Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 15 Luglio 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41821

Ocean_circulation_conveyor_belt

La circolazione oceanica, nel suo complesso, si definisce circolazione termoalina, in quanto innescata nei suoi moti ascendenti e discendenti e nel suo trasportare energia attraverso gli oceani, dalla densità delle acque, a sua volta funzione della temperatura e della salinità. Date le proporzioni della massa oceanica e l’enorme quantità di energia in essa contenuta, la sua interazione con la componente atmosferica è, ai fini del clima, sostanziale. Come lo è la necessità di acquisire conoscenza sulle dinamiche che la tengono in moto, in un contesto di eventi che avvengono a larghissima scala spaziale ma possono essere fortemente condizionati da ciò che avviene a scala anche molto inferiore, come ad esempio il rimescolamento verticale, sostanzialmente confinato nella porzione settentrionale del Nord Atlantico e attorno all’Antartide.

Nel numero più recente di Nature Geoscience è uscito un focus sulla circolazione oceanica e sui molteplici aspetti della sua interazione con le componenti atmosferica, terrestre e glaciale, dal quale, attraverso la serie di studi analizzati, escono molte buone notizie. Una tra tutte: nonostante abbia fatto molta presa sui media e rappresenti un autentico spauracchio per i destini climatici del breve termine, la modifica della circolazione oceanica, tutta o solo in parte, è di là da venire, anzi, ad oggi, non ve n’è alcuna traccia.

Quel che si è visto accadere nei tempi più recenti, nei quali è bene ricordarlo si è potuto disporre di una capacità osservativa senza precedenti, si può tranquillamente ascrivere al range di oscillazioni proprie della variabilità naturale. Così sembra essere, ad esempio, per il rallentamento osservato dal 2004 dell’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation, ramo atlantico della circolazione termoalina di cui fa parte anche la Corrente del Golfo), che altro non è che il recupero da un’accelerazione occorsa nel periodo immediatamente precedente. Così sembra essere, anche per l’immissione di acqua dolce proveniente dalla fusione dei ghiacci groenlandesi, che alla prova dei fatti non ha avuto sin qui alcun impatto se non minimale sulle dinamiche proprie di quella porzione dell’Oceano Artico.

Insomma, nel focus di Nature, una serie di paper purtroppo a pagamento di cui tra l’altro abbiamo anche già parlato su queste pagine e un interessante riassunto – liberamente disponibile – che dicono chiaramente che allo stato dell’arte della conoscenza su questi argomenti, i segnali di impatto delle attività umane sulle dinamiche oceaniche sono, almeno per ora, decisamente elusivi.

Lo trovate qui: Subtle signals at sea

Da tenere a mente.