Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 15 Maggio 2018
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=48399

Che il clima terrestre dipenda da fattori orbitali è un dato di fatto, anche se di questi tempi qualcuno tende a sminuire l’importanza delle cause naturali nel determinare i cambiamenti climatici. Eppure una lunga schiera di scienziati si è occupata delle possibili influenze dei cicli astronomici su quelli climatici. Tutti conoscono il celeberrimo ciclo di Milankovic che sembra essere alla base delle glaciazioni terrestri. In passato mi sono occupato diverse volte di Tzedakis et al., 2012 in quanto reputo tale articolo fondamentale per comprendere l’evoluzione del clima sulle lunghe distanze. In tale articolo viene illustrato un interessante meccanismo di innesco degli interglaciali, basato su diverse concause: obliquità dell’orbita terrestre, precessione, insolazione terrestre e concentrazione di gas serra. Secondo Tzedakis et al., 2012 un interglaciale si innesca quando tutti i fattori sono in fase tra di loro: basta che uno solo di essi vada fuori fase e l’interglaciale salta.

A questo punto abbiamo tirato in ballo due parametri orbitali in grado di influenzare il clima terrestre: precessione ed inclinazione dell’asse di rotazione terrestre (detta anche obliquità) che sono legati al ciclo di Milankovic. Esiste, però, anche un altro parametro orbitale che non possiamo trascurare, ovvero l’eccentricità dell’orbita terrestre. Questo parametro è regolato dall’influenza gravitazionale di Venere e Giove e subisce piccole variazioni con periodo di circa 405.000 anni. Oltre a questi cicli di lungo periodo, dobbiamo ricordare cicli di periodo molto più breve come l’alternarsi del giorno e della notte, le stagioni, i vari cicli solari di cui il più noto è quello undecennale e tanti altri.

In questo grafico semplificato, tratto da qui, sono visualizzati alcuni di questi cicli:

A questo punto la cosa diventa molto intrigante in quanto tutti questi cicli, interferendo tra di loro, rendono oltremodo complessa la comprensione delle influenze astronomiche sul sistema climatico terrestre. Se a tutte queste cause esterne associamo le variabilità interne (correnti oceaniche, correnti atmosferiche, copertura nuvolosa, gas serra, azioni delle specie viventi, vulcani, scambi energetici e fluidodinamici, ecc., ecc.), comprendiamo che quello climatico è, forse, uno dei sistemi più complessi con cui possiamo avere a che fare. Ai giorni nostri la linea di pensiero principale sostiene che questo sistema così complesso e governato, fortunatamente, da forze assolutamente fuori del nostro controllo, possa essere modellato matematicamente, in modo da prevederne l’evoluzione, solo sulla base di pochi parametri fisici, tra cui il più importante è il forcing determinato dai gas serra di origine antropica, principalmente diossido di carbonio. Io sono piuttosto scettico in proposito, ma la mia è un’opinione, informata, ma pur sempre un’opinione e, come tale, non condivisa dai più.

In questo post è mia intenzione esaminare più da vicino uno dei parametri orbitali che ho citato di sfuggita nei paragrafi precedenti: l’eccentricità terrestre. E’ stato pubblicato da pochi giorni su PNAS ed ha suscitato parecchio clamore mediatico, l’articolo:

Empirical evidence for stability of the 405-kiloyear Jupiter–Venus eccentricity cycle over hundreds of millions of years di D. V. Kent, P. E. Olsen, C. Rasmussen, C. Lepre, R. Mundil, R. B. Irmis, G. E. Gehrels, D. Giesler, J. W. Geissman e W. G. Parker (da ora Kent et al., 2018).

La prima firma dell’articolo è un ricercatore che si occupa dello studio del campo magnetico fossile della Terra. Come è ben noto il campo magnetico terrestre è soggetto a oscillazioni che vanno dalle semplici anomalie ed escursioni magnetiche, alle inversioni vere e proprie del campo geomagnetico.    Anche queste anomalie appaiono piuttosto misteriose ed i ricercatori, allo stato, hanno elaborato solo delle ipotesi circa le loro cause. Torniamo, però, all’eccentricità orbitale terrestre ed alla sua variabilità.

Gli astronomi conoscono molto bene il periodo della variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, determinato dalle influenze gravitazionali di Giove e Venere, e sono riusciti a ricostruirne la storia sulla base di calcoli numerici relativamente agli ultimi 50 milioni di anni di storia del pianeta. Per le epoche precedenti il calcolo non è affidabile a causa dei molti parametri in gioco. Vediamo ora come questo periodo viene utilizzato ai fini climatici.

Negli anni passati gli scienziati hanno studiato una carota di sedimenti proveniente dal bacino di Newark nel New Jersey, detta anche APTS, e hanno datato gli strati sulla base del periodo di 405.000 anni che caratterizza la variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre. In tale periodo l’eccentricità orbitale cambia di circa il 5% (l’orbita terrestre è ellittica con un’eccentricità molto bassa, tanto da essere considerata quasi circolare). La variazione di eccentricità orbitale è in grado di modificare il clima terrestre. In particolare nei periodi in cui l’orbita è più eccentrica, il clima terrestre diventa più estremo: estati più calde ed inverni più freddi ed i periodi umidi prevalgono su quelli secchi. Nelle epoche con eccentricità minore, invece, le cose vanno diversamente, in quanto il clima è meno estremo e più secco.

La diversità climatica dei vari periodi lascia le sue tracce all’interno dei minerali intrappolati nei sedimenti e consente quindi di datare gli stessi. Basare la datazione della serie di Newark sulla periodicità di 405.000 anni dell’eccentricità orbitale terrestre, significa però assumere che tale periodo sia costante per durate maggiori di 50 milioni di anni, e ciò non è certo a causa delle imprecisioni presenti nei metodi di calcolo di cui ho già parlato. Allo scopo di dirimere una volta per tutte la questione, Kent et al., 2018 analizza una carota prelevata nella Chinle Formation (una formazione rocciosa di origine vulcanica) affiorante nel Petrified Forest National Park in Arizona, allo scopo di determinare le età dei vari strati che la costituiscono, utilizzando degli isotopi di uranio e degli zirconi contenuti nella roccia. In tal modo gli autori hanno potuto datare anche le tracce fossili delle inversioni geomagnetiche presenti nella carota prelevata nella formazione di Chinle. L’ultimo passaggio dello studio è stato quello di confrontare le tracce delle inversioni magnetiche registrate nella carota di Newark, con quelle della carota della formazione di Chinle. Il confronto ha consentito di accertare che le tracce di inversione magnetica conservate nelle due carote erano perfettamente coincidenti, per cui è stato possibile datare con precisione, basandosi sulle transizioni magnetiche fossili, anche la carota di Newark per comparazione con quella della formazione di Chinle.

Kent et al., 2018, ha potuto pertanto accertare sperimentalmente che la periodicità di 405000 anni nella variazione dell’eccentricità dell’orbita terrestre, è presente in tutti gli ultimi 215 milioni di anni e quindi rappresenta una regolarità senza precedenti nella storia terrestre.

Un’altra conclusione dello studio è che durante il tardo Triassico si è registrato un periodo caratterizzato da un clima molto più caldo di quello odierno di cui ignoriamo la causa scatenante. Anche in tale arco di tempo la periodicità di 405.000 anni ha esercitato la sua influenza: quando l’eccentricità era maggiore, il clima era più umido e si formavano profondi laghi; quando l’eccentricità era minore il clima diventava più secco e i laghi si prosciugavano.

Kent et al., 2018 ha potuto accertare in modo empirico che effettivamente la variazione di eccentricità dell’orbita terrestre, è in grado di modificare il clima terrestre. Milankovic, per esempio, non diede molta importanza all’eccentricità orbitale, privilegiando precessione e obliquità, ma gli studi eseguiti da Kent e colleghi, hanno consentito di rivalutare l’importanza di questo parametro orbitale.

Con questo non voglio assolutamente dire che le variazioni climatiche odierne siano da imputare alla variazione di eccentricità, ma semplicemente sottolineare che abbiamo avuto la conferma che la variazione dei parametri orbitali determina il clima terrestre, quanto la variazione di altri parametri, ad esempio la concentrazione di CO2. Questo, per esempio, ha sempre sostenuto il prof. Scafetta nei suoi studi sulle relazioni tra variazione del clima terrestre e parametri astronomici. Egli non ha mai negato che il diossido di carbonio possa determinare il clima terrestre, come non lo nego io, ma quanto influisce la concentrazione di CO2 e quanto i parametri astronomici o quelli naturali endogeni al sistema climatico? A queste domande si preferisce non rispondere, anzi si preferisce ribattere con insulti, sostenendo che chi le fa, nega la scienza. A me non sembra. Anche alla luce di questo studio che evidenzia ancora una volta quanto poco sappiamo del sistema climatico.