Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 03 Giugno 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=44636

 

Insomma, pare proprio che ci siamo: gli USA abbandonano il club très chic della COP 21 parigina, quello dei salvamondo, dei documentari catastrofici ma patinati, dei divi di Hollywood e delle conferenze annuali ai tropici. Nello sconcerto globale. Sui giornali mainstream di mezzo mondo si è scatenata la prevedibile sarabanda infernale di improperi indirizzati agli USA e al loro Presidente rovinamondo, inquinatutto, egoista, Erode, matto, ignorante… insomma, la solita minestra da cui mi dissocio volentieri per condividere piuttosto qualche riflessione alternativa.

 

Fig.1: La reazione del Mainstream

 

Scandalo politico

Comunque la si voglia pensare, siamo di fronte ad uno scandalo politico senza precedenti. No, non si parla di hacker russi, di capi dell’FBI defenestrati o di fughe di notizie varie ed eventuali. Ci troviamo di fronte ad un Presidente che prova a mantenere le promesse elettorali, condivisibili o odiose che siano. Dalla nomina alla Corte Suprema alla politica sull’immigrazione, dall’Obamacare alla NATO, dalla politica estera al…climate change. Con risultati magari discutibili, ma seguendo fedelmente l’agenda illustrata in campagna elettorale: una vera eresia, nella concezione moderna della politica “usa(il voto) e getta(lo)“.

America(ns) First

Fatto almeno altrettanto scandaloso, siamo di fronte ad un Presidente che porta avanti una agenda nel nome del popolo americano. Giusta o sbagliata che sia, questa agenda si propone di fare qualcosa per gli americani: creare posti di lavoro, rilanciare l’industria, riequilibrare sbilanciamenti commerciali, proteggere i confini, riportare in America gli stabilimenti produttivi, contrastare il terrorismo, abbassare il costo dell’energia. Argomenti concreti che rispondono a problemi altrettanto concreti per l’americano medio.

Scompaiono invece di colpo dall’agenda presidenziale tutti quei temi impalbabili e insignificanti per la maggior parte della gente, ma che hanno avuto l’indubbio pregio di essere globali, ovvero esportabili ovunque nel nome di vagheggiati ed utopistici “supergoverni mondiali”: climatismo, società aperta, gender, globalismo, ambientalismo, decrescita felice, export democratico, rivoluzioni colorate, sincretismo e tutto l’armamentario super-ideologizzato con cui i media europei del mainstream continuano a martellarci quotidianamente da anni senza alcuna pietà.

Un costo (in)sostenibile?

Nella cornice rivoluzionaria e scandalosa dei punti precedenti si inserisce l’uscita dall’accordo collegato alla COP21 di Parigi. Non un colpo di sole (letteralmente) ma una scelta politica legata a considerazioni puramente industriali ed economiche. Aderire a certi accordi ha infatti un costo enorme. Secondo la Camera di Commercio americana gli obbiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’Amministrazione precedente avrebbero il seguente costo per Average Joe:

Al 2025:

  • Riduzione del PIL americano di 270 miliardi di dollari
  • Perdita di 3.4 milioni di posti di lavoro
  • Perdita di 480$ in potere d’acquisto di una famiglia media.

Al 2040:

  • Riduzione del PIL americano di 3,100 miliardi di dollari
  • Perdita di 33.5 milioni di posti di lavoro
  • Perdita di 7,000$ in potere d’acquisto di una famiglia media.

Si tratta di numeri relativi ad uno dei vari scenari esaminati nello studio e che, come per qualsiasi analisi che si spinga così in avanti nel tempo, hanno un valore relativo. Ma che rendono comunque bene il concetto: decarbonizzare ha un costo in termini di PIL, di posti di lavoro, e di ricchezza del cittadino. Si ritiene comunque necessario pagare un costo del genere? Questa è la domanda che chiunque dovrebbe porsi, ben prima di salire sulle barricate, megafono in pugno, a profetizzare la fine del mondo salvo-che.

Accanimento terapeutico

Il vero punto infatti è proprio questo: quanto è grave la malattia, ammesso che questa esista? Volendo ipersemplificare, il global warming è una sindrome con queste tre caratteristiche principali:

  • Febbre impercettibile, al punto da non poter essere determinata in modo coerente con differenti sistemi di misura, e comunque nell’ordine del decimo di grado su scala decennale.
  • Causa imprecisata, visto che la componente antropica rispetto alle forzanti naturali è comunque trascurabile (cosa ribadita anche da Zichichi di recente e da Lindzen, come abbiamo visto qualche giorno fa).
  • Prognosi indefinibile, visto che al momento sono maggiori le prove che questa malattia faccia bene all’organismo piuttosto che il contrario (global greening, assenza di trend quando non diminuzione dei fenomeni estremi, esplosione della produzione agricola…)

Riassumendo, a fronte di una malattia che non si riesce a stadiare, che non si sa da cosa sia provocata e che pare faccia persino bene all’organismo, il mainstream salvamondo ritiene che si debbano fare sacrifici economici giganteschi, con l’effetto collaterale di danneggiare l’apparato industriale e il sistema produttivo di economie già sviluppate.

Detta in altri termini, è come se andaste da un medico e questo vi dicesse:

Hai la malattia XYZ. Non sono in grado di capire a che stadio sia, nè tantomeno se ti faccia realmente male. Ma la tua temperatura basale è aumentata da 36.5 a 36.55 gradi e quindi ti prescrivo una terapia talmente aggressiva che probabilmente ti ammazzerà. Ma stai tranquillo: faremo in modo che il tuo funerale sia eco-friendly”.

E poi, per disperazione, vi rivolgeste ad un dottore all’apparenza improbabile, sboccato e coi capelli gialli per sentirvi urlare contro: “Risparmia i tuoi soldi! E torna quando sarai malato per davvero!”

Germany First

Mentre il Presidente USA saluta gli astanti e lascia il club senza troppi rimpianti, l’Europa si gratta la testa chiedendosi cosa fare. È una Europa in chiara confusione, che barcolla come un pugile suonato: confusione testimoniata dall’accoglienza festante tributata ad un Ex-Presidente che discetta di catastrofi climatiche e improbabili carestie da global warming, con il quale la Merkel ha sentito addirittura il dovere di consultarsi prima del G7: un fatto politico probabilmente senza precedenti. Sono lontani i tempi in cui la stessa Merkel denunciava di essere stata intercettata sul suo Blackberry dall’Ex in questione. Fatto sta, la reazione tedesca alla COPexit è stata insolitamente forte nei toni, letteralmente sdegnata, da vera salvamondo.

Eppure la Germania continua a generare potenza elettrica usando massicciamente le fonti più impattanti in termini di emissioni di CO2: carbone e lignite. Fonti il cui peso nel mix destinato alla generazione energetica è addirittura aumentato negli ultimi 5 anni (Fig.2), nonostante la retorica di parte sia impegnata a sottolineare il pur innegabile, notevole incremento del rinnovabile. Il problema, ben conosciuto, è che proprio all’aumentare del contributo solare ed eolico aumenta anche l’inefficienza energetica dell’intero sistema, se rapportata alla potenza installata. Questo rende l’idrocarburo indispensabile per garantire un approvvigionamento energetico costante e costringe lo Stato a sovvenzionarlo, l’idrocarburo, in una partita di giro in cui a perderci è solo il cittadino: in termini di bolletta energetica.

 

Fig. 2. Mix energetico destinato alla generazione elettrica in Germania

 

A questo si aggiunga la storia surreale della cancellazione del South Stream a contratto già assegnato, di cui abbiamo parlato già in passato e che ha inflitto un danno incalcolabile agli interessi strategici e industriali italiani. Poco tempo dopo, il tracciato del South Stream è ricomparso in Germania, sotto il nome di “Raddoppio del North Stream”.

Riassumendo, la stessa Germania che si erge a paladina dell’accordo di Parigi non rinuncia tuttavia all’uso del carbone, fa deviare gasdotti già in fase di realizzazione per avvantaggiare la sua manifattura a danno di quella italiana (già stremata dal surplus commerciale tedesco e dal peso di una valuta comune troppo forte) e poi fa la morale a Trump perché vuole usare più gas e piú carbone. Prodotti in casa propria, per altro.

Per l’Italia e per gli altri dannati del “Club Méditerranée” dell’UE vale invece la narrativa martellante della Russia nemica, cattiva, che influenza le elezioni, ci spia al telefono e si intrufola nelle nostre chat e che quindi non può essere partner commerciale, neanche (o soprattutto) quando si tratta di importare materia prima vitale per una economia sviluppata, a basso costo e a bassissimo impatto ambientale come il gas naturale.

Due pesi e due misure, e il climatismo ridotto a clava da brandire contro le velleità industriali residue di potenziali competitor da tenere a bada, anche con le cattive quando il gioco si fa duro. Se per Trump è America First, a noi europei tocca il Germany First, traduzione quasi letterale di un’ormai impronunciabile espressione in madrelingua che il politicamente corretto impedisce oggi di usare.

Conclusione

Giovedì 1o Giugno Trump ha pronunciato un discorso che, comunque vada, passerà alla storia. Un discorso che è stato definito da più parti “patriottico”, con accezione positiva o negativa secondo la sponda politica di riferimento.

Giusto qualche highlight:

  • Devo proteggere i posti di lavoro degli americani da un Trattato scritto per ridistribuire la nostra ricchezza ad altri paesi.
  • Non possono essere leader stranieri a decidere della crescita e del lavoro degli americani.
  • Sono stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, e non quelli di Parigi.

Dopo un decennio di discussioni su temi globali declinabili elegantemente nelle lingue di tutto il mondo (secondo convenienza) e di cui importava ben poco al cittadino comune, si è tornati finalmente a parlare di argomenti un tempo molto popolari, ma nell’ultimo decennio letteralmente scomparsi dai radar: lavoro, occupazione, industria, crescita economica, competitività, sovranità.

Che a farlo sia stato un improbabile barbaro platinato, col cappello MAGA, i modi da cowboy e un linguaggio da saloon conta relativamente poco. Così come conta poco che il barbaro in questione abbia realmente successo o finisca impacchettato in tutta fretta col contributo del suo stesso partito.

Furono proprio i barbari, con le loro chiome improbabili e i loro modi alquanto inappropriati, ad abbattere quello che restava di un raffinatissimo impero romano che si vedeva ancora affascinante allo specchio ma che aveva in realtà smarrito, già da tempo, tutti i suoi valori fondanti.

E si discettava di sesso degli angeli secoli più tardi, mentre Costantinopoli cadeva sotto l’assedio dei Turchi.

A Firenze, però, era già Rinascimento.