione dei mari, dei ghiacci e delle terre emerse nei due emisferi.

Qui, per leggere il comunicato stampa del gruppo di studio.