Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 02 Agosto 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41913

 

Nelle precedenti due puntate (Climatemonitor.it 2016a2016b) abbiamo esplorato in modo teorico l’affascinante tema dell’esternalità ambientale e identificato i principali attori nel processo che porta all’identificazione di tali esternalità e alla loro risoluzione. In questa terza tappa del nostro viaggio esamineremo alcuni casi reali di esternalità pelosa, ovvero sottesa a secondi fini molto meno nobili di quelli ufficialmente associati all’esternalità in questione.

La virtuosa Croazia

Il caso del referendum italiano è stato affrontato su questo stesso sito con le tre puntate dello Stupidario Referendario (climatemonitor 2016h), le quali meritano un aggiornamento. Nella seconda puntata dello Stupidario (climatemonitor.it 2016i) si erano citate le dichiarazioni francesi  di Segolene Royale in materia di moratoria sulle trivellazioni nel Mediterraneo, dove per altro i francesi non hanno mai trovato un goccio di petrolio. Negli stessi giorni però, i giornali italiani, sempre solerti nel difendere la causa della de-industrializzazione, ergevano a paladini dell’ambiente i croati che, in pieno conflitto di interesse stante la competizione con l’Italia per lo sfruttamento dei giacimenti nell’Adriatico, annunciavano una moratoria sulle trivellazioni offshore, venendo quindi additati da Stampubblica (lastampa.it 2016) come mirabili esempi da imitare.

Ma era davvero così? Ovviamente no. Una recente notizia, inspiegabilmente trascurata dai giornali italiani, riguarda proprio la Croazia e la decisione di costruire un terminal di rigassificazione di LNG (gas naturale liquefatto). Dove? In Adriatico, naturalmente. Nello specifico, sull’isola di Krk. Andando a leggere con più attenzione scopriamo che la delibera è arrivata dopo la ratifica di un accordo all’interno dell’Energy Council USA – Unione Europea, un organismo creato nel 2009 per la “cooperazione energetica” (ec.europa.eu, 2016).  E indovinate un po’ quale gas liquefatto arriverà nei porti croati nel nome di questa nobile cooperazione? Ma quello americano, naturalmente. La motivazione è che così si renderà la Croazia, e l’Unione Europea tutta, meno dipendenti dal gas russo: abbondante, economico e a un tiro di schioppo da casa nostra. Ma la Russia da un po’ di tempo non va più di moda, e notizie come questa aiutano anche a capire come mai.

Vale la pena sottolineare che il gas americano in questione viene prodotto utilizzando la tecnologia di estrazione più impattante per l’ambiente: il famigerato shale, che prevede la fratturazione di livelli piuttosto superficiali di accumuli idrocarburici facendo uso di ingenti quantità di acqua, con le accuse associate di causare terremoti, inquinare falde acquifere e sprecare acqua. Al di là della gravità e fondatezza delle accuse in questione si può onestamente sostenere che si tratta della tecnologia di estrazione più invasiva per l’ambiente, al punto da essere vietata in un numero crescente di stati.

Facendo una sintesi, il Giudice Supremo, forte del suo mandato politico, chiede ai paesi di de-carbonizzare. L’Italia, curiosamente, per eliminare l’esternalità in questione mette ai voti un referendum per interrompere la produzione di gas dai suoi stessi giacimenti offshore, senza tuttavia chiarire come rimediare all’ulteriore dipendenza energetica creata in questo modo. Magari con un bel terminale di rigassificazione?

La Croazia invece si spinge fino a vietare le trivellazioni in mare dove, a differenza che in Francia, il gas c’è eccome, ma nel frattempo si decide di investire un capitale nella costruzione di un impianto di rigassificazione che dal punto di vista dell’esternalità ambientale non risolve un bel niente, anzi: tanto valeva che la Croazia continuasse a estrarre il proprio gas, visto che le piattaforme in Adriatico hanno un impatto ambientale insignificante, se paragonate ad uno sviluppo shale.

In realtà è tutto molto chiaro: l’esternalità viene usata come pretesto per fare gli interessi dell’attore politico dominante, quello che con una mano sponsorizza e produce materiale scientifico a giustificazione della guerra all’esternalità, e con l’altra, attraverso un ennesimo attore politico (l’Energy Council già citato) infila sotto banco un bel terminale di rigassificazione che importi gas americano con in più la giustificazione (tutta politica questa volta) di una minore dipendenza dalla Russia.

Così facendo, però, si crea una situazione grottesca: ti impedisco di produrre il tuo gas (per altro in modo sostanzialmente innocuo per l’ambiente) e così facendo, in linea con la teoria economica sulle esternalità, ti punisco costringendoti all’acquisto di una materia prima più cara e arrecando un danno economico alla tua industria estrattiva e filiera produttiva in generale. Ma la punizione in questione, piuttosto che risolvere l’esternalità la ingigantisce: perchè il gas verrà bruciato comunque, producendo la stessa quantità di CO2, ma andando a rovinare la vita del Mr. Jones che fa il contadino in Oklahoma o nel North Dakota, e che tra un terremoto e l’altro si ritrova anche il metano che gli esce dal rubinetto mentre si lava i denti.

E la virtuosa Polonia?

Non sta a guardare neanche lei. Di recente è stato inaugurato in pompa magna un grosso terminale di liquefazione LNG da 5 miliardi di metri cubi l’anno, l’equivalente di circa 80,000 barili di petrolio al giorno. Ovviamente, e dichiaratamente, in chiave anti-russa. In questo caso l’esternalità ambientale viene in secondo piano rispetto all’esigenza politica di confermare, coi fatti, la guerra fredda dichiarata dal governo nazionalista polacco allo scomodo vicino. Ma, come per l’esternalità croata, la scelta ha un costo: il prezzo di break-even per lo shale gas americano si aggira intorno ai 7-8$/MMBTU (globalriskinsight.com, 2015), contro il costo attuale del gas russo letteralmente stracciato da Gazprom a circa 4$/MMBTU (Fig.2). I polacchi saranno giustamente fieri della loro indipendenza dalla Russia (e della neo-acquisita dipendenza dal Qatar), ma pagheranno un prezzo, per questa fierezza.

 

xxx
Fig. 2: Costo del gas importato in Europa. Fonte: www.oilprice.com

 

E l’orgogliosa Francia?

Orgogliosa e indipendente secondo convenienza, come da peggiori cliché. Padroni di casa orgogliosi della COP21, arrivano a licenziare per mano diretta della politica un meteo-man accusato di aver messo in dubbio il Verbo del global warming (climatemonitor.it 2015) . Da una parte vietano gli sviluppi shale per motivi ambientali. Poi vietano le trivellazioni in mare dove comunque non c’è petrolio, per ergersi a paladini dell’ambiente mentre in Italia si vota il referendum. Ma nel frattempo le società energetiche francesi stringono accordi per importare, indovinate cosa?… Ma lo shale gas americano, naturalmente. Quindi vieto lo shale a casa mia, ma importo quello americano perchè, alla fin fine, l’esternalità se la becca il contadino del North Dakota. E se è contento lui…

Ma il capolavoro finale è sempre di Segolene Royale, che nel pieno dello scontro al calor bianco per il trattato di “libero scambio” con gli USA, si gioca la carta vincente. Indovinate cosa? Proprio il bando dello shale gas americano (oilprice.com 2016). Piú che di esternalità nascoste, forse bisognerebbe parlare di esternalità a corrente alternata.

Nella prossima quarta e ultima tappa del nostro viaggio concluderemo la carrellata tra vizi privati e pubbliche virtù di alcuni degli attori più coinvolti nel grande bluff delle esternalità pelose, a corrente alternata o secondo convenienza che le si voglia chiamare. E proveremo a tirare le somme, pur con tutti i limiti dovuti alle semplificazioni fatte e alla (relativa) brevità di questo articolo, se paragonata all’ampiezza dell’argomento trattato.