Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 16 Gennaio 2019
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=50086

Per chi non lo sapesse, le previsioni climatiche, meglio note come scenari perché se fossero definite previsioni dovrebbero anche essere verificabili e si capirebbe che sarebbe meglio lasciar perdere, non si fanno quasi mai con un singolo modello, quanto piuttosto con la media dei modelli a disposizione, la cosiddetta model mean.

Ad esempio, tutte ma proprio tutte le determinazioni dell’IPCC, compreso l’ultimo Special Report redatto ad hoc per la COP24 (di cui si è parlato diffusamente anche ieri), scaturiscono da conti fatti sulla base della media dei modelli. Che, puntualmente, è sbagliata. Non è certo la media tra un modello che sbaglia sulla temperatura della terraferma sommato ad uno che sbaglia sul mare che può restituire qualcosa di simile alla temperatura su terra e mare… Ma, questo, pare proprio che fino ad oggi non si potesse neanche dire.

Arriva però un articolo su Nature Climate Change, ripreso alcuni giorni fa da WUWT, nel cui abstract c’è una frase piuttosto esplicativa. Prima il titolo e poi la frase.

Taking climate model evaluation to the next level

[…] there is now evidence that giving equal weight to each available model projection is suboptimal

Quindi, non tutti i modelli sono uguali perché, evidentemente, qualcuno è più uguale degli altri ;-).

Nel post su WWUT c’è una delle immagini presenti nell’articolo, questa qui sotto:

E’ l’errore su base annuale rispetto alle osservazioni dell’ensemble dei modelli del progetto CMIP5, appunto quello realizzato per l’IPCC. Facciamo il gioco di “individua l’errore”:

  1. A qualcuno piace caldo. Innanzi tutto, c’è più errore rosso che errore blu, e questo significa che i modelli sbagliano verso il caldo.
  2. Anche il Polo piace caldo. Poi c’è l’errore sul mare attorno all’Antartide, una differenza rispetto alle osservazioni anche di 1,5°C. Ricordo che per l’AGW che tutti dovrebbe seppellirci si parla di 0.8°C dall’inizio dell’era industriale: qui l’errore è di 1,5°C, circa il doppio. Non solo, ma scaldando così tanto in modo artefatto il mare oltre i 60°S, quanto ghiaccio fino in meno si forma? E quanto vapore acqueo finto in più viene ceduto all’atmosfera? E quanta neve finta in più cade sull’Antartide? E quanto varia l’albedo in funzione di questo errore?
  3. L’ENSO perenne. Fuori dalle coste di Africa e Sud America ci sono due grosse aree di errore positivo. Quella macchia rossa è qualcosa di molto simile a quello che si vede quando c’è El Niño, che è un meccanismo del tutto naturale che rilascia enormi quantità di calore in atmosfera, vedi anni recenti. Ma se i modelli “forzano” un comportamento simile a quello di El Niño più spesso di quanto questo succeda in realtà, ancora una volta immettono una forzante di riscaldamento artefatta nel risultato.

A valle di tutto questo, la media dell’errore è quasi sempre un errore.

E questa è la ragione per cui ho deciso di sottoporre alla vostra attenzione questo argomento. Appena ieri infatti, abbiamo diffuso un documento contenente, tra molte altre cose, anche un’immagine che mette in comparazione i modelli e le osservazioni. Un confronto alquanto impietoso, ma con un outlier, un modello Russo, che sembra essere invece in ottimo accordo con “il clima che fa”, almeno con riferimento alla temperatura superficiale.

Nei commenti al post di ieri sono state diffuse anche alcune informazioni un po’ più dettagliate.

Bene, nell’articolo di Nature Climate Change, sono state fatte anche comparazioni tra singoli modelli e, guarda caso, pare che quello che se la cava meglio sia proprio lo stesso modello russo di cui sopra. Per inciso quel modello non solo forse funziona meglio degli altri, ma non mi pare che preveda sfracelli in relazione alla temperatura… speriamo resista alla voglia di… media!

Enjoy.