Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 04 Giugno 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41467
No, non è il solito titolo ironico di Climatemonitor, ma il titolo vero e proprio comparso su La Stampa in data 1° Giugno 2016 con riferimento ad una intervista alla meteo-star Luca Mercalli. Per giunta sotto la categoria “Scienza”. Roba grossa, insomma. O roba pesante, che si preferisca…
Infatti il quotidiano, evidentemente in forma, vista la doppietta di articoli che nell’arco di una sola settimana hanno meritato la nostra attenzione, sostanzia il titolo con un sottotitolo altrettanto eloquente: “Ecco i motivi per cui non esistono più”.
L’intervista esordisce con un Mercalli in tono minore, un re minore mozartiano Messa-da-Requiem, che celebra le esequie delle mezze stagioni, essendo il calendario ridotto al rango di “residuo letterario, e niente di più”.
Del resto, aggiunge, l’inverno è stato molto secco, poi un marzo fresco, quindi un aprile caldo e infine un maggio leggermente al di sotto della media. L’ascoltatore scettico-fatalista si chiede dove sia l’anormalità, ma l’intervistato incalza con un Tag essenziale del mainstream catastrofista, la Drammatizzazione: “queste continue altalene di temperatura ci rendono la vita difficile dal punto di vista delle nostre abitudini quotidiane”. Viene da chiedersi se stia parlando dell’Italia o del Deserto del Gobi. E io che pensavo che a rendermi la vita difficile fosse il capo ufficio. Vai a capire.
Segue il Tag immancabile del Clima Impazzito: “il segnale climatico a lungo termine, tuttavia, è di un aumento generalizzato della temperatura in tutte le stagioni”. E il maggio fresco allora? Mai una gioia.
Segue un sussulto di (neo)realismo in cui Mercalli fa notare che in fin dei conti maggio è un mese piovoso, specialmente sul nord-ovest italiano e la pioggia di questi giorni è benefica. Ma il titolo dell’articolo è chiaro, non bisogna scantonare e il giornalista richiama subito l’intervistato all’ordine, con una domanda senza scampo: “Allora quali sono le ragioni di questi… cambiamenti atmosferici?”
Risposta scontata: “non bisogna confondere la variabilità atmosferica con il cambiamento climatico, che sostanzialmente prevede l’aumento della temperatura”. Segue il Tag della Forza dei Numeri: “in un secolo in Italia abbiamo guadagnato un grado, un grado e mezzo…” per poi concludere con un laconico “e quindi più che dire che non ci sono le mezze stagioni sarebbe più corretto dire che non abbiamo più un inverno e sempre più una lunga estate”.
Insomma, l’intervista consiste nella negazione del titolo stesso: il problema non sono le mezze stagioni, ma quelle intere. Quindi bisogna dedurre che le mezze stagioni ci sono ancora, ma sempre più compresse tra un non-inverno e una eterna estate? Quindi moriremo arrostiti. Forse.
Tuttavia sono angosciato dalla constatazione che il mio calendario è ormai ridotto a residuo letterario. Cosa ha fatto per meritare questo? E poi il re minore mercalliano mi mette addosso una certa malinconia.
Mi vengono in soccorso le Quattro Stagioni di Vivaldi, e la sua Estate, fatta di Caldo Languido, Vento Borea e gli immancabili Tuoni. Se solo Mercalli gli avesse spiegato la differenza tra variabilità climatica e climate change… Forse Vivaldi avrebbe dato fuoco al clavicembalo.
Leggo, tra l’altro, che nel temporale vivaldiano tra un tuono e l’altro intervengono “Mosche e Mosconi”. Un intermezzo sgradevole e inutile all’interno dell’evento meteorologico, ogni volta unico perchè mai uguale a se stesso.
Sgradevole e inutile. Come certe interviste e certi articoli. Questi sì, sempre uguali a se stessi.