Cosa provocò l’anomalia climatica del ’40-’42? Fu semplicemente la coincidenza di un forte Nino concomitante, ma senza relazione, con le variazioni climatiche nel settore Atlantico-Europeo? O le anomalie in Europa e nella stratosfera furono in relazione diretta con El Nino? Le caratteristiche nella zona del Pacifico-America settentrionale possono essere spiegate in larga misura dal Nino attraverso i cambiamenti nella circolazione di Hadley e la generazione di onde di Rossby. Queste relazioni sono relativamente ben documentate. I possibili effetti del Nino sull’Europa sono meno certi. Secondo diversi studi di osservazione e di modelli, i segnali invernali del Nino in Europa consistono in fredde temperature nel Nord Europa, alta SLP dall’Islanda verso la Scandinavia e bassa SLP sull’Europa centrale e orientale. Inoltre si è scoperto che intensi El Nino sono associati con un debole vortice polare e più frequenti maggiori riscaldamenti stratosferici. Quindi, tutte anomalie trovate nel periodo ’40-’42, sia al suolo che nella stratosfera, sono in conformità con un possibile effetto del Nino. Tuttavia altri studi non trovano segnali consistenti e i risultati sono controversi. Rilevare un segnale del Nino in Europa, lontano dalla sua regione, è difficile perché la variabilità della circolazione extra tropicale settentrionale è molto ampia e allo stesso tempo il numero di eventi significativi collegati ad esso è esiguo. Inoltre, violente eruzioni vulcaniche e l’impoverimento della quantità di ozono nella stratosfera possono interferire con gli effetti del Nino. È stato inoltre suggerito che lo stesso segnale non sia stazionario; ovvero l’effetto del Nino sul clima europeo non sia lo stesso in momenti differenti. Quasi certamente, dipende dallo stato e dalla storia della circolazione sul settore Atlantico-Europeo al momento dell’inizio del fenomeno. Fino ad un certo punto, questa incertezza nell’ampiezza globale degli effetti del Nino è anche riflessa nelle nostre serie di dati selezionate. Analizzando i dati degli ultimi 60 anni appare chiaro che non tutti gli Enso positivi mostrano le stesse caratteristiche del ’40-’42. C’è però la tendenza generale per gli eventi El Nino di essere associati con temperature inferiori alla norma in Europa, con una debole bassa Islandese e una forte bassa Aleutina, un debole vortice polare (altezza Z 100) e una concentrazione di ozono al di sopra del normale. Ad esempio, i Ninos del ’69-’70, ’76-’78, ’86-’87, 2004-2005, 2009-2010 ,e in una certa misura il ’97-’98 e 2015/16, dimostrano bene questo comportamento.
Una tendenza opposta si osserva per gli eventi legati alla Nina (poco ozono atmosferico, bassa pressione Islandese intensa, vortice polare forte e compatto). Analizziamo ora i dati di 650 anni del modello di controllo dell’andamento di associazione climatica (CCSM-2.0). Il modello consiste di moduli di oceano, atmosfera, superficie terrestre e ghiacci marini, producendo una variabilità realistica e “naturale”, includendo una buona rappresentazione degli eventi El Nino. Dai risultati del modello, livellate con una media di movimento di 2 anni e analizzate facendo attenzione a i loro estremi degli anni ’40, ognuno degli eventi El Nino principali analizzati mostrano tutte le maggiori caratteristiche del periodo ’40-’42 con intensità comparabili, cosa veramente degna di nota. Per ottenere un campione più ampio di forti El Nino è stata abbassata la soglia. I picchi degli 11 NINO3.4 al di sopra dei 0.9 gradi di anomalia (comparabili con gli eventi del ’97-’98 o del ’86-’87) mostrano deviazioni molto significative rispetto a tutte le serie analizzate. Ognuno degli 11 intensi El Nino fu accompagnato da una TEURO, ossia la bassa Islandese e il vortice polare stratosferico furono indeboliti rispettivamente in dieci e nove casi. Le stesse caratteristiche anomale del 1940 appaiono costantemente nel modello. Ricapitolando, la maggior parte delle caratteristiche dell’anomalia climatica del ’40-’42, al suolo così come nella stratosfera, sono prodotte da un modello climatico prevalente durante forti e prolungati eventi El Nino. Questo dimostra che la concomitanza degli estremi climatici nel Pacifico tropicale e settentrionale, in Europa, e nella stratosfera settentrionale nei primi anni ’40 non fu affatto una coincidenza. Piuttosto, essa rappresenta un costante stato del sistema globale troposfera-stratosfera durante periodi inter-annuali relativi a forti El Nino. Esso è non solo l’unico modo possibile di spiegare l’anomala circolazione globale del 40-42, in una condizione di intensi e prolungati El Nino, come mostrano le osservazioni degli ultimi 630 anni, ma anche uno schema ricorrente.
Il ruolo delle onde planetarie
Di particolare interesse è l’accoppiamento troposfera/stratosfera e la relazione con El Nino e l’ozono totale. Sfortunatamente, il modello CCSM2.0 non simula l’ozono totale, ma facilita lo studio delle proprietà dinamiche relative all’accoppiamento invernale tra troposfera e stratosfera. Può essere dimostrato che nel medio inverno un flusso di calore incrementato nella stratosfera, generato dal vortice a 100 mb, accompagna i più forti eventi Enso positivi. Questa è una misura per la propagazione verso l’alto dell’attività delle onde planetarie che raggiungono la stratosfera interagendo con il flusso atmosferico. La maggiore attività delle onde è la causa del rallentamento della circolazione zonale (occidentale) e del potenziamento di quella meridionale (verso il polo) riversandosi sulla regione polare. Questo influenza la temperatura stratosferica inferiore e i campi di pressione, col risultato di un debole vortice polare e alti geopotenziali nell’Artico. Inoltre, pulsazioni di flussi dovuti all’incrementata attività delle onde sono l’innesco per la maggior parte dei riscaldamenti stratosferici, e quindi ci si aspettano riscaldamenti più frequenti. Tutto questo è conforme con le osservazioni dei primi anni ’40. Una circolazione meridionale rinforzata e un incrementato riversamento sulla regione polare influenza anche l’ozono totale. Più ozono è trasportato nella stratosfera di mezzo dalle fonti delle regioni tropicali verso le extra tropicali (una più forte circolazione di Brewer-Dobson) e più la colonna di ozono sull’Artico è incrementata. Di conseguenza, ci si aspetta un’alta quantità di ozono sull’Artico durante gli episodi di El Nino, ma anche alle medie latitudini, conforme con i primi anni ’40. Ciononostante deve essere notato che un altro effetto contribuì all’alta quantità di ozono totale alle medie latitudini, cioè la re-distribuzione dell’ozono nella bassa stratosfera in relazione con i cambiamenti nella struttura delle onde planetarie. Le onde planetarie giocano un ruolo cruciale nelle relazioni ozono-clima sia attraverso la re-distribuzione nella bassa stratosfera su scala locale, sia nel trasporto nella media stratosfera su scala planetaria. I primi anni ’40 ci forniscono esempi illuminanti di entrambi i processi.
Conclusioni personali
È stato molto utile e interessante osservare, come scritto anche dagli autori dello studio, l’evento anomalo del 1939-42, in quanto molto recente e ricco di dati in grado di far comprendere come funzionano le connessioni tra la circolazione globale e l’atmosfera. Dopo questa ennesima ricerca possiamo affermare in maniera inequivocabile che le fasi di El Nino portano ad un raffreddamento del clima terrestre. Esempio analogo in evidenza lo abbiamo nel 1790-94, con El Nino strong eccezionalmente prolungato, il quale portò clima estremo e tremende carestie e tumulti (che peggiorarono il quadro della rivoluzione francese), in un susseguirsi continuo di inverni gelidi ed estati tempestose. Nel 1789, dicembre risulta il più freddo in Europa dell’ultimo millennio almeno; a Londra la temperatura crollò fino a -21 °C già a fine novembre; anche Parigi misurò lo stesso valore; in Italia il gelo e la neve raggiunsero i massimi effetti alla fine di dicembre, ove nevicò a Roma per quattro giorni, e a Napoli vi fu un’abbondantissima nevicata (circa 40 cm). Altro freddissimo anno, molto famoso, il 1709, fu accompagnato da un intensissimo episodio di El Nino di circa 15 mesi, probabilmente più intenso di quelli del 2015 e del 1998.
Altro mese da citare fu il gennaio 1795, che fu freddissimo in Italia e in Inghilterra (il Tamigi gelò nel Natale 1794 e cosi rimase fino a marzo; è stata la gelata più lunga della sua storia).
Insomma, quando vi è la fase Enso positiva, specie se prolungata, l’Europa ed il Nord America sperimentano inverni crudi e molti lunghi; e soprattutto, in maniera continua, contrariamente alla statistica che vede un inverno gelido in media ogni 6/7 anni.
Nell’eccezione dei casi in cui El Nino non porta a particolari cambiamenti, abbiamo El Nino di durata 12 mesi, specie fino a 2-3 anni consecutivi, hanno sempre un impatto notevole sulla circolazione atmosferica, stravolgendo gli stessi indici teleconnettivi e SST oceaniche. El Nino di durata <=12 mesi riescono a modificare l’asset circolatorio solo in presenza di indici di partenza favorevoli (vedi 2005 e 2010). Interessante poi notare come il pattern atmosferico del 1940-42 è stato lo stesso prevalente del 1700 (minimo di Maunder) ossia il secolo con più episodi di El Nino, sia per intensità che durata.
Insomma, tutto torna, dagli studi degli anelli degli alberi ai sedimenti organici, fino all’analisi di uno per uno di tutti El Ninos degli ultimi 600 anni, tutto va a confermare un concetto importantissimo: El Nino è un precursore delle glaciazioni. Aveva ragione Robert T.Felix nel suo libro “La prossima era glaciale”. Lo stesso astrofisico John Gribbin dà un interessante spunto nel suo libro “Il sesto inverno”, su come si sviluppa un interglaciale freddo: “la temperatura dell’Oceano Atlantico settentrionale inizia a crollare; la corrente a getto perde forza e comincia a disgregarsi, muovendosi stranamente a zig-zag per l’emisfero nord; nevicate sempre più massicce iniziano a spostarsi verso sud”. La descrizione rispecchia una circolazione tipica di El Nino forti e prolungati, che se persistono troppo vanno ad oltrepassare il punto di non ritorno e la glaciazione diventa inevitabile, in considerazione anche dell’immane quantitativo di vapore acqueo in atmosfera, che va a produrre nevicate eccezionali e persistenti. C’è poco da dire insomma, tutt’al più con l’esempio degli ultimi 3 anni davanti: una Nina persistente, che se davvero doveva portare un raffreddamento, in 3 anni doveva diventare più che evidente.
Quest’anno, 2023, arriverà El Nino e si prefigura piuttosto duraturo; in sintesi, il cambio climatico da optimum a raffreddamento è ormai alle porte…
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A presto
Alessio