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Data di pubblicazione: 14 Giugno 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=44570

 

Circa cinque anni fa L. Mariani pubblicò ( qui, su CM) un post dedicato al sito archeologico turco di Göbekli Tepe. Esso sorge nel sud della Turchia, non lontano dal confine con la Siria ed è stato portato alla luce dal gruppo dell’archeologo tedesco K. Schmidt intorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso. L’area fu riconosciuta di interesse archeologico, però, fin dal 1963 a causa della presenza di cumuli di selce prodotti dal deposito degli scarti di industrie litiche preistoriche.

Si tratta di uno spettacolare cerchio costituito da pilastri megalitici decorati da bellissime sculture zoomorfe ed antropomorfe. Il complesso si trovava all’interno di un cumulo di terra alto circa 15 metri dal quale emergevano delle pietre: furono proprio questi affioramenti a incuriosire un pastore che riferì alle autorità la circostanza e innescò la catena fattuale che portò allo scavo del sito.

Nel post di L. Mariani, si commentavano i risultati dello studio di alcuni resti biologici (semi carbonizzati ed altri residui vegetali, per la precisione) trovati nel sito che avevano consentito di datare le origini del complesso megalitico a circa 9500 anni fa. Tale datazione è riferita, però, a reperti biologici trovati all’interno del muro che unisce i pilastri e, quindi, non appare rappresentativa dell’età dell’intero complesso. Le ultime datazioni relative all’epoca di costruzione del manufatto hanno consentito di stabilire la data di nascita di quello che gli archeologi definiscono “primo tempio del mondo” a 11,530 BP ± 220 anni (Dietrich & Schmidt, 2010).

Questa data è molto importante nella storia del clima terrestre, in quanto corrisponde ad un periodo climatico conosciuto come Dryas Recente (Younger Dryas event). Si tratta di un evento molto ben documentato nella stratigrafia geologica del nostro pianeta, durante il quale si registrò una brusca riduzione della temperatura terrestre, un avanzamento dei ghiacciai e l’estinzione di molte specie che costituivano la megafauna asiatica ed europea e che sottopose ad una profondissima pressione anche la specie umana. La presenza nella stratigrafia di anomale quantità di platino in corrispondenza dell’inizio di quel periodo geologico, rendono plausibile l’origine cosmica del cambiamento climatico: un corpo celeste si è schiantato sulla Terra provocando un lungo “inverno” o una mini-glaciazione durata circa un millennio.

Tale ipotesi trova conferma nella “teoria catastrofista” che Clube & Napier enunciarono in un loro articolo del 1980. Secondo questa teoria le comete che stazionano lontane dal sistema solare (fuori della zona occupata dai pianeti, tanto per intenderci) possono entrare all’interno del sistema planetario muovendosi lungo orbite ellittiche molto eccentriche. Circa ventimila anni fa una cometa dal diametro di circa 100 km fece il suo ingresso nel sistema solare e, grazie alle forti azioni mareali del Sole, si frantumò generando pezzi di diverse dimensioni. Il nucleo generò la cometa di Encke, i frammenti più piccoli sono responsabili degli sciami meteoritici noti come Tauridi e Perseidi, quelli intermedi sono i responsabili dei bolidi che si vedono quando l’orbita terrestre li incrocia. Uno dei pezzi di maggior diametro della cometa potrebbe essere stato il responsabile dell’innesco dell’evento del Dryas recente. La successione temporale che ho descritto è compatibile con la data di innesco dell’evento.

Si tratta, come si può vedere, di una bella teoria che spiega un po’ tutto, ma teoria resta. Sarebbe bello se tutta questa ricostruzione trovasse un riscontro in una prova archeologica, magari un bel documento scritto. Purtroppo per noi la scrittura comparve in Europa solo 8000 anni fa: troppo tardi per essere utile per confermare o rigettare la teoria dell’impatto di un corpo celeste utilizzata per spiegare l’origine dell’evento del Dryas recente. Questo si pensava fino a qualche mese fa. Le cose sono cambiate a seguito della pubblicazione sulla rivista Mediterranean Archaeology and Archaeometry dell’articolo

DECODING GOBEKLY TEPE WITH ARCHAEOASTRONOMY: WHATH DOES THE FOX SAY?

di M.B. Sweatman e D. Tsikritsis  (da ora Sweatman et al., 2017).

I due ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulle figure zoomorfe e sulle figure astratte scolpite sulle colonne megalitiche del complesso monumentale. Lo scopo era quello di individuare il significato delle sculture e dei simboli che le circondano: è normale cercare di capire cosa avesse spinto i nostri antenati a disporre le colonne in quel modo ed a scolpire quelle figure e non altre.

Sweatman et al., 2017 parte dallo studio di un particolare pilastro: il pilastro 43 che è rappresentato nella figura che segue.

 

Fig. 1. In questa figura (elaborata da quella tratta da qui) si vede il pilastro 43: a sinistra l’immagine del pilastro originale, a destra la sua replica custodita nel Museo di Sanliurfa (Turchia).

 

La parte più interessante del pilastro è quella inferiore (quella coperta nella versione originale). In essa si vede chiaramente una figura zoomorfa che gli autori in modo condivisibile individuano con uno scorpione. Nella parte superiore del pilastro alcuni uccelli di cui quello più evidente potrebbe essere un avvoltoio o un’aquila. Dalle foto non possiamo individuare altre specie animali, ma gli autori descrivono cani o lupi, un serpente o pesce e una piccola figura antropomorfa decapitata. Ai fini del nostro discorso non è importante individuare, però, la specie esatta degli animali rappresentati quanto la loro posizione reciproca. Particolarmente degne di nota le “borse” scolpite nella parte superiore del pilastro e le forme animali rappresentate, ma anche i simboli astratti (sembrano delle V disposte di diritto e di rovescio e incastrate le une nelle altre).

Secondo gli autori questo pilastro rappresenta una data ben precisa (date stamp).

Lo studio di altri pilastri del complesso evidenzia una ripetizione dei simboli di questo pilastro anche se disposti in modo diverso. In particolare suscita interesse il pilastro 3 in cui compare una figura zoomorfa detta volpe e, soprattutto, alcuni simboli apparentemente astratti o rappresentativi di un qualche monile. Essi sono visibili nella fig. 3 allegata più in basso.

Secondo Sweatman et al., 2017 lo scorpione raffigurato sul pilastro 43 costituisce un chiaro riferimento alla costellazione dello Scorpione per cui il complesso di Göbekli Tepe più che un tempio potrebbe essere un osservatorio astronomico ante-litteram. Fondare un’ipotesi del genere solo sulla figura dello scorpione farebbe sorridere chiunque (anch’io mi sono messo a ridere, quando ho letto la prima volta), ma leggendo il resto dell’articolo mi sono reso conto che i ragionamenti degli autori non sono affatto campati in aria. Essi si basano, infatti, su dati di fatto piuttosto convincenti. Procediamo, però, con ordine.

L’idea che i nostri progenitori fossero dei bruti in perenne lotta per il cibo è semplicistica e, secondo me, profondamente sbagliata. Le sculture di Göbekli Tepe ne sono una prova concreta, ma anche i siti della civiltà nuragica (in particolare il pozzo sacro di Paulilatino o Santa Cristina, in provincia di Oristano che io ho avuto occasione di visitare qualche anno fa), pur se posteriori a quello di cui stiamo discutendo di diversi millenni,  testimoniano la complessità di quelle associazioni umane così antiche.

Sweatman et al., 2017 è dell’avviso che il pilastro 43 del complesso di Göbekli Tepe sia una mappa del cielo in una data ben precisa. Vediamo su cosa gli autori fondano la loro ipotesi.

Utilizzando un programma di calcolo in grado di rappresentare le costellazioni nel corso dei secoli, gli autori hanno ricostruito il cielo come appariva da Göbekli Tepe circa 11000 anni fa. La posizione reciproca delle costellazioni in tale ricostruzione appare sorprendentemente simile a quella rappresentata nel pilastro 43. Secondo Sweatman et al., 2017 l’aquila rappresenta quella che oggi conosciamo come la costellazione del Sagittario, l’uccello sulla destra in basso rispetto all’aquila, rappresenta la costellazione dell’Ofiuco (se si dispongono le stelle che formano la costellazione sulla sagoma dell’uccello, esiste una certa corrispondenza e ciò spiegherebbe la particolare conformazione dell’animale), lo scorpione la costellazione dello Scorpione ed il cerchio al centro del pittogramma sull’ala dell’aquila (Fig. 1.) il Sole. Su questo è opportuno, però, soffermarsi un attimo.

Guardiamo per prima cosa come appariva il cielo nell’area in cui si trova il sito archeologico circa 11000 anni fa (ricostruita con un programma di calcolo).

 

Fig. 2: Coincide con la figura 5 dell’articolo originale e consente di vedere alla sinistra del Sole la costellazione del Sagittario, sulla destra, in basso, quella dell’Ofiuco e in basso, al centro, la costellazione dello Scorpione.

 

Confrontando i pittogrammi del pilastro 43 si vede come l’avvoltoio assuma una posa (ali spalancate e testa voltata verso la nostra destra) che rappresenta in modo piuttosto fedele la costellazione del Sagittario. Lo scorpione posto sotto l’avvoltoio rappresenta la costellazione dello Scorpione e il piccolo uccello sulla destra l’Ofiuco. Le dimensioni dell’Ofiuco non corrispondono a quelle dell’uccello e le distanze tra le figure non sono in proporzione a quelle tra le costellazioni, ma le posizioni reciproche coincidono (soprattutto la posizione del Sole). Ciò probabilmente deve ricercarsi nelle dimensioni del pilastro che hanno costretto l’artista a deformare la scena. Se proviamo ad ingrandire la figura dell’uccello in basso a destra, come già accennato, vediamo che essa va a sovrapporsi a quella della costellazione e ciò spiega anche la forma sbilenca dell’uccello scolpito nella roccia.

Gli autori portano anche altri ragionamenti a sostegno della loro tesi, ma per semplicità mi limito a quanto ho già scritto. La principale obiezione che può essere fatta a questi ragionamenti, è che, nel corso dei millenni, altre date corrispondono a questa particolare configurazione delle costellazioni. Sweatman et al., 2017 si è posto il problema ed ha individuato altre tre date alternative a quella privilegiata: 2000 AD, 4350 BC e 18000 BC. Escludendo la prima perché inverosimile e l’ultima perché anteriore di diversi millenni al complesso, restano 10950 BC e 4350 BC: la datazione al radiocarbonio dei resti biologici trovati nelle murature del sito, rende molto più plausibile la data 10950 BC. Gli autori analizzano anche le altre figure presenti sul pilastro, in particolare le “borse” ed altre figure zoomorfe. Le “borse” potrebbero essere dei simboli astratti che rappresentano date fondamentali dell’anno astronomico: solstizi ed equinozi. Le piccole figure animali potrebbero rappresentare le costellazioni in cui si verificano tali eventi salienti. Utilizzando il programma di simulazione del cielo stellato nel corso dei millenni, gli autori trovano un’ulteriore conferma della loro tesi: gli equinozi ed i solstizi nel 10950 BC caddero in costellazioni particolari che potrebbero essere proprio quelle rappresentate nel pittogramma (per semplicità espositiva rinuncio a descrivere i ragionamenti degli autori a sostegno della loro tesi, ma li condivido).

Vista così, nonostante i riscontri scientifici, la cosa sembra, però, una favoletta. Potrebbe trattarsi, infatti, di una pura coincidenza. Utilizzando, però, delle analisi statistiche, gli autori hanno potuto verificare che la disposizione reciproca dei pittogrammi e soprattutto la loro forma, confrontate con quelle delle costellazioni, avrebbe avuto una probabilità di coincidere in maniera causale di 1/5000000. O l’artista preistorico è stato molto fortunato, oppure ha effettivamente rappresentato il cielo di quella zona nel 10950+/-250 BC.

A questo punto ci si chiede come mai quella particolare disposizione delle costellazioni ed il corrispondente periodo temporale, furono reputati talmente importanti da essere immortalati nella roccia. L’unica spiegazione possibile è che in quel momento storico, dovette verificarsi qualcosa di eccezionale e senza precedenti, qualcosa che colpì a tal punto la collettività, da essere assunto ad evento fondamentale nella storia e da tramandare ai posteri.

Analizzando la struttura di Göbekli Tepe, gli archeologi hanno potuto vedere che il sito è stato utilizzato per molte generazioni, probabilmente per millenni. I pilastri che caratterizzano il sito, sono in parte inglobati nella muratura e questo significa che il complesso ha subito vari rimaneggiamenti. Una delle spiegazioni di queste ristrutturazioni deve essere ricercata nelle modifiche del cielo. Le costellazioni non occupano le stesse posizioni, ma esse cambiano la loro disposizione sulla volta celeste nel corso dei millenni. Questo fenomeno è conosciuto come precessione degli equinozi. Nel corso dei secoli il popolo di Göbekli Tepe ha modificato il sito per adeguarlo alle mutate configurazioni celesti: essi conoscevano il fenomeno delle precessioni e lo studiavano. Abbiamo visto che i muri che uniscono i pilastri del complesso risalgono a circa 9500 anni fa. I pilastri risultano certamente precedenti in quanto scolpiti interamente e poi conglobati nella muratura. Sarebbe stato del tutto inutile scolpirli per poi coprirli. Appare logico supporre che essi per lungo tempo restarono esposti alla vista e, solo in un secondo tempo, furono coperti. Possiamo concludere, pertanto, che a Göbekli Tepe le stelle si osservavano molti anni, secoli se non millenni, prima che si costruissero i muri. In questa ottica appare sensato pensare che il pilastro 43 sia stato realizzato molti secoli prima del muro che ora lo contiene in parte, probabilmente in contemporanea con la particolare disposizione delle costellazioni che vi sono scolpite sopra, cioè nel 10950 BC +/-250.

Sempre su questo pilastro fu scolpita una figura antropomorfa con la testa mozzata e diversi serpenti. Entrambi i simbolismi rappresentano la morte, la sofferenza, la distruzione. Dobbiamo dedurne che l’evento corrispondente alla disposizione delle costellazioni sul pilastro 43, sia stato un evento tragico.

Per capire di che tipo di evento si sia trattato, bisogna dare un’occhiata agli altri pilastri, in particolare il pilastro 3 su cui sono riportati dei segni apparentemente astratti.

Fig. 3. Nella figura è visibile una specie di H con una fossetta nella parte intermedia ed una forma circolare incastonata in una falce. Questa figura costituisce la chiave di volta dell’interpretazione dei pittogrammi del complesso monumentale.

 

Secondo gli autori la H forata rappresenta delle stelle particolarmente importanti e molto luminose, mentre il cerchio e la falce rappresentano l’oscurità. I due pittogrammi accoppiati dovrebbero avere, a questo punto, un significato molto chiaro: un evento drammatico ha oscurato il cielo ed ha impedito di vedere le stelle. Analizzando la posizione dei punti di osservazione nella struttura (enclosure, nel testo originario), la posizione dei pilastri ed i pittogrammi rappresentati sui pilastri, ci si rende conto che il sito di Gobelki Tepe rappresenta un osservatorio astronomico che privilegiava l’osservazione degli sciami meteoritici che noi conosciamo come Tauridi, cioè dei residui della cometa che secondo alcuni studiosi determinò l’evento del Dryas recente.

A questa conclusione ci porta un altro simbolismo che troviamo scolpito sui pilastri: l’immagine di una volpe. Analizzando la successione di alcuni simbolismi zoomorfi, Sweatman et al., 2017, giungono alla conclusione, con un margine di incertezza del 2% che il pilastro sul quale è scolpita la  volpe rappresentava la posizione in base alla quale osservare lo sciame meteorico delle Tauridi che, come abbiamo visto, è legato alla cometa i cui resti avrebbero causato l’evento del Dryas recente.

Come al solito ho cercato di riassumere nel miglior modo possibile un articolo scientifico piuttosto complesso. Spero di esserci riuscito e, comunque, l’articolo è liberamente accessibile.

Su questo sito ci occupiamo di clima e di cambiamenti climatici. Non è una novità per l’essere umano. Se Sweatman et al., 2017 dovessero aver visto giusto, i nostri lontani antenati hanno potuto sperimentare sulla loro pelle un cambiamento climatico feroce che fece piombare l’umanità in un periodo freddo e che causò la morte di centinaia di migliaia di persone (quando la popolazione umana era di circa un milione di individui). Un evento talmente traumatico da essere scolpito nella roccia affinché le future generazioni non lo dimenticassero e fossero pronte ad affrontarlo di nuovo. Un messaggio terribile, ma non disperato, perché l’Uomo era riuscito a sopravvivere al disastro cosmico ed a ricominciare daccapo. Un messaggio che mi sembra profondamente attuale.

E per finire questa lunga maratona (sperando che qualcuno abbia avuto la costanza e la pazienza di arrivare a questo punto) qualche considerazione circa le capacità dei nostri antenati. A prima vista quello di  Sweatman et al., 2017 sembra un ragionamento a posteriori, adattato a delle circostanze fortuite. Non è così perché noi esseri umani tendiamo a sopravvalutare il presente ed a sottovalutare il passato: i nostri antenati erano in grado di elaborare scenari di una complessità unica.

In “L’evoluzione dei miti”  di Julien d’Huy, pubblicato recentemente su “Le Scienze”, è stato analizzato il processo di evoluzione dei miti. Secondo quanto ipotizzato da  Jung i miti avrebbero avuto origini di tipo psichico. Ultimamente questa ipotesi sembrerebbe vacillare. Analizzando alcuni miti diffusi tra popolazioni di diversi continenti, è stato possibile individuare dei caratteri ricorrenti all’interno di essi che l’autore chiama “mitemi”. Si tratta di caratteri tipologici che possono essere paragonati ai geni biologici che ci caratterizzano. Applicando ai mitemi le metodiche utilizzate per studiare la propagazione dei caratteri genetici dai biologi evoluzionisti, d’Huy ha potuto ricostruire “l’albero evolutivo” dei miti scoprendo che essi hanno avuto origine millenni addietro. Tutti i miti relativi alle costellazioni celesti, per esempio, possono essere raggruppate in un albero filogenetico il cui mito originario risale a circa 15000 anni fa. Esso è il mito della Caccia Cosmica in cui un animale, inseguito dai cacciatori, viene trasformato in una costellazione. Anche questo articolo è molto più complesso di quanto sembri da ciò che ho scritto, ma io mi sono limitato ad estrarne il concetto saliente per l’argomento che sto trattando in questo post. Esso serve a dimostrare, infatti,  che già 15000 anni fa e, quindi, prima che a Göbekli Tepe venissero scolpiti i pilastri di cui abbiamo discusso fino ad ora, l’uomo è stato in grado di elaborare concetti assolutamente astratti. In altre parole gli esseri umani fin dalle origini hanno visto nella configurazione delle stelle, la trasfigurazione della loro quotidianità esaltando, fino ad elevarle al livello della divinità, le loro azioni e le loro prede. Come dargli torto? Essi vivevano grazie a ciò che cacciavano e cosa c’è di più sacro di quello che ci consente di vivere?

Alla luce di queste considerazioni l’ipotesi suggestiva di Sweatman et al., 2017 non appare più tanto peregrina. E spiegherebbe un altro mistero antropologico, ovvero l’idea che le comete siano foriere di sventura e che preannuncino morte e distruzione: la distruzione e la morte provocata dalla cometa che innescò l’evento del Dryas recente e che, forse, il popolo di  Göbekli Tepe raffigurò sul pilastro del suo osservatorio astronomico preistorico.

 

Roberto

Attività Solare