Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 30 Gennaio 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=52303

Fughiamo subito ogni dubbio, quanto segue non è una previsione meteo centrata sulla capitale della Siria. Questo credo si capisca da subito ;-).

Si tratta piuttosto del commento ad una alquanto tardiva redenzione o, se preferite, un vero e proprio cambiamento di rotta (piccoli segnali per carità…) nell’ambito della comunicazione e del dibattito sul clima che cambia e, ovviamente, cambia male.

Un breve inciso: non veniteci a dire che non ve l’avevamo detto. La prima volta, per esempio, addirittura nel 2014, l’ultima, soltanto qualche giorno fa. Fine dell’inciso.

La questione è la seguente. Esce un pezzo su Nature con questo titolo: Emissions – the ‘business as usual’ story is misleading, in cui si riconosce non solo che lo scenario peggiore tra quelli proposti dall’IPCC per il “clima che verrà” è altamente implausibile, ma anche che averlo associato in modo massivo al cosiddetto “Business As Usual”, cioè se non facciamo niente sono guai, è ingannevole.

E’ un tema quindi di cattivo utilizzo degli strumenti messi a disposizione dalla scienza (con una buona parte di questa molto condiscendente e partecipativa), al fine di diffondere inutili e ingiustificati allarmismi, laddove con questi termini si intende privi di significato tangibile nel mondo reale e per nulla prevalenti rispetto ad altri scenari, non essendo assegnata ad essi alcuna probabilità di occorrenza, quindi anche ragionevole criterio di scelta.

Il pezzo di Nature è stato ripreso dalla BBC e, anche per loro, maestri della comunicazione (e pure del disastro climatico), rappresenta davvero un’eccezione rispetto alla linea editoriale. Una linea del resto largamente, anzi, universalmente condivisa dai media, sempre molto solerti a subire il fascino del disastro dietro l’angolo su cui ha deliberatamente insistito per anni gran parte della produzione scientifica, finendo quindi per essere… ingannevole.

Qui sotto, per esempio, la classifica tutta speciale del numero di volte in cui lo scenario peggiore è stato “scelto” a svantaggio degli altri disponibili per rappresentare il futuro:

Sarà che le cattive notizie hanno sempre un fascino superiore e la prudenza non è mai troppa, ma qui pare di intravedere una certa sistematicità di atteggiamento… Del resto, in tema di notizie, non è certo dalle povere pagine del nostro villaggio di Asterix che si può pensare di invertire la tendenza. Andiamo allora altrove e troviamo un articolo molto interessante uscito appena qualche giorno fa, in cui è chiaramente affrontato il tema del (pessimo) sodalizio realizzatosi tra scienza e comunicazione e dell’occasione persa per aggiustare il tiro negli ultimi anni. Persa perché, udite udite, il problema lo aveva sollevato già venti anni fa un maestro della parola scritta, con più di qualche medaglia sul petto anche in materia climatica e ambientale, Michael Crichton. Sì, proprio lui, l’uomo nero della narrativa benpensante sul clima, quello che aveva praticamente descritto tutto quello che è avvenuto e sta avvenendo in materia di comunicazione e non solo con il suo best seller Stato di Paura.

Bene, tutto qui, si fa per dire… portiamo a casa il messaggio, l’uso dello scenario climatico peggiore (quello che si chiama RCP8.5 ed è altamente implausibile) come Business As Usual è ingannevole. Così sono anche tutta la letteratura in cui questo è stato fatto e la comunicazione che ne consegue.

Enjoy.

PS: il fatto che quelli che illuminano il percorso sulla via di Damasco siano raggi di sole NON è puramente casuale, ma questa è un’altra storia… 😉 .