Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 23 Novembre 2017
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=46500

 

Cos’è una docufiction? Vocabolo di recente adozione anche nei dizionari più aggiornati, la docufiction può avere diverse accezioni, che però hanno tutte in comune, letteralmente, la commistione tra realtà e finzione, ovvero si corre sempre il rischio di generare ambiguità, quindi incomprensione.

Che c’entra tutto questo con la relazione tra clima e flussi migratori dalla Germania sudoccidentale all’America del XIX secolo analizzata in un paper che Science Daily ha commentato appena ieri? C’entra innanzi tutto nell’approccio, già minato dall’ideologia nell’intento, che è quello di dimostrare che quando il clima cambia fa comunque danno, a prescindere dalle cause. E siccome ora dottrina (nel senso fideistico del termine) vuole che il clima cambi per colpa nostra, eccoci serviti con la responsabilità diretta degli incontrollabili flussi migratori attuali e futuri.

Climate of migration? How climate triggered migration from southwest Germany to North America during the 19th century

A dire il vero, questa associazione di idee la fa molto più SD nel suo commento di quanto non lo si faccia nel paper, in cui tra l’altro si analizza, ed il paradosso è anche e soprattutto qui, quale sia stato l’effetto di una tendenza del clima ad assumere caratteristiche tendenti al freddo e non al caldo. Infatti, si descrivono e valutano i fattori climatici e quelli da questi derivati che caratterizzarono la fine della Piccola Età Glaciale, giunta appunto all’inizio del XIX secolo. Un conclamato periodo di raffreddamento le cui origini sono da ricercare in una fase di bassissima attività solare, punteggiato da episodi apicali, come ad esempio gli anni che seguirono all’esplosione del vulcano Tambora del 1815. La correlazione che gli autori trovano tra le ondate migratorie più importanti e le annate climaticamente più sfavorevoli è in molto casi significativa, tuttavia, l’approccio sbagliato è quello di considerare questi eventi sotto l’accezione moderna del climate change, oggi erroneamente riferibile alle sole variazioni che avvengono per cause antropiche. Gli eventi dell’epoca, così come la maggior parte di quelli attuali, dovrebbero cadere, se la valutazione fosse oggettiva, in un ambito di variabilità climatica, non di cambiamento, perché la prima attiene alle differenze anche marcate che giungono nel breve volgere delle stagioni o di pochi anni, il secondo deve sempre essere riferito ad una scala temporale molto più lunga. E la variabilità di breve periodo, per quanto la fiction la voglia associare alla tendenza climatica di lungo periodo, con essa ha invece molto poco a che fare.

Quindi, se raccontare come anche gli accadimenti atmosferici contribuirono ai flussi migratori è documentare, come ben fanno gli autori di questo paper, l’associazione di idee con l’attualità che fa SD è fiction:

In the past few years, climate has taken a central stage in migration discussions since future climate change is expected to lead to mass migration (‘climate refugees’), as sea levels rise and extreme weather events, such as floods, droughts and hurricanes, become more frequent.

A chi ha commentato questo paper sfuggono un paio di piccoli particolare: i cambiamenti climatici futuri sono tutt’altro che certi e ancor meno certo è il loro impatto, e, gli eventi estremi, piaccia o no, non stanno affatto aumentando. Il giorno che qualcuno mostrerà qualche numero che non sia frutto di previsioni ma di osservazioni sarà sempre troppo tardi.