Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 17 Novembre 2019
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=51866

Seguire i media in questo periodo è molto difficile. Si erano appena affievoliti gli echi relativi all’eccezionalità del mese di ottobre (il più caldo di sempre, ovviamente) che sono iniziate le lamentazioni relative al mese di novembre.
Viaggio abbastanza spesso ed utilizzo il tempo trascorso in auto per tenermi al corrente con gli eventi di interesse generale. Seguo quasi esclusivamente i programmi di informazione delle reti radiofoniche RAI, per cui la mia potrebbe essere un’impressione un po’ parziale, ma seguendo qualche programma televisivo trasmesso da reti diverse dalla RAI, il discorso non cambia più di tanto.

Mi riferisco, ovviamente, alle vicissitudini meteorologiche che hanno monopolizzato l’attenzione dei media in questa prima metà di novembre. Mercoledì mattina mi capitò di ascoltare la trasmissione radiofonica “Cento città” su Radio uno. Si parlava delle condizioni meteorologiche nell’Italia meridionale ed a Venezia. I conduttori del programma hanno mandato in onda svariate interviste di amministratori locali (sindaci, assessori regionali, ecc.) oltre che dirigenti dei servizi di protezione civile locale e semplici cittadini. Iniziai a seguire la trasmissione poco prima che prendesse la parola una ricercatrice del CNR. Confesso che l’analisi della scienziata, mi lasciò un poco interdetto: nonostante gli assist dei conduttori, ella si guardò bene dall’invocare i cambiamenti climatici quale causa delle mareggiate, dei temporali, dei nubifragi e delle ondate di marea in corso. In maniera estremamente corretta imputò tutto ai fenomeni circolatori in atto e tipici del periodo.

Subito dopo fu intervistato un assessore regionale della Basilicata che riferì del nubifragio che aveva provocato gravi danni a Matera. Si parlava di strade trasformate in torrenti, di pavimentazione stradale divelta, di muretti crollati e di infiltrazioni d’acqua che avevano gravemente danneggiato il nuovissimo palazzetto dello sport cittadino. L’assessore assecondò le aspettative dei conduttori, rispondendo affermativamente alle loro sollecitazioni circa le cause del fenomeno: i cambiamenti climatici in corso. La cosa buffa di tutta la vicenda sono state alcune considerazioni dell’intervistato che consentivano di spiegare in modo del tutto diverso la violenza dei fenomeni ed i danni alle strutture. L’assessore ci informava, infatti, che il centro storico di Matera è situato a quota inferiore rispetto alla città moderna. Tutte le acque piovane raccolte dai piazzali e dalle aree pavimentate della città di Matera, pertanto, dovendo necessariamente andare verso il basso, invadevano la città vecchia. Queste le parole dell’assessore. Per chi ascoltava la conclusione non poteva essere che una sola: i disastri descritti, non erano imputabili alle piogge in corso, ma alle sciagurate trasformazioni urbanistiche del territorio che avevano trasformato i Sassi di Matera, nel punto di recapito delle acque piovane della città moderna.

E’ ovvio, pertanto, che i fenomeni descritti erano “senza precedenti”. Nel passato non esisteva la città di Matera cosiddetta moderna, ma solo i Sassi, per cui essi non potevano essere invasi dai fiumi d’acqua dei giorni nostri in quanto le acque piovane erano assorbite dai terreni che si trovavano al posto delle strade, delle piazze e dei piazzali della città moderna.

Per quel che riguarda il nuovissimo palazzetto dello sport, il discorso è fondamentalmente diverso: lo hanno progettato e realizzato male, altrimenti le infiltrazioni d’acqua non ci sarebbero state, così come non ci sarebbero stati i danni. Come si vede il cambiamento climatico con quanto accaduto a Matera c’entra come i classici cavoli a merenda, nonostante i tentativi dei conduttori di renderlo protagonista esclusivo degli eventi.

La vicenda divenne grottesca, però, quando prese la parola il sindaco di Gallipoli. I premurosi conduttori si affrettarono a sollecitare l’amministratore circa l’eccezionalità delle piogge e dei venti che avevano colpito la perla del Salento. Ciò allo scopo di sferrare il colpo decisivo relativamente alla natura climatica dell’evento. Gli andò male, però. Il sindaco con tono pacato rispose dicendo che i danni alla sua città non erano da imputare affatto alla violenza dei fenomeni atmosferici che, tutto sommato, potevano essere considerati del tutto normali: niente trombe d’aria o bombe d’acqua, insomma, ma normalissime piogge e venti autunnali. Il problema era stato il mare. Le onde avevano sferzato le coste della penisola di Gallipoli, permettendo alle acque del mare di invadere case ed attività economiche. Anche in questo caso normalissime piogge e venti autunnali, nulla di eccezionale o di mai visto in precedenza.

Senza perdersi d’animo i due conduttori introdussero l’intervista ad un amministratore calabrese o dirigente della protezione civile, non ricordo bene, ma conta poco, molto più importante è quanto egli disse. Sulla Calabria è caduta una quantità di pioggia eccezionale e senza precedenti, dicono i conduttori. L’intervistato conferma che in Calabria aveva piovuto per circa dodici ore filate, ma le piogge, pur registrando valori cumulati imponenti (tra un quarto ed un quinto del totale cumulato annuale) erano state tali da non procurare alcun danno. Aveva piovuto come normalmente piove nel mese di novembre ed i corsi d’acqua avevano egregiamente consentito alle acque di defluire verso i loro recapiti naturali. Ancora una volta normali piogge autunnali.

Ampio spazio fu riservato a Venezia, ma su questo tema già si è espresso in modo esaustivo e condivisibile l’amico M. Lupicino nel suo post pubblicato qui su CM nei giorni scorsi, per cui evito ulteriori considerazioni.

Io sono ingegnere, di quelli che dovrebbero fare a cani e gatti con i geologi o che dovrebbero appiccicare le forchette al bicchiere con il nastro adesivo, per simulare quanto fanno i fisici con i principi scientifici. Invece io sono sempre andato d’accordo con i geologi e con le leggi della fisica: con i primi perché fondo buona parte del mio lavoro sulle loro relazioni, con le seconde perché cerco di spiegarle ai miei alunni. Non sempre le ciambelle riescono con il buco, ma io comunque ci provo! (Spero mi consentiate un po’ d’ironia: non fa male e contribuisce ad alleggerire il discorso).

In tutte le centinaia di relazioni geologiche che ho letto in oltre trent’anni di professione, ho sempre trovato scritto che le precipitazioni nell’Italia Meridionale si concentrano nel periodo autunnale e primaverile. In inverno ed in estate non piove o piove poco. Ciò in base alle serie pluviometriche ufficiali e pacificamente accettate dalla comunità scientifica. Eppure ci si meraviglia che in autunno piova. Ci si meraviglia che in poche ore cada un quarto della pioggia che cade in un anno, senza procurare, tra l’altro, alcun danno. Bisognerebbe meravigliarsi se ciò accadesse nel mese di agosto o di gennaio, non del fatto che accada nel mese di novembre, ovvero in pieno autunno, ovvero nel periodo in cui deve cadere quasi la metà della pioggia annuale.

Lo scopo di tutto questo è quello di illustrare la dinamica perniciosa che caratterizza il dibattito attuale sulle problematiche ambientali e, soprattutto, climatiche. Sembra ormai diventato obbligatorio attribuire tutto e solo al cambiamento climatico di origine antropica e, quindi, al terribile diossido di carbonio emesso dai perfidi esseri umani. Ogni conduttore di programma televisivo o radiofonico, ogni autore di articolo di giornale, ogni inviato speciale sui luoghi del disastro, ogni esperto intervistato, fa del riferimento al cambiamento climatico quale causa di tutti i mali del mondo, un punto d’onore e di merito. Il colmo oggi (venerdì) nel corso di Tagadà (La 7). La conduttrice intervista un economista chiamato a parlare della crisi dell’ILVA di Taranto. Siccome si era parlato, fino a quel momento, di Venezia e di acqua alta, la conduttrice cerca di collegare i due discorsi, paragonando la fragilità economica a quella geologica del nostro derelitto Paese. Non ci crederete, ma l’esperto economico esordisce dicendo che come gli effetti deleteri sulla stabilità geologica del Bel Paese sono amplificati dal cambiamento climatico che, quindi, esacerba il deficit strutturale che lo caratterizza, allo stesso modo la crisi dell’ILVA è esacerbata dalle mutate condizioni del mercato dell’acciaio ecc., ecc., ecc.. Ho cambiato canale di corsa bersagliando il malcapitato esperto con i peggiori improperi.

Non è arrivato ad imputare al cambiamento climatico la crisi dell’ILVA, ma perché introdurre il suo discorso con un riferimento al cambiamento climatico? Perché fa fico, ovviamente.

E con questo non posso far altro che concordare con chi, dalle pagine di questo blog, ha puntualizzato che il dibattito sulle problematiche climatiche non ha più nulla di scientifico, ma è solo ed esclusivamente un dibattito ideologico, in cui la parte del leone la fanno gli opinionisti più diversi ed improbabili. Come i conduttori di Caterpillar (Radio due) che sempre venerdì pomeriggio hanno “dimostrato” che il cambiamento climatico è reale sulla base del fatto che a Venezia, dal 1872 ad oggi, non si erano mai verificate due maree di oltre 150 cm sul livello medio del mare (o medio mare, secondo un altro “autorevole” reporter) in una settimana.

Dati statistici, probabilità, fasce di incertezza, serie mareografiche, serie termometriche, dati di prossimità, dati misurati, fisica dell’atmosfera, termodinamica, fluidodinamica e chi più ne ha, più ne metta, non servono più a nulla. Il cambiamento climatico di origine antropica è reale perché così hanno deciso conduttori televisivi, radiofonici, giornalisti, politici e via cantando. Parafrasando quello che si diceva una volta, con riferimento alla politica, oggi potremmo dire che in campo climatico è tempo di nani e ballerine.

E in questo contesto come si collocano gli scienziati? Esemplare è il caso di un noto fisico dell’atmosfera con cui ho avuto modo di interloquire anche su queste pagine. Oggi (sempre venerdì) intervistato su non so quale canale circa le cause antropiche del maltempo autunnale, ha detto, tra l’altro, che il fatto che la scienza abbia “accertato” (enfasi mia) che l’uomo sia responsabile del cambiamento climatico, è una buona notizia: ciò consente, infatti, di modificare il corso degli eventi modificando il nostro comportamento. Sarebbe stato peggio se avessero accertato che tutto dipendeva da cause naturali: non avremmo potuto fare niente per impedire il cataclisma incombente.

A me sembra che nessuno fino ad ora sia stato in grado di dimostrare la natura esclusivamente antropica del riscaldamento globale ed annesso cambiamento climatico o crisi climatica che si voglia dire. Io sono dell’avviso che buona parte degli eventi atmosferici in corso sia di origine esclusivamente naturale e non fare niente per mitigarne gli effetti, cullandosi nell’illusione che riducendo le emissioni, saremo in grado di ridurre o eliminare la violenza degli eventi meteorologici, è la principale colpa del 97% degli scienziati mondiali. Spero con tutto il cuore di sbagliarmi, ma non credo.