Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 14 Aprile 2021
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=54785

All’incirca tre anni fa ci era capitato di commentare una delle tante perle del Fatto Quotidiano in materia di clima che cambia e di investimenti lungimiranti: allora si annunciava solennemente la fine della montagna per come la conosciamo, ovvero la fine della neve e soprattutto la fine dell’industria del turismo invernale. Una nemesi da far sussultare il cuore di ogni terzomondista che si rispetti: il global warming che fa fuori uno sport “da ricchi”.

E come intendevano sostituire l’industria dello sci valtellinese, gli investitori visionari del Fatto Quotidiano? Facendo la cosa più naturale del mondo: piantando olivi in una vallata alpina circondata da vette alte fino a 4,000 metri. In attesa, si immagina, di passare ai banani e alla tapioca. Tanto, ci pensa il “Global Warming”: lo dice la Scienza con la “S” maiuscola e il buon investitore deve muoversi di conseguenza. Al diavolo skilift e seggiovie: roba da bauscia negazionisti destinati all’estinzione.

Tre anni dopo

Sono passati tre anni, nei quali sulle Alpi è continuato a nevicare regolarmente, quando non in quantità superiori alla media stagionale. Per la gioia del popolo dei “decrescitisti infelici” l’industria dello sci è finita comunque K.O. Non per mano del Global Warming, quanto per via dei lockdown legati al Covid, per altro in condizioni di innevamento straordinarie (con la solita eccezione di chi ha voluto agire diversamente, e ha raccolto i frutti).

Quanto alla vagheggiata trasformazione della Valtellina nel nuovo frantoio d’Europa, solo un paio di anni dopo i proclami del Fatto Quotidiano è stata annunciata la sospensione del bando per la distribuzione degli olivi nella valle, ufficialmente (ed eufemisticamente) per “identificare le varietà di olivo che meglio si adattano al territorio locale”.

Delle due una: o gli olivi valtellinesi faticano ad adattarsi ad un clima già troppo caldo e siccitoso da fare invidia al Maghreb. Oppure, semplicemente, fa ancora troppo freddo, a dispetto degli auspici del Fatto Quotidiano. E a conferma della seconda ipotesi, non risulta ad oggi l’avvistamento di dune di sabbia in Valtellina, semmai di accumuli generosi di una materia bianca, soffice e fredda.

Nel frattempo, dopo anni di furiose battaglie e campagne giornalistiche con la schiuma alla bocca contro l’approdo di una invisibile condotta di gas naturale, accusata dell’espianto (e successivo re-impianto) di qualche centinaio di olivi, alla redazione del Fatto avranno registrato la scomparsa di qualche milione di olivi causa xylella. Complici certe campagne giornalistiche cospirazioniste (piuttosto popolari presso lo stesso  quotidiano) che negavano l’esistenza stessa del problema e si opponevano agli espianti degli esemplari infetti proponendo soluzioni più “green”.

Morale della favola: invece di trasformare le Alpi in un oliveto nel nome del “green”, il Salento e’ diventato un deserto, nel nome dello stesso “green”. Invece di scomparire la neve, sono scomparsi gli olivi. Hanno solo sbagliato a prevedere chi dei due sarebbe scomparso. Cose che capitano a chi pretende di vedere troppo nel futuro.

Intanto in Francia…

Giusto per rimanere in tema di attualità agricola, (non) ha fatto notizia l’ondata di gelo che ha interessato l’Europa negli scorsi giorni, con contorno di nevicate in pianura e temperature abbondantemente al di sotto della media.

Se a causa del freddo gli oliveti valtellinesi stentano a decollare, per lo stesso motivo pare che in Francia le viti stiano morendo (letteralmente) congelate. Una situazione particolarmente difficile, che ha costretto gli agricoltori transalpini a far ricorso al meglio che offre la tecnologia moderna: dei veri e propri falò accesi tra le vigne, a perdita d’occhio, a mo’ di lumini.

Gli agricoltori giurano che in questo modo si riesce a far aumentare le temperature al suolo di un paio di gradi, che a fronte del gelo degli scorsi giorni potrebbero comunque non bastare.

Certo fa sorridere l’idea che la stessa isola di calore che gli espertoni di clima sostengono non abbia nessun effetto sulle temperature misurate dalle stazioni meteo, funzioni invece molto bene per salvare le vigne dal congelamento.

Sicuramente ci sarà qualche raffinatissimo calcolo differenziale pluri-referato che dimostrerà il contrario, ma intanto i contadini continuano a fare quello che hanno sempre fatto nei secoli. Ché il tempo atmosferico, in barba alle previsioni dei migliori, continua a sottoporre sempre le stesse sfide affrontate dai nostri antenati negli ultimi millenni.

De Profundis

Di sicuro i soliti (ig)noti avranno attribuito anche questo ennesimo episodio freddo alla carnevalata del “fa freddo perché fa caldo”. Una carnevalata totalmente smentita dai dati sul campo, che dicono esattamente il contrario: ha fatto freddo perché ha fatto freddo. Punto (ne parleremo presto).

Restiamo con l’immagine, invero suggestiva, delle vigne congelate e punteggiate di lumini. Una immagine dai toni decisamente funebri. Che si tratti del funerale della credibilità e dell’indipendenza di un certo giornalismo, o di certa ricerca scientifica, poco importa.

L’unica certezza è che arriverà sicuramente un nuovo studio che ci spiegherà con dovizia di particolari e di simulazioni modellistiche che “fa freddo perché fa caldo”. Magari per un motivo diverso dalla teoria ancora tambureggiante sui media, ma demolita dall’evidenza, sul vortice polare che ci casca in testa perché il getto si è fatto loffio.

Come è altrettanto certo che alla nuova “rivelazione scientifica” farà seguito la solita ridda di articoli giornalistici visionari che suggeriranno ai contadini francesi di espiantare le vigne per sostituirle con allevamenti di dromedari o piantagioni di cotone.

Una risata ci seppellirà. Ma per intanto, vestiamoci pesante.