di Alessandro Demontis (*)
31 Maggio 2021
Se provate a chiedere a un sostenitore della teoria del Global Warming Antropico (AGW) come fa ad essere sicuro che la CO2 che causa il riscaldamento globale sia di origine antropica, vengono proposte come risposta generalmente tre argomentazioni; queste argomentazioni sono ben riassunte nel TAR-3 dell’IPCC, dove leggiamo (cap.3: “The Carbon Cycle and Atmospheric Carbon Dioxide”):
“Diverse ulteriori linee di prova confermano che il recente e il continuo aumento del contenuto di CO2 atmosferica è causato dalle emissioni di CO2 antropogeniche – soprattutto combustibile fossile. In primo luogo, l’O2 atmosferico sta diminuendo a una velocità comparabile con le emissioni di CO2 da combustibili fossili (la combustione consuma O2). In secondo luogo, le caratteristiche firme isotopiche del combustibile fossile (la sua mancanza di C14 e il contenuto impoverito di 13C) lasciano il segno nell’atmosfera. Terzo, l’aumento della concentrazione di CO2 osservata è stata più veloce nell’emisfero settentrionale, dove viene bruciata la maggior parte delle fonti fossili“
Vogliamo ignorare in questa sede il primo ed il terzo punto, per concentrarci sul secondo: la presunta firma antropogenica della CO2, basata sul rapporto isotopico C14/C12.
Il concetto di base è che le fonti biologiche di CO2, quali per esempio quella prodotta dalla fotosintesi e dalla putrefazione di organismi viventi, sono si composte per lo più da C12 (carbonio “classico”), come normale che sia, ma hanno un certo tenore di C14 e di C13, gli isotopi instabili del carbonio. Il C14 ha un tempo di dimezzamento di circa 5700 anni ed una rilevabilità attendibile fino a circa 50.000 anni, e siccome il petrolio e le fonti fossili in generale sono più vecchie di 50.000 anni, tali fonti di carbonio risultano impoverite in C14. Il risultato, secondo i “warmisti”, è che bruciando fonti fossili si impoverisce l’atmosfera di C14 ossia si riduce il rapporto C14/C12.
Questo problema, pur divenuto un argomento legato al clima relativamente recente, è conosciuto fin dagli anni ’50, quando Harman Craig studiò il fenomeno relativamente all’attendibilità dei metodi di datazione radiometrici al C14 (“Carbon 13 in Plants and the Relations between Carbon 13 e Carbon 14 Variations in Nature”, 1954).
Il lavoro di Craig attirò l’attenzione di due studiosi: Rankama (“The isotopic constitution of carbon in ancient rocks as an indicator of its biogenic or nonbiogenic origin“, 1954) e Suess (“Radiocarbon Concentration in Modern Wood“, 1955). Di particolare importanza, nei decenni successivi, furono le intuizioni di Suess, il quale osservò che i combustibili fossili, essendo troppo vecchi per contenere quantità misurabili di C14, riducono le concentrazioni atmosferiche di questo isotopo quando vengono bruciati.
Il concetto legato all’Effetto Suess è mostrato sapientemente da questo grafico relativo ai dati raccolti dalle stazioni di Mauna Loa.
Tale studio venne ripreso in questo senso quasi universalmente, commettendo però un incredibile peccato di cherry picking, cioè di selezione conveniente dei dati e delle citazioni. Tale effetto di deplezione, fu battezzato proprio Effetto Suess in onore di questo studioso, il quale però, sostanzialmente venne frainteso.
È bene chiarire che questo “Effetto Suess” è ritenuto dai sostenitori della teoria dell’AGW la vera e propria “pistola fumante” dell’origine antropogenica della CO2 emessa in atmosfera, tanto che il geologo James Lawrence Powell nel 2017 produsse un video intitolato “CO2 goes up, % C14 goes down” con questa presentazione:
“Un video di una serie che presenta le prove che convincono oltre il 99,9% degli scienziati che il riscaldamento globale causato dall’uomo è vero. Questo (video, nda) mostra che il carbonio aggiunto all’atmosfera proviene da un materiale che ha milioni di anni.“
Ironicamente, Powell ha ragione, ma sbaglia completamente le sue conclusioni, come fanno tutti gli scienziati che ritengono questa firma isotopica una prova dell’origine antropogenica della CO2. Vedremo a breve il perché.
Per ora, torniamo a Suess ed al suo articolo.
Suess riconosceva che la combustione di fonti fossili era soltanto uno dei fenomeni che potevano dare luogo alla deplezione del C14, e probabilmente non era nemmeno il fenomeno più influente. Leggiamo dal suo studio:
“La diminuzione [del rapporto C14/12, nda] è da attribuire a) all’immissione in atmosfera di una certa quantità di CO2 esente da C14 per combustione artificiale di carbone e petrolio e b) alla velocità di scambio isotopico tra la CO2 atmosferica e il bicarbonato disciolto negli oceani.”
[nota: la suddivisione a) e b) é stata introdotta dall’autore di questo articolo per meglio evidenziare la molteplicità di fattori espressa da Suess]
Dunque, secondo Suess, almeno due fattori potevano generare la deplezione di C14 in atmosfera: la combustione di fonti fossili, e lo scambio isotopico tra atmosfera e carbonati oceanici.
Chiariamo questo punto. Il fondale oceanico è ricco di carbonati, che lentamente a continuamente vengono disciolti nel’acqua, e dall’acqua ricostituiscono sedimenti. Il ciclo dei carbonati nell’oceano è importantissimo per mantenere il pH stabile nella sua soluzione tampone (“Marine Carbonate Chemistry” di Zeebee, 2006, e “pHRegulation of Seawater: The Role of Carbonate (CO3) and Bicarbonate (HCO3)“, di Soria‐Dengg, Sabrowski and Silva, 2010). Gli studiosi che si sono basati sul lavoro di Suess, e gli hanno attribuito la nozione secondo la quale la combustione di fonti fossili contribuisce alla diminuzione del rapporto C14/C12 in atmosfera, hanno ignorato completamente le alternative spiegazioni fornite da Suess. Secondo Tans, deJong e Mook (“Natural atmospheric 14C variation and the Suess effect“, 1979):
“La diluizione della concentrazione di 14CO2 atmosferica da parte di grandi quantità di CO2 derivata da combustibili fossili che non contengono 14C è comunemente chiamata effetto Suess. La sua grandezza può essere calcolata con gli stessi modelli geochimici del ciclo globale del carbonio che prevedono anche il futuro aumento della CO2 atmosferica causato dalla combustione di combustibili fossili.”
In realtà, Suess, che per primo propone l’idea che i combustibili fossili possano contaminare le riserve di isotopi di carbonio con effetti negativi sui metodi di datazione al carbonio, stimò che la CO2 dei combustibili fossili rappresentasse meno dell’1% della contaminazione di tali riserve. Citiamo dal suo articolo:
“Gli effetti minori osservati indicano variazioni locali relativamente grandi di CO2 nell’atmosfera derivate dalla combustione industriale del carbone, e che la contaminazione mondiale dell’atmosfera terrestre con CO2 artificiale ammonta probabilmente a meno dell’1%. […] Quindi la velocità con cui questa CO2 si scambia e viene assorbita dagli oceani deve essere maggiore di quanto ipotizzato in precedenza”
Il passaggio ci sembra abbastanza chiaro: lo stesso Suess imputava alle fonti fossili un effetto minoritario di deplezione del C14 (quantificato in circa l’1% del carbonio isotopico globale), ed ipotizzava – o ne deduceva – che l’altro fenomeno da lui descritto come probabile causa dovesse avere una portata maggiore di quanto generalmente stimato.
Perché nessuno studioso che si è occupato di Effetto Suess in relazione al Clima non ha mai affrontato questa osservazione?
In un altro suo articolo (“Radiocarbon Concentration in Pacific Ocean Water“, di Bien, Rakestraw & Suess, 1960) Suess indicava un’altra fonte di alterazione del rapporto C14/C12: i test con bombe effettuati tra il 1954 ed il 1958. Anche questo fattore viene abbondantemente ignorato quando si parla di Clima, invece viene utilizzato nelle correzioni delle datazioni al C14.
C’è inoltre ancora un altro fattore, forse più importante, che contribuisce alla deplezione del C14: il degassamento (emissione di CO2) ed il rilascio di carbonati “antichi” dal fondale marino, proveniente non solo da vulcani (evidentemente antichi e privi di C14) ma anche da “plumes” generati da fratture nel mantello terrestre, vecchio di centinaia di milioni di anni e quindi fossile, dunque privo di C14. Il degassamento in CO2 dal fondale oceanico proveniente da fonti magmatiche o da vent, arricchisce le acque di un carbonio isotopicamente leggero (basso rapporto di C14/12), e quando questa CO2 “leggera” arriva in superficie viene scambiata verso l’atmosfera per effetto della temperatura, riducendo il rapporto C14/C12 nell’aria. Allo stesso modo, il rilascio di carbonati (per la verità molto lento) dai fondali marini e dalle rocce antiche, prive di C14, contribuisce all’alleggerimento della CO2 atmosferica attraverso lo stesso meccanismo di scambio. A tutto ciò, vanno anche aggiunte le ulteriori azioni di degassamento, eruzione vulcanica, e produzione magmatica fuori dagli oceani, che emettono direttamente in atmosfera senza il (blando) filtro dell’acqua oceanica. L’assenza di C14 nella CO2 vulcanica e proveniente dal mantello terrestre è ben nota, viene per esempio trattata da Clark & Fritz (“Environmental Isotopes in Hydrogeology”, 1997).
Sia la CO2 tettonica che quella vulcanica sono magmatiche ed impoverite sia in termini di C13 che in termini di C14. In assenza di determinazioni isotopiche statisticamente significative per ciascuna fonte vulcanica (terrestre o oceanica) che contribuisce all’atmosfera, ciò rende i contributi di CO2 di origine vulcanica isotopicamente indistinguibili da quelli dei combustibili fossili consumati per le attività umane. Non deve sorprende che Segalstad, professore associato di geologia delle risorse e ambientale presso l’Università di Oslo, abbia indicato nel 1998 (“Carbon cycle modelling and the residence time of natural and anthropogenic atmospheric CO2: on the construction of the Greenhouse Effect Global Warming dogma“) che il 96% della CO2 atmosferica è isotopicamente indistinguibile dal degassamento vulcanico.
(*) Perito Chimico Industriale (1992), Tecnico per la gestione delle Acque e delle Risorse Ambientali (certificazione CEE-1997), owner del sito Tecnologie Ambientali