Autore: Admin
Data di pubblicazione: 19 Marzo 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=52601

Questa rubrica e’ curata da Andrea Beretta

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Per questa prima puntata dell’anno del “Meglio del Peggio” ci dà ancora del materiale preziso Avvenire, con un pezzo pubblicato il 21 febbraio e intitolato “Riscaldamento Globale. La Storia dell’umanità insegna a temere il clima che cambia”. L’articolo, nella sua prima parte, sembra una versione “pucciosa” di “1984” di Orwell, che narrava le vicende del “compagno Smith” in un’ipotetica e buia civiltà del futuro. Le similitudini col capolavoro del grande scrittore inglese qui finiscono. Primo, perché Orwell immaginava un mondo peggiore del suo, mentre Avvenire dipinge una sorta di “Mulino Bianco” (“ La madre del bimbo, sorridente, tira un sospiro di sollievo. Mai respirata aria più pulita”); e secondo, perché le profezie di Orwell si sono poi davvero avverate, magari con 30 anni di ritardo rispetto al 1984, e con modalità diverse a seconda del continente che si considera.

In realtà, anche Avvenire lascia aperta la possibilità di qualche macchia nel candore della sua società del 2050: “ in altre [città] la qualità della vita è drammaticamente crollata a causa degli effetti dei cambi climatici. […] esistono ancora povertà, solitudine, ingiustizia: ma la società globale ha ritrovato fiducia nella ricerca di un sentiero di sviluppo comune”, ma sempre in un contesto globalizzato e di diffuso ottimismo e miglioramento. Generato, questo, solo in seguito alle manifestazioni di giovani volenterosi e dopo il fallimento della Cop del 2019, dove la “Coalizione fossile (US, Canada, Australia, Brasile, responsabili del 50% dell’anidride carbonica globale) non voleva modificare le proprie abitudini,. Ed è stato così possibile che, “il verde ha preso il posto del cemento in molte città” e che circoleranno solo “macchine a guida autonoma, completamente elettriche”.

Fa specie che a fronte di un pericolo percepito come incombente, e di certo molto più concreto del cambiamento climatico, il vescovo Agostino 1600 anni fa scrisse il “De Civitate Dei” esortando coloro che pensavano che il mondo stesse finendo con la fine dell’Impero Romano, a riporre fiducia in Dio. Oggi invece il giornalista di Avvenire pare fondare solo nell’Uomo e in Greta le sue speranze per un mondo migliore. E al di là di questo, il messaggio della storia è in effetti il solito: anti-occidentalismo occulto condito con buona dose di ecotalebanesimo spinto.

Infatti, tra i paesi canaglia, Avvenire punta il dito solo contro stati occidentali ed evita accuratamente di citare Cina e India, che pure sono responsabili di circa il 34% di emissioni globali di CO2. E sì che dopo lo scherzetto del Coronavirus che la Cina ha tirato al globo, uno scherzetto da qualche trilione di dollari, sarebbe forse prudente un atteggiamento meno servile nei confronti del Dragone. Oltretutto sembra che i conti di Avvenire non tornino, dato che i quattro stati accusati di produrre il 50% della CO2 globale in realtà non arrivino a produrne nemmeno il 20%.

Inoltre, che nelle città i parchi sostituiranno le strade non è necessariamente un fatto positivo: sarò ripetitivo, ma prendendo di nuovo come esempio l’Impero Romano, è noto che questo non dovette la sua fortuna ai parchi o alle aiuole, quanto alle strade che permettevano di raggiungere in tempo relativamente breve, per l’epoca, ogni angolo di quella vastissima area. E quando, contestualmente alla caduta dell’Impero, queste strade vennero lasciate in disuso, e i boschi e le foreste ne presero il posto, non si ebbe più pace e prosperità in Europa per mezzo millennio. Strano che un articolo che dal titolo si prefigge di insegnarci la storia, ignori un aspetto così importante.

Resta il fatto che la società ideale secondo Avvenire pare simile, se non identica, a quella cantata da John Lennon in “Imagine”, curiosamente abbastanza lontana da una società fondata su valori cristiani. E, cosa ancora più curiosa, gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione sarebbero proprio i cambiamenti climatici, anzichè, ad esempio, l’instaurarsi di regimi oligarchici mascherati da democrazie oppure di società liquide senza radici.

Il lettore tenace può addentrarsi nella seconda parte dell’articolo, che abbandona le rosee tinte futuristiche per passare a un’analisi storica dell’impatto di alcuni cambiamenti climatici su civiltà passate: sicuramente meno avvincente, innegabilmente più formativo…ma ahimè ugualmente fazioso. Già, perché se apprendiamo con interesse che le gloriose civiltà mesopotamiche e dei Maya sarebbero state messe in crisi da ondate di siccità, non si capisce come mai vengano solo citati cambiamenti climatici che il lettore poco informato associa immediatamente al surriscaldamento.

Si poteva citare, per esempio, la crisi del ‘300, con associata carestia e la Peste Nera, concomitante ad un raffreddamento climatico; oppure il crollo del ‘600, con la peste manzoniana in piena Piccola Era Glaciale. O, viceversa, come la ripresa economica del Mille fu favorita da un periodo chiamato “optimum climatico”, ovvero caratterizzato da temperature più alte di quelle dei secoli precedenti e persino di quelle odierne. Di certo, sono più vicini a noi questi fatti che la “fine degli Anasazi, popolo nativo del Nord America, che ha dominato un territorio enorme tra Stati Uniti e Messico tra il 600 e il 1300”. Una fine addebitata, manco a dirlo, alla siccità.