Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 26 Agosto 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=45626

 

Fine estate, tempo di missioni.

Si parla di missioni religiose, in un certo senso. No, non quelle banali missioni in Africa ad assistere bisognosi e a sviluppare progetti sociali. Roba passata di moda, così cheap e low-profile. Quasi ti vergogni, a postare quella roba su facebook: si passa per bigotto e razzista, perché il diritto a emigrare oggi va molto più di moda di quello a rimanere dove sei nato, magari per aiutare il tuo Paese a crescere.

Qui invece si parla di missioni fatte nel nome della neo-religione imperante: il Climatismo. Religione laica, unificante, globale, impegnata solo a parole e redditizia nei fatti per l’èlite di sacerdoti laici che ne celebrano i riti a Hollywood o all’Accademia Reale Svedese delle Scienze piuttosto che a Wall Street. Bene, anche il Climatismo ha i suoi riti e le sue missioni. Tipicamente si celebrano alla fine dell’estate, quando la neo-religione impone di consolidare la fede attraverso la dimostrazione che stiamo per morire tutti di caldo.

L’ambientazione geografica di queste missioni è specularmente opposta a quella delle vecchie religioni: invece che in Africa si va sull’Artico. Dal calore climatico e umano fatto di povertà e di voglia di vivere, al gelo climatico e all’ansia infelice di vedere ovunque le tracce maligne dell’azione umana. Lotta per la sopravvivenza, con le guance scavate e un bellissimo sorriso stampato sul volto da una parte, e lotta per inventare minacce esistenziali laddove non ne esistono, con espressione accigliata ed equipaggiamenti costosissimi, dall’altra parte.

Ogni anno il rito missionario della neo-chiesa climatista impone qualcosa di diverso, per mantenere alto il livello dell’attenzione: Passeggiate sul pak-colabrodo, circumnavigazioni di quel che resta della calotta artica, rompighiaccio che fanno a gara per raggiungere nel minor tempo possibile il Polo Nord. Ogni sforzo (economico in primis, e mediatico in secundis) deve essere speso per dimostrare che il ghiaccio si sta sciogliendo, che lo fa per colpa dell’uomo e che la salvezza è solo nel Climatismo salvamondista. Solo adorando gli dei del Climatismo, nelle fattezze appesantite di Al Gore o nel sex-appeal residuale di Di Caprio, potremo salvarci da una morte certa per arrostimento.

Eroe dei nostri tempi

Quest’anno è il turno di Pen Hadow. Un nome che a noi probabilmente dice poco, ma che nel Regno Unito ha una sua notorietà. Sul suo sito Pen si definisce, tra le altre (tante) cose, uno “stimato e ispirato conferenziere”, specializzato in “discorsi motivazionali” e “discorsi di intrattenimento da dopo-cena”. A questo si aggiunge un corposo pedigree come esploratore, avventuriero, recordman, guida professionale ed imprenditore. “Hero of Environment Award dal Times”, “Global Best Adventure Award da El Globo”… Ce n’è da fare invidia a Chuck Norris.

Alcune testimonianze sul suo impegno contro il riscaldamento globale hanno il sapore dell’epitaffio in vita: “Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. L’esperienza di Pen Hadow è stata genuinamente ispiratrice e motivante. Visto che Mark & Spencer hanno lanciato l’iniziativa “Piano A” per affrontare l’enorme sfida del climate change, è stato fantastico ascoltare qualcuno che ha vissuto così da vicino i problemi del riscaldamento globale”. Anche Mark & Spencer è stato ispirato…Gli avranno intitolato un sandwich?

Rincara (se possibile) la dose il Times: “Pen Hadow ha dimostrato che lo spirito edwardiano di avventura di Shackleton e Scott è ancora vivo”.

Arctic Mission

Sarà pur vivo lo spirito di Shackleton, ma ho qualche difficoltà a riconoscere le fattezze del mitico esploratore che su una zattera di fortuna ha sfidato i 40 ruggenti e i 50 urlanti dell’Oceano Antartico, nelle sagome dei velisti in abiti tecnici griffati che su due barche a vela con scafo rinforzato (e sponsorizzato) si avviano a raggiungere il Polo Nord. Perché in apparenza sarebbe proprio questo, l’obbiettivo della missione: raggiungere il Polo Nord in barca a vela.

Obbiettivo decisamente ambizioso, il loro: i ghiacci artici, nonostante le solite previsioni catastrofiste, hanno retto bene all’impatto dell’estate grazie a temperature quasi costantemente inferiori alla media, e si avviano a concludere la loro contrazione stagionale con un minimo di estensione in linea con gli ultimi 10 anni, probabilmente proprio in corrispondenza della mediana. Le temperature sono previste in ulteriore calo nei prossimi giorni, fisiologicamente, a causa del soleggiamento ormai quasi irrilevante. E la situazione sinottica non sembra neanche particolarmente favorevole, visto che un anticiclone sul Mare di Beaufort regalerà correnti fredde sul Bacino Centrale dell’Artico e una ulteriore compattazione di ghiacci che già adesso raggiungono spessori massimi di circa 2.5 metri. Insomma, in apparenza una impresa impossibile, quando non del tutto insensata. Che qualora riuscisse, avrebbe realmente del miracoloso (cosa da non escludersi, visto il pedigree dell’erede naturale di Shackleton).

Sui media, in particolare quelli anglosassoni, si è calcata molto la mano sull’imminente raggiungimento del Polo Nord in barca a vela. È normale, serve a sostenere la narrativa e a convincere gli adepti del Climatismo che la loro è una religione giusta, necessaria, e soprattutto rivelata. Molto meno trionfalistici i toni del Blog, in cui il raggiungimento del Polo Nord è citato a mala pena, quasi nascosto in mezzo ad annotazioni sull’impellenza di salvare il mondo dal global warming e sul carattere spiccatamente scientifico della missione.

Giusto così: uno speaker motivazionale come Pen non cadrebbe mai nell’errore da principiante di dare per raggiunto un traguardo obbiettivamente…assai ambizioso. Probabilmnte non era ritenuto tale al tempo in cui la missione è stata organizzata (si saranno fidati troppo di Wadhams) ma l’estate purtroppo è stata deludente, il ghiaccio è ancora lì, e a tornare a casa da sconfitto Shackleton 2.0 proprio non ci sta.

La scienza prima di tutto

…E quindi amen se la missione quasi-impossibile è degradata a impresa a carattere prettamente scientifico. I ghiacci si scioglieranno comunque, basta aspettare. Per adesso si salva il mondo osservando l’agonia degli animali minacciati dal global warming antropogenico. Non occorre molto tempo per incontrarne: inopinatamente il primo pak si incontra dopo pochi giorni di navigazione: un’orsa, due cuccioli… Il patetico incontro tra vittime del climate change si prospetta ricco di pathos: “è un momento agrodolce… La mamma e i cuccioli appaiono in buone condizioni da lontano, ma il più piccolo è in una fase critica della sua vita (!?). La buona notizia è che la catena alimentare sta supportando questi orsi. Tuttavia, la cautela ci induce a pensare che la loro sopravvivenza è appesa a un filo e che qualsiasi nuovo rischio per la catena alimentare dovrebbe essere controllato dai politici di tutto il mondo prima che sia troppo tardi”.

Insomma, altrimenti tradotto, ‘sti orsi stanno benone, ghiaccio e neve non mancano, cibo nemmeno, ma i salvamondo servono lo stesso. Votateli e vi salverete. Più che Shackleton mi viene in mente Orwell, e più che gli orsi, i maiali dello stesso Orwell.

 

Orsi, ghiaccio e neve. Maledetto global warming.

 

Conclusione

La missione neo-religiosa di Pen vale la pena di essere seguita. Forse per quella naturale inclinazione dell’animo umano descritta magistralmente da Lucrezio nell’immagine dello scampato al naufragio che si rallegra alla vista del mare in tempesta per il fatto di non trovarsi in mezzo ai flutti. Sarà che Pen è Shackleton 2.0 e io uno scettico pidocchioso e miscredente, ma non lo invidio alla vista di quelle carte sinottiche, e al pensiero che gli orsi bianchi godano di ottima salute.

E poi, un dubbio mi assale. Cosa prevede il credo climatista nel caso di un incontro ravvicinato tra una famiglia di orsi bianchi affamati e un gruppo di velisti in carne bloccati da ghiacci spessi 2 metri e spettinati da una brezza tesa a 10 gradi sotto zero? Si spara all’orso? O piuttosto si accetta, con beata e mistica rassegnazione, di far parte di quella stessa catena alimentare la cui integrità preoccupa così tanto Pen? E se il sacrificio di se stessi nel nome di quella catena alimentare aprisse le porte al Paradiso dei Salvamondo?

Vado a dormire tormentato dal dubbio e consumato dal dilemma neo-religioso. E chissà che non mi compaia in sogno il faccione imbolsito di Gore o il sorriso maliardo di Di Caprio a illuminarmi d’immenso. Vado a bere una tanica di caffè: sognare quei due che parlano di clima è un rischio che non me la sento proprio di correre.

Se proprio devo scegliere… Meglio Freddie Krueger.