Articolo di Luigi Mariani
Data di pubblicazione: 22 Novembre 2015
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=39500

megafono

In attesa della XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCC (COP21) che si terrà a Parigi dal 30 novembre prossimo, il 19 e 20 novembre si è svolto a Roma presso la FAO il “Rome 2015 – Science Symposium on Climate”, evento di respiro internazionale che ha visto il coinvolgimento delle maggiori organizzazioni scientifiche italiane. L’incontro di Roma aveva l’obiettivo di stimolare il dibattito scientifico sui cambiamenti climatici, concentrando l’attenzione sulla dimensione multidisciplinare delle scienze del clima e sulle relative implicazioni socio-economiche.

Fra i risultati del simposio spicca la “Dichiarazione scientifica sui cambiamenti climatici” (l’originale è qui  – la versione integrale completa di commento elogiativo è comunque anche qui) sottoscritta dalle seguenti società scientifiche: SISC – Società Italiana per le Scienze del Clima, AGI – Associazione Geofisica Italiana, AIAM – Associazione Italiana di AgroMeteorologia, AIEAR – Associazione Italiana degli Economisti dell’Ambiente e delle Risorse naturali, ATIt – Associazione Teriologica Italiana, CATAP – Coordinamento delle Associazioni Tecnico-scientifiche per l’Ambiente ed il Paesaggio, COI – Commissione Oceanografica Italiana, FLA – Fondazione Lombardia per l’Ambiente, GII – Gruppo italiano di Idraulica, HOS – Historical Oceanography Society, SIDEA – Società Italiana di Economia Agraria, SMI – Società Meteorologica Italiana.

Di tale dichiarazione non condivido lo spirito e la maggior parte dei contenuti. Gli aspetti della Dichiarazione che intendo segnalare ai lettori evidenziando anche i miei motivi di dissenso sono i seguenti:

1) Il tono assai poco scientifico che la caratterizza: il titolo corretto avrebbe dovuto essere “Dichiarazione politica sui cambiamenti climatici”.

2) L’idea che sia in atto un cambiamento climatico con prevalenti effetti negativi. In estrema sintesi e senza entrare in alcuna disquisizione di tipo climatologico segnalo che è sufficiente valutare i trend produttivi globali annui ettariali indicati dal dataset Faostat3 (faostat3.fao.org/) per il periodo 1961-2013 e relativi alle grandi colture che nutrono il mondo (+6.5% annuo per mais, +5.2% per riso +4% per frumento e +2.6% per soia) per rendersi conto che oggi non è in atto alcun cambiamento climatico distruttivo o che quantomeno gli effetti positivi per il settore agricolo sono dominanti rispetto a quelli negativi.

3) L’avversione radicale per l’anidride carbonica, considerata un male assoluto e da combattere con tutti i mezzi. A tale riguardo un concetto che dovrebbe essere patrimonio dell’umanità (e qui ci vorrebbe l’Unesco) fin dalle scuole elementari e cioè che l’anidride carbonica è il nutrimento base delle piante e dunque il fattore produttivo essenziale per l’agricoltura, tant’è vero che se la riportassimo con una bacchetta magica ai livelli pre-industriali la produttività del settore agricolo calerebbe all’istante del 20-40%, con effetti disastrosi sulla sicurezza alimentare mondiale. In tal senso mi domando se qualcuno dei sottoscrittori del documento si sia accorto che grazie agli aumentati livelli di CO2 atmosferica è in atto un prodigioso global greening con poderosi effetti positivi sugli ecosistemi naturali.

4) La boutade sul “consenso condiviso all’interno della comunità scientifica”. A tale riguardo non posso fare a meno di rilevare che da Galileo in avanti il dibattito e il confronto di teorie è stato sempre considerato fisiologico nel mondo scientifico. Viene allora da domandarsi cosa possa mai accadere a chi non aderisce al “consenso condiviso”: viene messo al rogo o in galera oppure perde il posto (com’è di recente capitato a un previsore della tv francese) o ancora viene ostracizzato dalla “comunità scientifica”?

5) La strampalata idea di portare i Paesi si via di sviluppo (PVS) verso un’economia “zero-carbon”. A tale proposito ricordo che senza energia o con energia come quella da pannelli solari che c’è solo in presenza di sole (a meno di mettere in piedi sistemi di accumulatori molto costosi e difficilmente manutenibili) i PVS non si sviluppano nel senso che non possono avere luce elettrica, cure mediche, cibo e acqua salubri. Pertanto la proposta di limitare drasticamente ai PVS il set delle fonti energetiche limitandole a quelle rinnovabili costituisce a mio avviso un errore madornale, partorito da società scientifiche che operando in un paese opulento come l’Italia non si rendono neppure conto di cosa significhi vivere i drammatici problemi di sopravvivenza propri dei PVS. In proposito si consideri che oltre un miliardo di persone vivono senza elettricità e quasi tre miliardi “without clean cooking facilities”, la qual cosa secondo WHO causa circa 1.5 milioni di decessi all’anno: cosa volete che interessi a costoro generare energia “zero-carbon”? A loro basterebbe avere energia!