Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 14 Maggio 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=52875

Qualche giorno fa, timidamente, nelle note di cronaca rosa di qualche quotidiano nostrano, era emersa una storia piccante, da tabloid scandalistico britannico: un celebre scienziato inglese dell’Imperial College era stato sorpreso a violare il lockdown per andare a trovare la sua amante. Spinto da stato di necessità, si suppone (ognuno ha le sue, di necessità). Fatto sta, a seguito dello scandalo seguito alla violazione del lockdown, Neil Ferguson ha dovuto rassegnare le dimissioni da consulente scientifico del governo britannico in materia di coronavirus.

Lo stesso Ferguson nelle ultime settimane aveva conquistato le prime pagine di tanti giornaloni per via delle sue proiezioni catastrofiche in termini di morti da coronavirus. Proiezioni che erano state inevitabilmente utilizzate in chiave di lotta politica, perché attribuivano al progetto di immunità di gregge citato dal premier Boris Johnson, la morte di almeno 250,000 cittadini di sua maestà. Morti che sarebbero raddoppiati a mezzo milione in caso di inazione assoluta.

Trattandosi di numeri sfornati da modelli matematici (e quindi al di sopra di ogni sospetto, proprio come i famigerati output dei modelli climatici) la “libera stampa” non li ha ritenuti meritevoli di una verifica, preferendo piuttosto accanirsi, schiuma alla bocca, sul nemico politico accusandolo di progetti di genocidio premeditato del popolo britannico. Una sola voce (la solita) si è levata fuori dal coro della stampa mainstream britannica: quella del Telegraph che già a Marzo, ben prima che il fedifrago fosse colto in flagrante, aveva fatto il semplice esercizio di verificare le precedenti performance dei modelli matematici di Ferguson. Con scoperte assai interessanti.

Nel 2001 Ferguson collaborò ad una ricerca sulla diffusione dell’epidemia di afta epizooica che colpiva il Regno Unito. L’output del modello matematico di allora fu assolutamente catastrofico, e risultò determinante nella decisione dell’allora premier britannico Tony Blair di portare al macello 6 milioni di capi di bestiame tra bovini, suini e ovini con una perdita economica quantificata in circa 10 miliardi di sterline. Il modello di Ferguson, infatti, suggeriva che non fosse necessario abbattere solo i capi malati, ma anche quelli sani di fattorie limitrofe a quelle infette, pur in assenza di alcuna evidenza di infezione.

La strage di animali (e di sterline) destò profonda impressione nel Regno Unito, e fu oggetto di studio anche negli anni successivi, con tanto di pubblicazione di studi che giudicarono l’abbattimento di massa sostanzialmente inutile, in quanto basato su modelli matematici inadatti allo scopo, non validati, evidentemente inaffidabili: “severely flawed” nella lingua di Shakespeare. Tra le critiche principali mosse allo studio in questione, ricorrente fu il riferimento alla pubblicazione dello stesso in un contesto di panico generale, che vedeva la politica in una condizione di imbarazzo, di fatto costretta ad utilizzare il paravento di uno studio scientifico qualunque per uscire dall’empasse e giustificare una decisione economicamente molto dolorosa e altrettanto criticata.

In occasione dell’allarme per il morbo della mucca pazza, Ferguson aveva prodotto uno studio secondo il quale 150,000 persone sarebbero morte a causa del morbo, nel caso in cui ci fosse stato il salto di specie. Salto che non ci fu, e infatti di quel morbo in Gran Bretagna sono morte fino ad oggi soltanto 200 persone. Ma al tempo gli studi allarmisti e catastrofisti sull’encefalopatia bovina si sprecavano, e probabilmente quello di Ferguson fu solo un contributo tra i tanti.

Alla luce di cotali precedenti, nell’articolo del Telegraph si sottolineava la necessità di prendere con le pinze le recenti proiezioni modellistiche di Ferguson sul coronavirus. E a distanza di diverse settimane dalla pubblicazione dell’articolo in questione, qualcuno ha anche iniziato a guardarci, nel modello di Ferguson, sottolinandone la natura non-deterministica dei risultati prodotti (una distribuzione statistica, simile all’output di una analisi Montecarlo).

Ma sulla base di quegli output modellistici, che includono anche la stima di 40 milioni di morti di coronavirus a livello mondiale, sono state prese decisioni su lockdown che hanno segnato la vita di miliardi di persone in mezzo mondo (l’Imperial College ha prodotto casi – puntualmente catastrofici – anche per altri paesi). Con ricadute economiche che si prospettano, quelle sì, certamente catastrofiche.

A chi da anni segue le vicende della “scienza del clima” tutta questa discussione suona decisamente come un film già visto e rivisto da decine di anni a questa parte: modelli fallimentari presi per oro colato, decisioni politiche che condizionano l’economia del Pianeta prese sulla base di output modellistici ridicoli e palesemente infondati fin dalle premesse, politici linciati se non in linea con i desiderata delle lobby ambientaliste e salvamondiste.

Eh sì, perché lo zampino del climattivismo proprio non poteva mancare, nemmeno nella cronaca rosa della vicenda personale di Ferguson. Pare infatti che la donna che ha indotto in fatale tentazione lo scienziato inglese sia una militante della potentissima organizzazione statunitense Avaaz, che promuove un attivismo su scala globale incentrato sul global warming e sulla declinazione dei “diritti umani” cara ai circoli liberal-globalisti più ortodossi. Organizzazione che, incidentalmente, non fa mistero di detestare Boris Johnson per le sue politiche (1, 2 …)

Certo bisogna essere davvero malpensanti e prevenuti, per ritenere che Ferguson si sia fatto incantare dalle visioni politiche della sua fiamma, e abbia consapevolmente offerto una sponda scientifica ad un attacco puramente politico. Ché le frequentazioni personali in nessun modo possono essere usate per criticare lavori scientifici e il popolare “chi si somiglia si piglia” con la scienza (e il lavoro in generale) non ha niente a che vedere. Al contrario Ferguson merita, oltre che comprensione per le sue umanissime debolezze, una difesa nel suo ruolo di scienziato costretto alle dimissioni per una banale e pruriginosa storia di corna e di quarantene violate, piuttosto che per la produzione output modellistici criticabili da un mero punto di vista scientifico.

In risposta alle critiche mosse al suo studio del 2001 sull’afta epizooica, Ferguson disse tra tante cose di buon senso una frase particolarmente importante: “la scienza, e in particolare la modellistica, è solo uno dei fattori che dovrebbero guidare le scelte della politica”. Parole sante, e non solo in tema di coronavirus, ma anche e soprattutto quando si parla di Climate Change. Parole che non trovano udienza interessata dalle parti di una politica debole e soggetta a pressioni di ogni genere. Ché è molto più semplice agire perché “l’ha detto il modello matematico”, piuttosto che all’interno di una valutazione articolata, complessa, fattuale. Una valutazione tutta politica, che tenga conto di fattori non solo scientifici, ma anche sociali ed economici: fattori almeno altrettanto decisivi, per il benessere della collettività.