Autore: Admin
Data di pubblicazione: 03 Aprile 2019
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=50597
di Franco Zavatti e Luigi Mariani
La Rutgers University mantiene un dataset sulla estensione della
copertura nevosa nell’emisfero boreale, diviso in quattro zone
geografiche, il cui link (reso disponibile inizialmente da RobertoK06 in
un commento su CM) è: https://climate.rutgers.edu/snowcover/table_area.php?ui_set=1
Lo stesso URL, con ui_set=2 porta ai file numerici della
copertura nevosa dell’emisfro nord (NH), dell’Eurasia (EA) e del
continente nord americano in due forme: solo Nord America (NA1) e Nord
America + Groenlandia (NA2).
In realtà nel sito della Rutgers gli ultimi due dataset sono indicati come “N.America” e “N.America (no Greenland)” e questo ci ha fatto pensare che il primo comprendesse la Groenlandia e il secondo no, salvo scoprire che la copertura nevosa media invernale del primo è di circa 15 milioni di km2 mentre quella del secondo è di circa 17 milioni di km2. Scomparivano in questo modo i 2 milioni di km2 che sono il contributo della Groenlandia. |
Abbiamo scaricato i dati e selezionato, per ognuna delle aree geografiche, i mesi (messi direttamente a confronto, gennaio e agosto; febbraio e luglio, settembre e dicembre, scalando opportunamente la copertura estiva) e abbiamo calcolato gli spettri MEM dei due mesi di ogni selezione.
Come esempio usiamo in figura 1 l’emisfero nord (NH) e i mesi di gennaio(1) e agosto(8), che hanno la maggiore e la minore copertura nevosa.
I dati di copertura nevosa
Un riassunto completo è raccolto nella figura 2 (pdf) che mostra i tre mesi invernali (DJF) e i tre mesi estivi (LAS) per NH e EA e per NA1 e NA2.
Complessivamente, la copertura invernale delle 4 zone appare
mediamente costante dal 1967 al 1995, seguita da un leggero aumento che
sembra continuare attualmente, pur con ampie oscillazioni.
La copertura estiva mostra un comportamento diverso tra luglio-agosto e
settembre: quella di settembre è nettamente superiore a quella di luglio
e agosto, presenta maggiori oscillazioni e di fatto dimostra che
settembre si inserisce meglio nel periodo autunnale che in quello
estivo.
I due mesi estivi restanti hanno lo stesso comportamento generale nel
tempo e nello spazio: una quasi costanza fino al 1980 e poi, dal 1981,
una brusca discesa che termina nel 1982 seguita da un periodo di
copertura costante fino a circa il 2007, quando luglio si differenzia da
agosto, mostrando una diminuzione di quasi 1 milione di km2, di fatto allineandosi ai valori di agosto e, insieme a questi, partecipando ad una leggera salita che dura tutt’ora.
Anche in questo caso estivo, la Groenlandia contribuisce alla copertura media con ~2•106km2, mantenendo inalterata la copertura nel tempo.
Gli spettri
La figura 3 (pdf) permette di confrontare gli spettri invernali ed estivi di tutte le zone geografiche e di mettere in evidenza le differenze tra i massimi spettrali di inverno ed estate, sempre con settembre che si distingue da luglio e agosto.
Da questa figura si deduce che:
- la diversità degli spettri nelle diverse aree geografiche;
- gli spettri invernali (in blu) mostrano tutti, tranne i settembre-dicembre (indicati dalla sigla 912xx), picchi a 8 anni (debole a febbraio in Eurasia), a 6-7 anni, a 2-3 anni, di varia intensità, e un massimo a 26-30 anni con periodo e intensità più articolati, cioè di periodo diverso nelle varie zone geografiche;
- gli spettri di dicembre hanno struttura nettamente diversa da quelli di gennaio e febbraio, ma sono simili nelle 4 zone geografiche;
- gli spettri estivi (in rosso) mostrano massimi simili (ma non uguali) a quelli invernali, e più variegati: ad esempio, per agosto, 4-5 e 6 anni più un leggero accenno a 8-9 anni. Un massimo più forte è presente a 16-18 anni (ma gli spettri estivi sono stati moltiplicati per 3, 6 e 7 per una migliore visibilità). Per luglio il massimo principale è posizionato attorno a 9.5 anni ed è seguito da uno a 20-22 anni;
- gli spettri di settembre si presentano ancora diversi da quelli estivi, con massimi a 3, 5, 8 anni e un largo picco a 20-22 anni (ma non negli spettri americani NA1 e NA2)
Cercando di raccogliere le idee nella situazione variegata degli spettri, crediamo si possa dire che le serie invernali emisferica ed euroasiatica siano caratterizzate dai massimi spettrali a 6 e 8 anni, con una possibile presenza (non sempre ben definita) a circa 30 anni, come da tabella 1
Tabella 1: Massimi spettrali invernali (in anni). In prima colonna l’area geografica e i mesi. In rosso quando gli spettri appaiono diversi da quelli degli altri mesi. Il simbolo “~” indica molta incertezza nell’identificazione dei massimi, soprattuto a causa della loro bassa potenza.
Le serie estive, per agosto, mostrano picchi a 4 e 6 e a 17-18 anni mentre per luglio è prevalente il picco a 9.5 anni, come si vede in tabella 2.
Tabella 2: Massimi spettrali estivi. In prima colonna area geografica e mese; in rosso settembre che non può essere considerato mese estivo. L’ultima colonna riporta il fattore per cui sono stati moltiplicati gli spettri estivi.
La figura 4 (pdf) raggruppa i dati invernali ed estivi, per zone geografiche e mette in evidenza la maggiore dispersione nella zona euroasiatica che nelle zone americane e il fatto che settembre è diverso e va trattato a parte, rispetto agli altri due mesi estivi.
Conclusioni
Da questo lavoro si deduce che la copertura nevosa invernale
dell’emisfero boreale aumenta, in media, dal 1995 circa, supportata
dalla crescita dell’Eurasia e dalla costanza (o forse da una vaga,
debole crescita) della copertura del continente nord americano, con o
senza il contributo della Groenlandia.
Nei due mesi estivi di luglio e agosto si osserva una diminuzione
praticamente costante (gli accenni di risalita dal 2010 andrebbero
analizzati con attenzione, come non è stato fatto qui).
Il mese di settembre, in tutte le aree geografiche, mostra un periodo costante iniziale, seguito da un netto aumento dal 2010.
Dalle tabelle, gli spettri mostrano nette caratterizzazioni e importanti incertezze per dicembre.
Qualche giorno dopo la fine dei calcoli per questo post, su WUWT è uscita la riproduzione di un articolo scientifico che confronta gli stessi dati usati qui (organizzati in medie annuali e stagionali) con tutti i modelli CMIP5 disponibili. Consigliamo la lettura di questo articolo e riportiamo alcune righe dell’abstract, tradotte: “I modelli climatici spiegano male gli andamenti osservati. Mentre i modelli suggeriscono che la copertura nevosa dovrebbe decrescere in modo stazionario nelle quattro stagioni, soltanto primavera ed estate hanno mostrato una decrescita di lungo termine, e l’aspetto della decrescita osservata è abbastanza differente da quanto previsto dai modelli”. Al riguardo non si può fare a meno di rilevare che la copertura neviosa è una variabile complessa in quanto partecipa non solo della complessità delle precipitazioni (si pensi ai contributi al fenomeno derivanti da processi attivi su una vastissima gamma di scale e che i modelli faticano non poco a descrivere) ma anche della complessità insita nei diversi termini del bilancio energetico di superficie che sono coinvolti nell’evoluzione del manto nevoso al suolo.
Il grafico e i dati relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui. |