Nell’articolo di Alessio dal titolo “glaciazione a breve?” emerge uno scenario apocalittico che può non corrispondere alla realtà dei fatti, ma che, indubbiamente, porta il lettore ad avere essenzialmente reazioni di scherno per alcuni, o di terrore puro per altri.
Chiariamoci… tutto è ancora nell’ambito degli “scenari possibili”, quindi non c’è ancora una certezza al 100% che si possa verificare, ma si tratta comunque di ipotesi basate sulle conoscenze, non certamente complete, del sistema climatico terrestre e dei relativi meccanismi e cicli ricorrenti.
Prima di tutto vorrei ribadire un concetto di base che sfugge a troppe persone, sia tra gli “addetti ai lavori”, sia soprattutto tra gli utenti che ci seguono. Tale concetto è la differenziazione delle “fasi climatiche” che del nostro pianeta.
Geologicamente parlando, vi sono Ere Glaciali ed Ere Interglaciali, causate quasi esclusivamente dai cicli di Milankovitch, ovvero tutta una serie di fattori astronomici che, insieme, contribuiscono all’alterazione su periodi lunghi e lunghissimi, dell’energia che il Sole irradia nello spazio e che arriva sulla Terra. Tali ciclicità si alternano in modo più o meno prevedibile e tirano in ballo anche i movimenti del Sistema Solare intorno al nucleo galattico, nonché il passaggio del Sistema Solare stesso attraverso ammassi di gas interstellare nei quali la temperatura è notevolmente differente rispetto all’ambiente (spazio) circostante. Attualmente il nostro pianeta si trova nel bel mezzo di una Era Glaciale da oltre 3 milioni di anni. Per capire essenzialmente la differenza… basta guardare all’eventuale presenza sulla superficie terrestre di acqua allo stato solido, quindi neve e ghiaccio.. Se sul pianeta c’è ghiaccio d’acqua, allora ci troviamo in una Era Glaciale, altrimenti è un’Era Interglaciale. La durata delle Ere Glaciali e delle Ere interglaciali, è comunque quantificabile in diversi milioni di anni… e, per quello che ne sappiamo attualmente, non abbiamo sufficienti dati per poterne prevedere l’inizio e la fine di ognuna di esse.
A sua volta le Ere Glaciali sono suddivisibili in 2 distinte “sotto-fasi”, ovvero i Periodi Glaciali e i Periodi Interglaciali (alcune volte tali periodi vengono denominati rispettivamente “periodi interglaciali freddi” e “periodi interglaciali caldi”).
Nel primo caso si ha una espansione delle Calotte Glaciali, nel secondo caso la loro contrazione.
Attualmente ci troviamo in un Periodo Interglaciale da circa 12000 anni, secolo più, secolo meno.
La durata di tali Periodi non è uniforme. Negli ultimi 800.000 anni circa, i Periodi Glaciali durano mediamente circa 120.000 anni, millennio più, millennio meno; mentre i Periodi Interglaciali durano 10 volte meno… quindi circa 12.000 anni. La durata dei Periodi Interglaciali, poi, varia in un apparente rapporto 1:3… ovvero 1 Periodo Interglaciale più lungo e meno caldo, seguito da 3 Periodi Interglaciali più brevi e più caldi. L’attuale Periodo Interglaciale sembra molto simile a quello verificatosi intorno ai 400.000 anni fa, quindi con una durata leggermente maggiore ma con una temperatura media inferiore rispetto agli altri Periodi Interglaciali.
L’uso del termine “glaciazione”, come anche “Era glaciale” viene spesso e troppo volentieri usato a sproposito, cercando in qualche modo di enfatizzare l’evoluzione verso il freddo del clima terrestre. Andrebbe quindi usato in modo diligente, altrimenti si rischia di fare dell’inutile allarmismo climatico.
Come stanno realmente le cose quindi?
Fatta l’importante premessa sulla distinzione tra Ere e Periodi climatici, bisogna ora capire quale è stata la realtà climatica del passato.
Circa 15000 anni fa, l’aumento della temperatura sul pianeta Terra, insieme ad una serie di eventi catastrofici di origine cosmica, hanno portato alla fusione delle calotte glaciali. All’epoca della massima estensione dei ghiacci, per farvi capire, la Calotta Glaciale Artica copriva una porzione significativa del Canada, estendendosi a tutta la Groenlandia e parte degli stati centrali e nord-orientali degli Stati Uniti d’America, con uno spessore massimo calcolato, per la zona di Chicago, di circa 4000 metri. In quel frangente, però, il Polo Nord magnetico e quasi certamente anche quello geografico, si trovavano dove oggi c’è la Baia di Hudson, a nord del Canada, o meglio, era questa zona che si trovava in corrispondenza del Polo Nord Geografico. Quindi la crosta terrestre era “spostata” rispetto ad oggi. Non entro nell’argomento perché sarebbe troppo lungo, ma vi sono teorie che completano quella della tettonica a placche e che spiegano, in modo preciso e dettagliato, il perché di tali spostamenti (vedasi a tal proposito la “teoria della dislocazione della crosta terrestre”).
Ad ogni modo, tra i 15.000 e i 12.000 anni fa circa, si era formato un enorme “lago glaciale” sul nord America, chiuso all’interno di una sorta di “diga naturale” formata dal ghiaccio che non si era ancora fuso del tutto. Una serie di impatti cosmici, in prossimità delle regioni polari, ha portato alla distruzione del “muro di ghiaccio” costituente la diga naturale e quindi alla fuoriuscita dell’enorme massa di acqua dolce e fredda che si riversò nelle pianure e nelle valli, andando ad incrementare il livello degli oceani di decine di metri.
La temperatura stava aumentando già da diversi secoli e quell’evento, noto come Youger Drias, portò al blocco istantaneo della corrente termoalina dell’Oceano Atlantico, il cui ramo più conosciuto è quello della Corrente del Golfo. Tale blocco portò ad un nuovo raffreddamento durato un migliaio di anni circa, seguito da un nuovo riscaldamento. E questa volta, finalmente, culminato con l’attuale Periodo Interglaciale. Chiariamoci… in questo caso il termine “blocco” non è da intendere in uno “stop” completo, ma più che altro in una modificazione del naturale percorso delle correnti oceaniche dell’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation) dovuto proprio all’aumento del livello del mare e al raffreddamento causato dall’immisione di enormi quantità di acqua dolce.
La questione relativa ai Mammut e altri animali siberiani trovati “ibernati” con ancora il cibo non digerito nello stomaco, è ancora molto dibattuta. L’analisi dei resti mummificati di decine di questi animali, ha portato a suggerire che la causa della morte sia stata provocata, in realtà, da ASFISSIA e SURGELAMENTO (ovvero congelamento immediato). Ovvero quegli animali si sarebbero ritrovati, improvvisamente, senza aria ed esposti ad uno sbalzo termico negativo, di molte decine (ma veramente tante decine) di gradi. L’unico evento che potrebbe spiegare tale scenario è quello dell’impatto, ad alta velocità di uno o più corpi rocciosi di origine cosmica, come nuclei cometari o asteroidi, con conseguente spostamento di una enorme massa d’aria nella direzione dell’impatto. Immaginando quindi il pianeta Terra, se da da un lato abbiamo la compressione dovuta alla pressione del corpo impattante sull’atmosfera, dall’altro abbiamo una decompressione con simile potenza e velocità.
In pratica il corpo impattante avrebbe colpito l’atmosfera tra il nord del Canada e il nord Europa, provocando una sorta di “vuoto” nell’atmosfera sulla regione della Siberia, esponendo temporaneamente tutta quella regione al vuoto dello spazio. Nella zona colpita da questa violenta decompressione, quindi, la temperatura è precipitata istantaneamente a quella dello spazio extra-atmosferico, ovvero -150°C circa, provocando l’ibernazione immediata di tutto e tutti. Questo spiega anche il perché la carne dei mammut ritrovati dopo migliaia di anni, sia ancora potenzialmente “commestibile”, ma ci mette di fronte ad una domanda cruciale la cui risposta la lascio a voi: come si spiega il fatto che siano stati ritrovati mammut risalenti a 11.000 anni fa ed altri risalenti invece a 40.000 anni fa?
Ricordiamoci inoltre che durante la massima espansione della Calotta Glaciale Artica, in Siberia non vi era ghiaccio ma steppe e praterie verdi. Certo, le temperature non erano quelle africane di oggi, ma non erano neanche quelle che possiamo rilevare oggi in quelle zone in pieno inverno. Per quel periodo erano sicuramente ottimali alla sopravvivenza di animali che, benché muniti di “pelliccia”, erano comunque a sangue caldo!
Andando avanti, tra 12.000 e 10.000 anni fa il livello del mare ha raggiunto quasi la massima altezza rispetto al precedente Periodo Glaciale, facendo segnare uno straordinario +120/+130 metri. Questa enorme differenza ha comportato un riduzione dell’estensione delle terre emerse ed una modificazione radicale della circolazione oceanica, portando quindi ad una alterazione del clima terrestre. Ci sono voluti diverse migliaia di anni per arrivare ad una parziale stabilizzazione delle temperature, dell’aumento del livello dei mari e dei fenomeni meteorologici. La temperatura massima raggiunta durante l’attuale Periodo Interglaciale c’è stata intorno agli 8000 anni fa circa ed è quantificabile in circa +16/+18°C, dopodiché è iniziato un lungo periodo di RAFFREDDAMENTO del clima del nostro pianeta. Un raffreddamento non lineare, sia ben chiaro, ma alternato tra secoli di raffreddamento e secoli di riscaldamento. La particolarità di tali alternanze sono date da un ciclo climatico ben preciso, della durata media di circa 980 anni anni che ha prodotto 4 dei più recenti periodi caldi… ovvero l’Optimum Miceneo, l’Optimum Romano, l’Optimum Medievale e l’attuale Massimo Moderno. Tutti e 4 questi periodi “caldi” hanno avuto una durata media di circa 200-250 anni.
Le variazioni della temperatura non sono mai, o quasi mai, brusche, a meno che non vi siano fattori catastrofici “esterni” come l’impatto di un corpo celeste quali comete o asteroidi. Però possono essere “enormi”, dove con questo termine si indicano variazioni anche di parecchi DECIMI DI GRADO nel giro di appena un anno.
Di sicuro una eruzione vulcanica catastrofica, come quella possibile per lo Yellowstone, potrebbe alterare pesantemente il clima terrestre. Basta considerare che in occasione di eruzioni catastrofiche si sono avute, IN PASSATO, anche eventi di estinzione di massa. È questo il caso? Bisogna preoccuparsi? Non necessariamente!
Oltre allo Yellowstone c’è un secondo supervulcano potenzialmente catastrofico, osservato speciale e tutto “made in Italy”: i Campi Flegrei.
Se è vero che in una passata eruzione catastrofica la cenere vulcanica dei Campi Flegrei ha superato la Stratosfera e la ritroviamo anche in spessi strati depositatisi in zone distanti come la Siberia, è anche vero che le ultime eruzioni hanno portato alla formazione di piccoli coni vulcanici (Monte Nuovo a Pozzuoli). Quindi non è detto che l’eruzione di un supervulcano sia “catastrofica” a prescindere… Tutto dipende da “come gli gira”!
E purtroppo la Scienza non è in grado di prevederne la portata.
Nel prossimo futuro, però, avremo comunque di che preoccuparci.
Prima di tutto l’attività magnetica solare, fattore primario alla base del clima terrestre, dovrebbe continuare per diversi decenni con un livello medio-basso, e questo comporterà un lento e progressivo raffreddamento.
Poi vi sono segnali importanti riguardo la potenziale eruzione di uno o più supervulcani, non solo lo Yellowstone o Campi Flegrei. Ma il “quando” erutteranno nessuno lo sa. Si possono fare delle stime più o meno attendibili, ma non possiamo esserne sicuri.
Vi è però un fattore importante di cui tener conto in tutto questo discorso: la durata dell’attuale Periodo Interglaciale può essere agli sgoccioli.
Significa che presto si potranno avere condizioni climatiche, sul nostro pianeta, tali da dover “dire addio” al Periodo Interglaciale. Ma come riconoscerlo?
La temperatura media durante i Periodi Interglaciali è generalmente compresa tra i 13 e i 17°C circa. Quella durante i Periodi Glaciali, invece, è generalmente compresa tra i 6 i i 10°C.
Va da se, quindi, che per avere un Periodo Glaciale, la temperatura media del pianeta debba diminuire di parecchi gradi. E non lo farà certo in poco tempo!
Analizzando l’andamento della temperatura media negli ultimi 800.000 anni e quindi l’evoluzione dei vari Periodi Glaciali e Interglaciali, possiamo vedere come il “periodo di transizione interglaciale” (nome inventato dal sottoscritto qualche anno fa in un articolo su questo blog) dura mediamente 10000 anni, metà dei quali appartenenti al periodo “uscente” e metà appartenente al “periodo entrante”.
Nel caso attuale, il periodo di transizione interglaciale ha avuto inizio alcuni millenni fa, quando la temperatura media del nostro pianeta ha iniziato ad avere una tendenza chiara verso il freddo. Tra diverse migliaia di anni raggiungerà il minimo e si stabilizzerà, ponendo fine a tale periodo di transizione. In quel momento il nuovo Periodo Glaciale sarà comunque iniziato già da alcune migliaia di anni e proseguirà per i suoi lunghissimi 120.000 anni circa. Tenendo conto di tutti i fattori sopra descritti e della storia paleoclimatica recente, l’inizio del prossimo Periodo Glaciale, ovvero il periodo durante il quale la temperatura media del pianeta sarà di 6-10°C circa, verrà raggiunto solo tra diverse migliaia di anni. Volendo essere particolarmente catastrofisti potremmo azzardare ad alcuni secoli, ma non certo mesi!
Da tener presente, inoltre, che i dati paleoclimatici NON HANNO una risoluzione elevata.
Un grafico della temperatura attuale a livello mondiale, riporta dati GIORNALIERI.
Quello relativo a 2-3 millenni fa, riporterebbe dati ANNUALI o su periodi di DIECI ANNI.
Più si va indietro nel tempo, più il periodo relativo a tali dati si allunga, arrivando a fornirci un dato ogni 2 o 3 secoli o addirittura anche qualche millennio. Ecco perché nei grafici si vedono variazioni “verticali” che sembrano “istantanei”… nella realtà sono variazioni secolari, comunque elevate, ma secolari!
Nel frattempo assisteremo ad una serie continua di riscaldamenti e raffreddamenti, con una tendenza della temperatura media alla diminuzione. Ci vorranno quindi secoli, non mesi, per vivere il freddo intenso tipico di un Periodo Glaciale. Ma va detto anche, e purtroppo, che l’attuale popolazione umana è troppo numerosa e troppo complessa per affrontare nel migliore dei modi un eventuale raffreddamento globale di tale portata. Durante il precedente Periodo Glaciale, le popolazioni in giro per il mondo erano per lo più nomadi, quindi si spostavano su vasti territori seguendo le migrazioni degli animali ed evitando il freddo che man mano avanzava da nord (almeno nel nostro emisfero). Oggi, con una suddivisione in stati della superficie terrestre e con contrasti geopolitici che sfociano fin troppo spesso in guerre (…per l’accaparramento delle risorse), l’eventuale migrazione non sarebbe ne facile, ne fattibile. Quindi il problema per la civiltà umana è più che altro quello di far fronte alle necessità man mano che queste si verificano, magari anticipando gli eventi e ponendo in essere delle soluzioni tecnologiche e socio-culturali adeguate.
Il raffreddamento climatico però non si manifesta solo con copiose nevicate e precipitazioni incessanti, ma anche con relative difficoltà di maturazione delle coltivazioni (magari dovute alla riduzione dei raggi UV provenienti dal Sole) o di impoverimento del terreno dovuto ad una non corretta reintegrazione delle sostanze nutritive (magari dovuto all’eccessivo uso agricolo o ad particolare condizione climatica). E tutto questo viene aggravato dall’industrializzazione e dallo sfruttamento intensivo.
La razza umana, quindi, prima di dover far fronte ai problemi dovuti ad un Periodo Glaciale futuro, dovrà far fronte ai problemi, ben più immediati, derivanti dall’esaurimento delle fonti fossili, delle risorse minerarie, dall’impoverimento dei terreni agricoli, dalla cementificazione, dalla sovrappopolazione di alcune zone e conseguente necessità di dover importare risorse da altre parti del mondo. In altre parole, dai problemi tipici di una civiltà molto poco lungimirante.
Le attuali generazioni, quindi, vedranno l’inizio del prossimo Periodo Glaciale?
Assolutamente no, ma assisteranno comunque ad un raffreddamento climatico. E tale raffreddamento potrebbe, in teoria, portare il pianeta in un prossimo Periodo Glaciale. Ma ci vorranno comunque molti secoli, se non addirittura millenni!
Bernardo Mattiucci