Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 13 Agosto 2020
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=53225
È tempo di vacanze, almeno così dice il calendario, e quindi mi concedo a cuor leggero il lusso di abbassare il livello di questo Blog per un intervento dai toni più personali del solito. Prendendo spunto da un recente post di Guido, che ha appena sfiorato con la consueta rassegnata eleganza un tema che mi permetto di espandere con alcune riflessioni personali: il tema della fatica.
Sono stati mesi difficili per tutti. Ognuno di noi ha vissuto sulla sua pelle questo lunghissimo periodo di incertezza, di paura per sè e per i propri cari. Di difficoltà nella gestione delle cose più elementari, anche di quelle fino a ieri più naturali e scontate. Ci siamo dovuti confrontare personalmente con temi che sono scomparsi da tempo dalla narrativa quotidiana, complice anche l’eclissi generale della fede religiosa, ma che non hanno mai cessato di esistere in quanto tali, perché connaturati alla nostra stessa condizione di esseri umani.
Abbiamo temuto per il nostro lavoro, ci siamo scoperti fragili. Siamo stati sommersi da una quantità immensa di informazioni, nella gran parte dei casi contraddittorie. Nel migliore dei casi, inutili. Sommersi di proclami, di sentenze, di accuse, di minacce, di promesse. Sommersi di immondizia mediatica, mentre la vita andava avanti, kafkiana: da carcerati in attesa di giudizio con un capo di imputazione sconosciuto.
Personalmente, mi è rimasto addosso un senso di grande stanchezza, e di fatica. Mentale, prima di tutto. E che si acuisce quando provo a scrivere di clima, anche solo a pensare di clima. Perché tutto mi appare ormai così evidente e scontato. Su questo Blog si è cominciato a esplorare il “secondo livello” della narrativa climatista quando altrove ancora ci si baloccava con sofisticati esercizi di apologia del massacro dei data-set climatici del passato, a colpi di secchiate di acqua di mare, e di hockey-stick che proprio non volevano saperne di storcersi come da design.
Nel corso degli anni, in tanti hanno mangiato la foglia, mentre la schiera di chi contestava alla radice la narrativa scassata del clima che (non) va a rotoli si arricchiva di scienziati titolati, di ambientalisti pentiti (1, 2), di registi fulminati sulla via di Damasco (o di Parigi, meglio), trovando persino spazio su alcuni media non propriamente di nicchia. Personalmente ho vissuto e continuo a vivere questo processo di lenta ma inarrestabile presa di coscienza collettiva con un senso di liberazione: andare controcorrente è faticoso, e ancor più faticoso quando la corrente è forte, e l’acqua è torbida. Sentire di aver microscopicamente contribuito a dare le prime picconate al Moloch climatista rimarrà sempre motivo di grande orgoglio, e di altrettanto grande gratitudine a chi mi ha concesso (con grande pazienza) spazio su queste pagine.
Ma ora? Che si fa? Il rischio è quello di continuare a ripetersi all’infinito. Criticare gli articoli della stampa allineata sul climallarmismo rischia di essere stucchevole: l’informazione mainstream in fatto di “scienza del clima” fa semplicemente schifo: è un menù pre-cotto di cialtronerie grossolane e ridicole, confezionate a beneficio esclusivo di un pugno ristrettissimo di persone che detengono la proprietà della stragrande maggioranza dei media globali, e che quei media li usano come puri e semplici strumenti di marketing e propaganda. Ha ancora senso commentare il climallarmismo di chi con la “transizione energetica” intende fare profitti a 12 zeri? Non è già abbastanza chiaro il gioco? Chi voleva e poteva capire, ha già avuto in dotazione tutti gli strumenti per farlo.
È proprio la sensazione di ripetersi e di rimestare sempre lo stesso brodo di porcherie pseudo-scientifiche ad alimentare questo senso di fatica. Tanto più che adesso il tema del business climacatastrofista ha fatto breccia anche fuori dal villaggio di Asterix, ed il re è nudo in tutta la sua goffaggine. Ma forse qualcosa si può ancora fare, per superare la paura di ripetersi e mettersi alle spalle questo senso di fatica.
Si potrebbe provare ad alzare ulteriormente il livello dell’analisi strategica su chi muove i fili di questa narrativa, e il discorso si farebbe inevitabilmente geopolitico: si potrebbe parlare del ruolo che alcune grandi potenze stanno probabilmente avendo, nell’alimentare una narrativa che fa i loro interessi a dispetto dei nostri, e di quelli dell’Europa tutta.
Si potrebbe parlare della grande novità del momento: la nuova pietra filosofale dell’idrogeno “verde”, una sfida a qualche secolo di studi di termodinamica che sta offrendo spunti giornalistici di assoluta comicità per chi padroneggia realmente la materia.
Si potrebbe fare qualche excursus storico alla luce dei parallelismi evidentissimi tra la situazione attuale e quanto già sperimentato in un passato che si riteneva irripetibile.
Si potrebbe tradurre qualche articolo pubblicato sulla stampa straniera non-mainstream, rendendo così un pubblico servizio ai tanti che non masticano le lingue straniere e che si auto-condannano al magma mefitico dell’infotainment mainstream italiano.
C’è tanta fatica, ma c’è ancora tanto di cui parlare, senza sentirsi assillati dall’obbligo di scrivere qualcosa solo per riempire delle pagine: una sensazione che nessuno sicuramente ha mai provato su questo Blog, perché qui si scrive solo per il piacere di condividere. Mi scuso ancora per aver sequestrato questa pagina trasformandola in una seduta di auto-analisi condita da una dichiarazione finale di intenti. E ne approfitto per ringraziare qualche “grande firma” di questo Blog con cui ho avuto il piacere di condividere qualcosa di ancora più personale in questi mesi così difficili.
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“Basta poco per consolarci, perché basta poco per affliggerci.“ — Blaise Pascal, Pensieri