Autore: Luigi Mariani
Data di pubblicazione: 24 Giugno 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41638
Credo che un vero ambientalista dovrebbe amare la CO2 in quanto si tratta del gas più essenziale per la vita sul nostro pianeta. In realtà la nostra esperienza quotidiana ci insegna che di solito è esattamente il contrario e che le organizzazioni ambientalistiche di tutto il mondo (seguite in ciò dai media, dai governi e dalle organizzazioni internazionali, Nazioni Unite in primis) sono impegnate in una sempre più violenta campagna di demonizzazione dell’anidride carbonica, un veleno di cui ridurre ad ogni costo l’emissione, un nemico da combattere senza alcun se e senza alcun ma.
Eppure qualche ambientalista “fuori dal gregge” viene ogni tanto allo scoperto, come nel caso di Patrick Moore, del quale alcuni anni orsono ebbi l’occasione di leggere l’interessante libro L’AMBIENTALISTA RAGIONEVOLE in cui sviluppava in modo sistematico le proprie idee nient’affatto ortodosse in tema di ambiente.
Di Moore esce ora lo scritto monografico “THE POSITIVE IMPACT OF HUMAN CO2 EMISSIONS ON THE SURVIVAL OF LIFE ON EARTH”, pubblicato dal Frontier Center for Public Policy, un think tank indipendente di ispirazione liberale con sede in Alberta, Saskatchewan e Manitoba (info qui e qui).
Lo scritto, segnalato ieri su WUWT, è liberamente disponibile.
Inizierò dicendo che la biografia di Moore, che si può leggere all’inizio dello scritto in questione, è senza dubbio particolare poiché lo vede passare da co-fondatore e poi direttore di Greenpeace a critico vigoroso di molte delle idee chiave di questo movimento ambientalistico.
Dal diario di bordo dell’Enterprise
Venendo al lavoro di Moore, lo stesso inizia con l’icastico brano che riporto qui di seguito, banale fin che vorrete ma tanto lontano da quanto ci viene oggi di norma proposto sull’argomento da parere tratto dal diario di bordo del capitano Kirk che sbarchi su un nuovo pianeta senza avvedersi che tale pianeta è in realtà la Terra:
“E un fatto indiscutibile che la vita sul pianeta sia fondata sul carbonio e che la fonte di questo carbonio è la CO2, il cui ciclo ha un segmento aereo che coinvolge l’atmosfera globale. Si pensa che l’origine prima della CO2 atmosferica siano state le massicce eruzioni vulcaniche avvenute in epoca remota e che le temperature estreme che le caratterizzarono abbiano causato l’ossidazione del carbonio all’interno della Terra formando CO2. Oggi, come gas minore e che rappresenta lo 0,04 per cento in volume, la CO2 permea l’intera atmosfera e viene assorbita dagli oceani e da altri corpi idrici (idrosfera) ove fornisce cibo per gli organismi fotosintetici quali il fitoplancton e le alghe. Se nell’atmosfera e nell’idrosfera non vi fosse CO2 o se il suo livello fosse insufficiente, sul pianeta Terra non vi sarebbe la vita come oggi la conosciamo.
L’esplosione cambriana
Il racconto di Moore ha inizio nel Cambriano, 540 milioni di anni orsono con la CO2 atmosferica a 7000 ppmv o, se preferiamo, 13mila GT di carbonio, mentre i valori odierni sono di 400 ppmv pari a 760 GT di carbonio (figura 1). La Terra era allora reduce da tre miliardi di anni in cui la vita era rimasta confinata negli oceani ove era per lo più costituita da organismi unicellulari microscopici. A quei tempi si verificò la cosiddetta “esplosione cambriana” e la vita moderna irruppe sulla scena del pianeta, manifestandosi dapprima degli oceani e poi sulle terre emerse in un’imponente varietà di forme frutto di catene alimentari sempre più complesse nutrite dagli elevatissimi livelli di CO2 allora presenti.
Moore colloca fra le “invenzioni” più importanti di quelle epoche il legno, composto di cellulosa e lignina, che consentì alle piante di realizzare strutture molto robuste (tronchi, rami) e in grado di portare gli organi atti ad intercettare la luce ad altezze prima impensabili. Una componente essenziale del legno è ovviamente la lignina, polimero attaccabile con difficoltà dagli organismi decompositori (funghi, batteri, ecc.) e che per tale ragione sarebbe alla base delle riserve fossili di carbone, riserve che si generarono per lo più durante il Carbonifero (da 360 a 285 milioni di anni fa), allorché la biomassa vegetale morta e composta in gran parte da lignina diede origine alle enormi riserve di carbone che oggi sfruttiamo e la CO2 atmosferica scese per la prima volta a valori simili a quelli odierni. La CO2 iniziò di nuovo a salire nel Permiano per raggiungere un massimo di 2500 ppmv (4690 GT i carbonio) nel Giurassico.
I livelli atmosferici ci CO2: un declino che viene da lontano
A partire dal Giurassico si assiste alla discesa graduale dei livelli atmosferici di CO2, che porta tale gas a raggiungere le 280 ppmv (559 GT di carbonio) intorno a 2,5 milioni di anni orsono, all’inizio del quaternario. Durante tale era geologica (di cui fa parte anche il nostro Olocene) si verificano inoltre periodiche ere glaciali (fin qui una quindicina, guidate dalle ciclicità astronomiche descritte da Milancovich) durante le quali la CO2 scende grossomodo a 200 ppmv (410 GT di carbonio) con un minimo di 180 ppmv (372 GT di carbonio) toccato circa 18 mila anni orsono.
Moore sottolinea che la CO2 in eccesso di cui l’atmosfera si è “liberata” è oggi in gran parte bloccata nelle rocce carbonatiche (che se organogene sono composte di scheletri di animali marini, conchiglie, coralli, gusci di radiolari e foraminiferi, ecc.), ove sono oggi stoccate ben 100 milioni di GTC (figura 2). Quello dell’accumulo del carbonio nelle rocce carbonatiche è un processo imponente che negli ultimi 140 milioni di anni ha rimosso il 90% della CO2 atmosferica, portando la vita sull’orlo dello sterminio per fame. E qui l’ironia della sorte sta nel fatto che la vita potrebbe aver prodotto il cappio a cui impiccarsi costituito dai sempre più efficienti sistemi di stoccaggio permanente della CO2 nelle rocce carbonatiche organogene.
Due catastrofi nel nostro futuro?
Moore ammette poi che l’aumento della CO2 atmosferica da 280 a 400 ppmv registrato dall’inizio dell’era industriale sia dovuto in prevalenza alle emissioni antropiche. Tuttavia in tale fenomeno Moore intravvede qualcosa di provvidenziale in quanto contrasta due tipi di rischio di catastrofe, uno nel breve e uno nel lungo termine. La catastrofe nel lungo termine (e cioè nei prossimi 1-2 milioni di anni) sarebbe legata all’intrappolamento in rocce carbonatiche della CO2 atmosferica che dovrebbe spingere i livelli di tale gas al di sotto di quelli minimi necessari per la fotosintesi, provocando carestie ed estinzioni in massa di specie viventi. La catastrofe nel breve termine è data dall’innesco di una nuova era glaciale, nella quale le basse temperature e i bassi livelli di CO2 metterebbero a repentaglio l’agricoltura e dunque le fonti di cibo per l’umanità e per gli ecosistemi.
Pertanto secondo Moore le emissioni antropiche di CO2 si sono fin qui rivelate provvidenziali per scongiurare tali due catastrofi. Tuttavia Moore si spinge oltre, osservando che le riserve di combustibili fossili sono di entità ridotta (5000-10000 GTC – figura 2) e quindi prima o poi si esauriranno. Pertanto l’uomo in futuro potrebbe essere costretto a ripristinare il livelli atmosferici di CO2 agendo sulle rocce carbonatiche con l’energia ricavata dal sole o dal nucleare. Debbo qui osservare che Moore probabilmente non sa che questo fantascientifico scenario fu in realtà prospettato tanti anni orsono da uno scienziato italiano, Raffaele Ciferri, il quale ipotizzò di agire sulle rocce calcaree con acidi in modo tale da liberare CO2 incrementando così la produzione agraria.
Preciso inoltre che Moore non nega che la CO2 come gas serra possa essere responsabile almeno in parte dell’aumento delle temperature globali in atto dal colmo della Piccola Era Glaciale; tuttavia secondo lui tale fenomeno sarebbe tutt’altro che distruttivo e perfettamente sopportabile da una specie come quella umana che nasce in zona equatoriale e che si è espansa al resto del pianeta solo grazie alla tecnologia (governo del fuoco, domesticazione di piante ed animali, vestiario, abitazioni, ecc.).
Una pensiero eretico
Una linea di pensiero, quella espressa da Moore, eretica in puro stile Dyson e circa la quale Moore dichiara il proprio debito culturale rispetto a James Lovelock, il padre della teoria di Gaia. Moore evidenzia infatti che Lovelock prese anch’egli le mosse dalla demonizzazione la CO2 ma in seguito effettuò una radicale revisione del suo pensiero che nel 2010 lo spinse a pronunciare la frase che segue:
“quel che stiamo facendo con le nostre emissioni di anidride carbonica, lontano dall’essere qualcosa di spaventoso, è utile ad impedire l’avvento di una nuova era glaciale. Se non fossimo apparsi sulla Terra il nostro pianeta starebbe avviandosi oggi verso una nuova era glaciale, per cui odio l’abitudine di sentirsi in colpa per quello che stiamo facendo” (Bowater, 2010).
Bibliografia
- Bowater D., 2010. “How carbon gases have ‘saved us from a new ice age.”’ Daily Express, March 11, 2010.
- GLOBE Carbon Cycle Project, 2010. Adapted from R.A. Houghton, “Balancing the Global Carbon Budget,” Annu. Rev. Earth Planet, obtained from NASA, http://www.nasa.gov/topics/nasalife/features/globe-workshop.html. Author updated atmospheric C from 750 to 850 and fossil fuel CO2 emissions from 7.7 to 10 to reflect current levels.