Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 17 Settembre 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=53442

Nel corso degli anni mi sono occupato diverse volte del processo della comunicazione scientifica e delle aberrazioni che esso determina.

In questo articolo voglio analizzare una catena causale che, purtroppo, caratterizza buona parte della comunicazione scientifica in ambito climatologico. In genere si parte da un fenomeno che possa essere influenzato da fattori climatici (temperatura, livello del mare, precipitazioni, ecc.) e lo si analizza, determinando la variazione dei fattori climatici in gioco, mediante modelli matematici fatti girare, ipotizzando che il cambiamento climatico avvenga secondo lo scenario di emissione RCP 8.5. I risultati dello studio vengono pubblicati e dati in pasto ai media più o meno generalisti mediante opportuni comunicati stampa. I media svolgono il ruolo di cassa di risonanza della notizia, drammatizzando ulteriormente le conclusioni dello studio e contribuendo, in tal modo, al consolidamento della linea di pensiero principale. Su queste basi vengono innestate, infine, le campagne dei gruppi di pressione e sensibilizzazione sociali, politici, economici e via cantando che portano avanti le istanze di riforma delle politiche nazionali e sovranazionali, basate sulla sostenibilità del sistema economico, la redistribuzione del reddito nei Paesi e tra i Paesi, la transizione energetica mediante decarbonizzazione del sistema produttivo mondiale.

In questi giorni ho avuto la ventura di imbattermi in un caso veramente esemplare della catena causale che ho appena finito di illustrare.

– il fatto

Il fenomeno da cui si parte è costituito dall’erosione della linea di costa, in particolare delle spiagge. Il fenomeno è reale ed ha molte cause. In primo luogo il mare tende per sua natura a erodere le coste: sin dalla scuola elementare (oltre mezzo secolo fa, purtroppo) mi hanno insegnato che gli agenti che modellano la crosta terrestre sono molteplici e, tra i principali, possiamo annoverare il vento, le acque, il gelo ed il disgelo, il moto ondoso ed i ghiacciai. A quei tempi l’uomo non era considerato in grado di competere con l’azione di questi agenti, ma oggi l’azione umana è considerata addirittura superiore alle forze naturali che hanno modificato e modificano la faccia della terra. Non per niente alcuni parlano di era dell’uomo o antropocene (io non sono tra questi, ma ciò conta poco ai fini del nostro ragionamento).

La linea di costa è uno degli ambienti più mutevoli che esistono, in quanto esposta alla furia degli elementi (vento, acqua, onde marine), per cui è normale che essa venga erosa e cambi nel corso del tempo. Qualche settimana fa mi sono occupato del processo dinamico che determina la stabilità degli atolli corallini. In quella sede esaminai il sottile equilibrio che consente a queste strutture di sopravvivere nel corso dei millenni. Per le coste vale lo stesso discorso: esse sono il frutto di un sottile equilibrio tra quantità di materiale asportato e quantità di materiale apportato dagli elementi naturali. Nel caso delle spiagge sabbiose il moto ondoso, le tempeste e le correnti marine tendono a muovere la sabbia spostandola da un luogo all’altro. Se il processo di asportazione prevale su quello di apporto, si ha l’erosione della linea di costa, in caso contrario la linea di costa cresce. Questo processo già abbastanza complicato, diventa ancora più complesso se si prende in considerazione l’innalzamento del livello del mare, i movimenti della crosta terrestre, l’attività antropica e via cantando. Nel caso delle spiagge l’uomo gioca un ruolo estremamente importante: modificando il regime delle acque interne e lo stato del suolo, modifica la quantità dei sedimenti che i fiumi convogliano verso il mare e che, ridistribuiti dalle correnti marine e dalle onde, vanno a formare le spiagge. Modificando, inoltre, l’immediato entroterra della linea di costa, altera il naturale processo di variazione della profondità della spiaggia: una strada o ferrovia litoranee, l’edificazione a ridosso della spiaggia e via cantando, rendono impossibile il naturale “respiro” della spiaggia che, in caso di erosione, dopo un po’ di tempo sparirà. Non sarà possibile, infatti, che essa venga ricostituita a spese del suolo retrostante a causa degli insediamenti umani che impediscono, almeno temporaneamente, l’espansione della spiaggia.

Ho semplificato molto la questione, ma sul processo di erosione delle coste e delle spiagge in modo particolare, potremmo scrivere centinaia di pagine. Gli esperti della questione potrebbero sollevare miriadi di obiezioni a quanto ho scritto, ma la necessità di sintesi è tiranna, per cui mi scuso sin da adesso, per il modo sbrigativo in cui ho trattato una questione molto complessa: si tenga presente che lo scopo di questo articolo è un altro.

– lo studio scientifico

Sulla base di quanto ho scritto, appare ovvio che gli agenti climatici sono fondamentali nella salvaguardia della linea di costa. L’innalzamento del livello del mare favorisce l’arretramento della linea di costa; la variazione della frequenza ed intensità delle tempeste può alterare l’equilibrio dinamico che caratterizza la spiaggia; la variazione delle precipitazioni può alterare il processo di apporto di sedimenti al mare. Come si vede, stiamo discutendo di un fenomeno che dipende anche da fattori climatici. Abbiamo individuato, pertanto, il primo elemento della catena fattuale. Chi per professione si occupa di conservazione della linea di costa, non può fare a meno di cercare di capire come evolverà la situazione in futuro, visto che il clima cambia e lo fa per definizione.

E proprio questo hanno fatto alcuni ricercatori: hanno cercato di capire come evolveranno nel futuro le linee di costa in funzione delle variabili climatiche.

Lo scorso mese di  marzo è stata pubblicata su Nature Climate Change una lettera

Sandy coastlines under threat of erosion

a firma di  M. I. Vousdoukas, R. Ranasinghe, L. Mentaschi, T. A. Plomaritis, P. Athanasiou, A. Luijendijk e L. Feyen (da ora Vousdoukas et al., 2020), in cui si analizza l’evoluzione del processo di erosione delle coste nel corso dei prossimi decenni (tra oggi ed il 2050 e, infine, tra oggi ed il 2100). Potrebbe sembrare una pignoleria, ma la presenza della parola “threat” nel titolo, la dice lunga sull’esito dello studio.

Vousdoukas et al., 2020 è uno studio molto simile a tanti altri che ho letto e commentato. Il punto di partenza è sensato: l’erosione delle coste, in particolare delle spiagge sabbiose, è dovuto a fattori ambientali (antropici e geologici, principalmente) e climatici. Gli stessi che ho indicato in premessa. I ricercatori hanno quantificato i fattori ambientali che determinano il cambiamento della linea di costa sulla base dell’evoluzione “storica” delle spiagge: hanno estrapolato di diversi decenni i dati accumulati nel corso degli anni trascorsi. Personalmente non so da quanto tempo le spiagge sono tenute sotto stretta osservazione per seguirne l’evoluzione, ma non credo che avvenga da molti anni. Sulla base di qualche ricerca speditiva che ho compiuto, credo che qualche spiaggia sia stata osservata per diversi decenni, ma non credo che il periodo di osservazione arrivi al secolo se non in qualche caso eccezionale. Eppure gli autori dello studio estrapolano i dati a disposizione da un minimo di trent’anni ad ottanta anni. Personalmente reputo molto rischioso il processo di estrapolazione e me ne astengo volentieri, ma non tutti la pensano come me. Per quel che riguarda i fattori  climatici, Vousdoukas et al., 2020  individua nel moto ondoso conseguente alle tempeste e nella variazione del livello del mare, le due principali cause dell’erosione costiera di matrice climatica. L’assunto di base non è sbagliato: se il livello del mare sale e le tempeste diventano più violente, il processo di erosione delle spiagge aumenta di intensità. Il problema sta nel quantificare l’incremento del livello del mare di qui al 2050 o al 2100 e di quanto varierà la forza delle tempeste. Altro problema riguarda l’incidenza di questi fenomeni climatici sulle dinamiche di regressione delle spiagge e come esso sia stato modellato per ottenere risultati quantitativi.

Le prime due questioni sono state risolte ricorrendo alle previsioni dell’andamento del livello del mare e delle intensità delle tempeste, delineate dall’IPCC sulla base degli scenari di emissione RCP 8.5 e RCP 4.5. Per non appesantire la trattazione, mi limito a ricordare che si tratta di due scenari che quantificano l’incremento del forzante radiativo dovuto ai gas serra nel l 2100 rispetto al 1850. Lo scenario RCP 8.5 è quello erroneamente definito “business and usual” ovvero quello che si verificherebbe qualora non si prendesse alcun provvedimento per ridurre le emissioni. Lo scenario RCP 4.5 è relativo all’ipotesi in cui si realizzi una moderata azione di mitigazione climatica (riduzione delle emissioni).

E’ ormai accertato che lo scenario RCP 8.5 è del tutto irrealistico: presuppone che la popolazione mondiale al 2100 raggiunga i 12 miliardi di individui (al massimo 10 miliardi,  ma forse anche meno), che l’incidenza dell’uso del carbone nel mix energetico aumenti in modo più che lineare (ciò non è vero in quanto sia la produzione che il consumo di carbone negli ultimi anni e, presumibilmente anche per il futuro, sono attesi addirittura in lieve diminuzione) e che non vi sia aumento dell’efficienza energetica (cosa non vera, come dimostra questo grafico). Come ha argutamente argomentato qualche scettico, questo scenario ha l’unico scopo di delineare un “mondo da incubo” che praticamente non esiste e non esisterà mai. Eppure esso viene utilizzato, dai ricercatori per simulare ciò che accadrà nel 2100. Vousdoukas et al., 2020 non fa eccezione e, difatti, quantifica l’incremento del livello del mare al 2100 in circa 80 centimetri, in linea con le previsioni più fosche dell’IPCC AR5. Per dimostrare l’efficacia delle azioni di mitigazione climatica, lo studio esamina l’evoluzione dell’erosione delle spiagge sabbiose anche nell’ipotesi si verifichino le proiezioni dello scenario RCP 4.5 (incremento del livello del mare di circa 40 centimetri).

Supposto, comunque, che tutte le ipotesi anzidette siano vere,  Vousdoukas et al., 2020 hanno applicato dei modelli matematici che simulano il comportamento delle spiagge sabbiose in dipendenza della variazione del livello del mare, dell’intensità del moto ondoso e dei fattori ambientali, in ognuna delle 26 zone, in cui IPCC ha suddiviso il globo terracqueo (SREX). Supposto che il modello matematico utilizzato per valutare l’impatto dei fattori climatici sull’evoluzione delle coste sabbiose, sia efficace, lo studio ha consentito di calcolare l’arretramento medio delle spiagge sabbiose nelle varie sub-regioni planetarie e quello globale.

I risultati ottenuti possono essere così sintetizzati:

– l’arretramento delle spiagge sabbiose è guidato essenzialmente dalla variazione del livello del mare. A livello globale e nell’ipotesi di validità dello scenario RCP 8.5, l’82% dell’arretramento delle spiagge è imputabile all’aumento del livello del mare ed il 18% a fattori ambientali (proiezione al 2100). Peraltro sembra che il moto ondoso influisca poco sull’erosione costiera a lungo termine, in quanto la lunghezza degli intervalli temporali tra un evento estremo e l’altro, consentirebbero alle spiagge di recuperare la deprivazione di sabbia prodotta da violente mareggiate.

– in termini assoluti l’arretramento medio a livello globale delle spiagge sabbiose nel 2100 può essere quantificato in circa 86,4 metri (fascia di incertezza 14,8-164,2 metri) sotto lo scenario di emissioni RCP 4.5 ed in circa 128,1 metri (fascia di incertezza 35,3-240,0 metri) sotto lo scenario di emissioni RCP 8.5.

– la riduzione delle emissioni determina una diminuzione dell’erosione delle spiagge compresa tra il 30% ed il 40% (gli autori parlano del 40%, ma io propendo per il 30%).

Lo studio mi lascia piuttosto perplesso in quanto i risultati presentano margini di incertezza piuttosto ampi. Detto in altri termini ogni valore compreso tra gli estremi dell’intervallo di incertezza può essere plausibile. Esso non tiene conto, inoltre, della presenza di ostacoli naturali e/o artificiali che possano ridurre o accentuare l’erosione delle spiagge, né delle modifiche dei regimi di afflusso dei sedimenti trasportati dai fiumi e veicolati dalle correnti marine. Come esplicitamente affermano i ricercatori, infine, la mancanza di un archivio dati aggiornato e sufficientemente esteso di tutte le spiagge sabbiose prese in esame, aumenta in modo considerevole il margine di incertezza dei risultati per molte aree del globo. Tutto ciò senza tener conto dell’aleatorietà insita nelle modellazioni matematiche dell’azione dei fattori climatici sulle spiagge e quelle altrettanto importanti connesse agli scenari di emissione.

Considerando che le spiagge sono elementi importanti nell’economia globale, a causa dell’attrazione che esse esercitano su moltissime attività umane, Vousdoukas et al., 2020  si conclude con l’auspicio che i suoi risultati possano costituire una guida per i decisori politici e per i portatori di interesse che li aiuti a porre in essere le necessarie politiche di adattamento e mitigazione, in grado di limitare i danni alle spiagge sabbiose.

– la cassa di risonanza mediatica

Una volta pubblicato l’articolo, iniziano a circolare i comunicati stampa e cominciano ad essere pubblicati articoli divulgativi che commentano l’articolo scientifico. Nel caso in specie il “lavoro sporco” è stato svolto da testate giornalistiche “indipendenti” che “producono e promuovono la copertura di notizie a partire da dati relativi ad argomenti europei“, come si legge nel manifesto di una di esse.

In un articolo dal titolo inequivocabile: “L’erosione delle spiagge mette a rischio le vacanze al mare degli europei“, pubblicato da European Data Journalism Network (EDJN), si parte dai risultati di Vousdoukas et al., 2020 e, senza far minimamente cenno alle fasce di incertezza che li caratterizzano e si calcola l’arretramento teorico nel 2100 di ben 2876 spiagge europee. Gli esiti di questa operazione di cui non sono indicati i metodi utilizzati, i margini di errore e le criticità, si decreta la morte di ben 854 di esse. Delle restanti, circa 1600 si troveranno in una situazione di criticità e solo 400 spiagge europee delle 2876 prese in considerazione, si possono considerare al sicuro, ma solo perché si prevedono forti interventi antropici di “ripascimento” degli arenili.

In Vousdoukas et al., 2020 non è scritto niente di tutto ciò. Pur con i limiti che ho indicato, esso è un normale lavoro scientifico in cui gli autori illustrano metodi di analisi dei dati e margini di incertezza, con tanto di referenze. In alcune tavole sono indicate alcune spiagge e per ognuna di esse è indicato un colore che fa riferimento ad una scala cromatica che quantifica le variazioni di estensione dell’arenile con i suoi bravi margini di incertezza. Probabilmente gli autori dell’articolo di EDJN avranno avuto accesso a dati più dettagliati che, però, non sono riportati in Vousdoukas et al., 2020. Diciamo che l’articolo “divulgativo” dice cose diverse dall’articolo scientifico e, ammesso e non concesso che i dati siano corretti, li presenta in modo tale da rendere la situazione ancora più drammatica di quanto sia. In ogni caso è del tutto sparita l’incertezza del dato scientifico che pure era ben presente in Vousdoukas et al., 2020 ed i risultati vengono presentati con cifre significative al livello del metro: neanche in farmacia si riesce ad essere così precisi!

– l’intervento dei gruppi di pressione sociali, economici e politici

A questo punto entrano in gioco i gruppi di pressione sociali, economici e politici. L’articolo “divulgativo” viene ripreso da un blog in apparenza innocuo che, però, è pieno zeppo di collegamenti a siti squisitamente politici. Facendo leva sulla drammaticità della situazione emergente da dati privi di senso scientifico, si chiamano a raccolta gli uomini e le donne di buona volontà e li si invita ad imbarcarsi nell’ennesima crociata “salvamondo”. Nella fattispecie si rimanda ad una raccolta di firme per sottoporre al Parlamento Europeo una proposta di legge tesa a introdurre una tassazione aggiuntiva delle emissioni di carbonio che dovrebbe gravare in testa a tutti i cittadini europei, in aggiunta a tutti i balzelli che già ci rendono la vita impossibile e ci costringono a lavorare per quasi la metà dell’anno per poterne coprire il costo. Mi viene da chiedere, visto che dovremo comunque morire arrostiti, di permetterci almeno di farlo in pace, ma temo che questo suoni un po’ troppo “negazionista”.

– il cortocircuito politico-scientifico-economico-mediatico

Credo che il lettore che ha avuto la pazienza di arrivare a questo punto dell’articolo, abbia individuato chiaramente il cortocircuito che ho voluto esemplificare con questo scritto. Vousdoukas et al., 2020 è stato promosso e, quindi, finanziato dal Joint Research Centre della Commissione Europea, divulgato da strutture mediatiche che fanno chiaramente riferimento all’Europa ed utilizzato per promuovere una raccolta di firme, il cui scopo è quello di premere sulle strutture politiche e decisionali europee, per inasprire le politiche a favore della lotta ai cambiamenti climatici: il cane che si morde la coda. e per finire la ciliegina sulla torta: l’idea di far pagare tutti per le emissioni di diossido di carbonio è di 27 premi Nobel non meglio identificati. Come si vede, la scienza non è neutra.

Sono troppo mal pensante? Forse. Qualcuno ha affermato, comunque, che a pensar male si fa peccato, però….