Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 22 Novembre 2019
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=51895
L’Unione Europea ci informa che è stato approvato il nuovo bilancio per il 2020. In particolare, tra squilli di tromba e manifestazioni di incontenibile giubilo salvamondista, si sottolinea l’aumento delle risorse destinate a lottare contro la CO2: l’incremento generale di spesa porterà infatti a spendere il 21% dell’intero budget dell’Unione in iniziative e programmi “verdi”.
Al di là delle necessità di propaganda (l’Unione deve giustamente pagare il suo dazio politico, ovvero economico, alla crescente rappresentanza dei partiti verdi), resta il fatto che del budget-monstre di 30 miliardi destinato genericamente “all’ambiente e al clima” resta difficile identificare le singole voci di spesa, al netto di generici impegni salvamondisti. Del resto il bilancio dell’Unione non fa della trasparenza la sua virtù principale, in particolare quando si parla dei finanziamenti che l’Unione stessa elargisce alle ONG, oggetto di critiche pesantissime persino da parte di organismi comunitari come la Corte dei Conti Europea.
A questo proposito vale la pena segnalare che la determinazione del budget di spesa dell’Unione è il risultato inevitabile delle pressioni delle lobby: sono 30 mila i lobbisti che assediano Bruxelles, un numero identico a quello degli stessi dipendenti impiegati dalla Commissione Europea: una marcatura a uomo, letteralmente. Spingono (legittimamente) per l’approvazione di voci di spesa che vadano a premiare i settori di cui difendono gli interessi. E a questo proposito vale forse la pena segnalare che l’incremento delle spese “verdi” è il risultato dell’azione di potenti lobby “green”, in una interessante partita di giro che vedrebbe l’Europarlamento finanziare ONG “verdi” che presumibilmente si spenderanno a loro volta per la parte politica che meglio rappresenta i loro interessi. Alla faccia del conflitto di interesse e del no profit.
Di sicuro, allo strombazzato aumento di spesa per salvare il clima dell’Europa (forse dalle nevicate eccessive e precoci, che fanno gioire gli operatori turistici in questi giorni) fa da contraltare la diminuzione dei fondi destinati all’agricoltura. Venendo alle disgrazie di casa nostra, infatti, possiamo segnalare il crollo dei finanziamenti agricoli europei che nel 2020 costerà al nostro Paese perdite per 370 milioni di euro. In particolare la Coldiretti segnala che la regione più colpita sarà la Puglia, con tagli per quasi 40 milioni di euro.
Davvero interessante il caso della Puglia. Anni di lotta dura e pura contro la TAP, ovvero un tubo invisibile che porta il gas azero a casa nostra. Lotta nel nome di un pugno di olivi che si sarebbero comunque trapiantati altrove. Il risultato di questo magnifico, altissimo e civilissimo impegno, è che di ulivi nella stessa regione ne sono morti 20 milioni a causa della Xylella, in un clima cupo e medievale di caccia all’untore, tanto ricco di teorie cospirazioniste quanto imbelle di fronte all’emergenza.
Aggiungiamo adesso allo scenario horror offerto dai milioni di olivi scheletriti del Salento, la crisi dell’ILVA e la degenerazione finale del caporalato, ormai trasformato in forma di sfruttamento oscena di manodopera di importazione. Ed il quadro per la Puglia si fa semplicemente drammatico, in una ecatombe economica, paesaggistica e sociale che non ha precedenti dal dopoguerra. A fronte di questo disastro, vengono sottratti 40 milioni di finanziamenti ad una regione già economicamente stremata per andare a premiare l’impegno di ONG salvamondiste presumibilmente straniere, nel nome di una “emergenza climatica” nei fatti inesistente.
Riassumendo, quando i nostri giovani pugliesi sono scesi in piazza pensando di manifestare “per il clima”, essi manifestavano a loro insaputa a favore delle lobby ambientaliste che assediano Bruxelles. Manifestavano per distogliere fondi comunitari dalla loro regione a vantaggio di altri. Manifestavano per far sparire posti di lavoro e opportunità dalla loro terra. Manifestavano per essere “deportati” dalla loro regione in aree produttive europee più fortunate e meglio rappresentate a Bruxelles, per essere utilizzati come forza lavoro a basso costo. Proprio come i frantoi salentini che in questo periodo vengono venduti, a pezzi, dagli imprenditori agricoli pugliesi rovinati dalla xylella. Svenduti a produttori di paesi “emergenti” che inondano il mercato italiano del loro olio d’oliva scadente, in omaggio alle direttive europee che hanno spalancato i confini all’import, fregandosene della tutela dell’eccellenza della filiera produttiva italiana.
Ballano figurativamente, i gretini nostrani, sui cadaveri di 20 milioni di olivi che hanno dato da vivere per 2000 anni alle generazioni che li hanno preceduti. Ballano sulle macerie di una industria nazionale in dismissione. Ballano sulla tomba delle loro legittime aspirazioni di giovani che si affacciano ad un mondo che li sta fregando fin dalla culla.
Condiranno le loro friselle con olio tunisino, o saudita. Ammesso che non siano stati convertiti, nel frattempo, alle virtù superiori di una dieta inclusiva tutta insetti & kebab. E se non avranno un lavoro che gli permetta di sfamarsi, mangeranno Global Warming, direbbe la Maria Antonietta dei tempi nostri, sghignazzando nel grigio ufficio di una lontanissima capitale europea.