Posted By Donato Barone
Data di pubblicazione: 25 Ottobre 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=46226
L’amico Donato mi perdonerà l’incursione nel suo post e nel suo titolo, ma non ho potuto resistere in presenza dell’ennesimo segnale di chiara deriva fantascientifica della ricerca sul clima. Niente da dire, quanto commentato tra poco sarebbe ottimo per la sceneggiatura di una bella climate fiction…
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Attratto da un lancio dell’ANSA, caratterizzato da una foto con la statua della libertà immersa nell’oceano fino alla cintola e circondata da iceberg, ho cercato e trovato l’articolo cui la notizia faceva riferimento. Si tratta di uno studio a firma di una decina di studiosi tra cui spiccano M. E. Mann e K. A. Emmanuel, ma la cui prima firma è Andra J. Garner, pubblicato su PNAS da qualche giorno (da ora Garner et al., 2017).
Impact of climate change on New York City’s coastal flood hazard: Increasing flood heights from the preindustrial to 2300 CE
Ho letto l’articolo e sono restato alquanto sbigottito. L’articolo è basato esclusivamente su analisi modellistiche e, in particolare, di quattro modelli di circolazione globale della suite CMIP5 oltre diversi altri modelli che vengono utilizzati per trattare gli output dei GCM utilizzati o per simulare il comportamento del ghiaccio. I modelli di circolazione globale operano, come ben sanno i lettori di CM, su scala planetaria o emisferica e sono poco affidabili a scale inferiori (ammesso che lo siano alle scale per cui sono stati progettati). La cosa strabiliante di questo articolo è che gli autori cercano di quantificare il rischio di inondazioni connesso ad uragani e/o tempeste tropicali, di un’area estremamente piccola del pianeta: New York e dintorni, per la precisione.
Si tratta di un progetto di ricerca, secondo il mio modesto parere, molto ambizioso (per usare un eufemismo) perché non credo proprio che un GCM sia capace di generare output in grado di consentire di studiare l’evoluzione nel tempo delle tempeste tropicali. Eppure Garner et al., 2017 è stato in grado di prevedere l’evoluzione delle tempeste tropicali e degli uragani da qui al 2100 e, in un caso, addirittura fino al 2300. Per capire di che cosa stiamo parlando bisogna fare un po’ di mente locale. Un uragano è una macchina termodinamica paragonabile ad un motore e schematizzabile, grosso modo, con un ciclo di Carnot. Detto in altri termini si tratta di un sistema termodinamico determinato da parametri di stato come la pressione e la temperatura. Prevedere il comportamento di un uragano è un’operazione estremamente complessa e difficile e non sempre si riesce a individuare con certezza la velocità del vento, il punto di impatto e l’intensità delle piogge. Ciò a distanza di giorni. In Garner et al., 2017 si è cercato di stabilire le traiettorie degli uragani nell’Atlantico nei secoli futuri.
Gli autori hanno calcolato diverse migliaia di “tempeste sintetiche” e ne hanno studiato i percorsi. Sulla scorta delle elaborazioni effettuate, Garner et al., 2017 ha potuto stabilire che, a seconda degli scenari di emissione, l’evoluzione degli uragani nell’Oceano Atlantico fino al 2100 ed anche oltre, non sarà fonte di problemi per la città di New York, in quanto ad un aumento dell’intensità delle tempeste tropicali e degli uragani previsto dai modelli, corrisponderà una variazione delle traiettorie delle tempeste che dovrebbe limitare gli impatti delle stesse sulla città. Detto in termini semplici, le tempeste saranno più violente, ma toccheranno terra più lontano da New York e, quindi, gli effetti futuri non saranno molto diversi da quelli attuali.
Il problema è costituito, però, dal livello del mare. Secondo Garner et al., 2017 il livello del mare futuro non è facilmente determinabile. E su questo sono completamente d’accordo. Ciò su cui sono meno d’accordo è che gli autori sostengono che a causa dell’effetto serra il livello del mare aumenterà molto più di quanto possiamo immaginare. Ciò perché i modelli accoppiati oceani atmosfera sono poco abili nel prevedere il comportamento del ghiaccio terrestre e, quindi, sottovalutano gli effetti dell’aumento di temperatura sui ghiacci terrestri. Di primo acchito sono stato tentato di chiudere la pagina e passare ad altro, ma ho deciso di continuare nella lettura. Se un modello è poco abile a prevedere qualcosa, logica vorrebbe che non si prendessero in considerazioni i risultati delle sue elaborazioni. Gli autori sono del parere, invece, che tali risultati debbano essere presi in considerazione ed addirittura rivalutati in quanto essi sono dell’avviso che le “evidenze fattuali” dimostrano che i ghiacci si sciolgono più velocemente di quanto prevedano i modelli. Su questo non sono assolutamente d’accordo in quanto esistono numerosi studi che sostengono l’opposto. Di queste problematiche mi sono occupato diverse volte qui su CM, per cui sono abbastanza sicuro del fatto che prevedere l’andamento futuro del livello del mare è un’impresa ardua in quanto abbiamo grosse difficoltà a quantificare il contributo dell’aumento del contenuto di calore degli oceani che determina l’aumento di volume degli stessi e le variazioni di massa dei ghiacciai continentali a causa della scarsa conoscenza dell’assestamento isostatico. Nonostante tutte queste incertezze che sono consegnate in molti articoli scientifici soggetti a revisione paritaria, i nostri eroi sono riusciti a quantificare l’aumento del livello del mare nell’area di New York ed hanno potuto stabilire che il rischio di inondazione della città tenderà ad aumentare nel futuro. Sulla base delle previsioni di emissione dello scenario RCP8.5 (quello peggiore, per intenderci), Garner et al., 2017 arrivano ad ipotizzare per la fine del 23° secolo, delle onde di marea di circa 15 metri più alte rispetto a quelle dell’epoca pre-industriale.
Ciò ha consentito di calcolare un aumento del rischio di inondazione della città di New York. In estrema sintesi mentre in epoca pre-industriale le onde di marea che superavano i 2,25 metri avevano un tempo di ritorno di circa 500 anni, negli anni 1970-2005 hanno avuto un tempo di ritorno di 25 anni circa e, a partire dal 2030/2045, esse avranno un tempo di ritorno di circa 5 anni. In altri termini la città di New York sarà quasi una nuova Venezia con l’acqua alta.
Nel commentare un articolo scientifico è mia abitudine descrivere in modo piuttosto dettagliato le metodiche di elaborazione dei dati e sviluppare delle considerazioni sulle conclusioni cui i ricercatori giungono. In questo caso faccio un’eccezione in quanto dovrei usare delle parole inadeguate per definire un articolo scientifico. Mi limito a dire che non sono riuscito a trovare un aspetto del lavoro che meriti una considerazione. Essendo l’articolo completamente libero, chiunque voglia può leggerlo e, qualora giungesse a conclusioni diverse dalle mie, sarò lieto di discuterne con lui.
Roberto