Autore: Carlo Colarieti Tosti
Data di pubblicazione: 03 Dicembre 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=53853

A Dio piacendo eccoci anche quest’anno a redigere il primo outlook per questa stagione invernale appena iniziata. Come consueto faremo un primo sorvolo sullo stato di fatto per poi addentrarci nel possibile scenario di prognosi.

Inevitabile esordire con l’attualità dell’attività della nostra stella, fonte primaria d’energia alla base della vita e, per quanto ci riguarda, della circolazione atmosferica.

Ebbene dalla figura 1 possiamo facilmente notare coma l’attività sia al minimo del ciclo undecennale che ricordiamo corrisponde ad una bassa attività magnetica rilevabile visivamente da una bassa o nulla attività delle cosiddette macchie solari. Ad esso si accompagna una riduzione del vento solare e quindi delle particelle cariche che lo costituiscono e che giungono fino alla Terra. Non è ancora chiaro ma si tende ad attribuire a tale flusso una serie di possibili conseguenze a partire dall’alta atmosfera.

Dalle figure 2 e 2a si nota dalla sovrapposizione dell’attività solare osservata e quanto elaborato dal modello SolCast di Meteo Dolomiti per la previsione dell’attività solare. Le due curve sono piuttosto corrispondenti quindi potremmo rilevare che stiamo entrando nel nuovo ciclo solare 25. In ogni caso l’attività è bassissima e di questo ne terremo conto.

Passiamo ad analizzare lo stato dei venti equatoriali stratosferici. Le quote isobariche osservate sono a 10,30,50 e 70hPa. I grafici dalla figura 3 alla figura 6 rappresentano l’andamento rispettivo dei livelli indicati.

Più interessante, ma forse un po’ più difficile da interpretare, è il grafico in figura 7 che rappresenta l’andamento della QBO nei livelli isobarici osservati negli ultimi 6 mesi.

Questo grafico ci indica livello per livello la tendenziale della QBO da cui possiamo rilevare che a 10hPa, dopo avere raggiunto un massimo positivo molto relativo nel mese di giugno, a partire dal successivo mese è iniziata una nuova tendenza alla flessione tutt’ora in atto, che sta riportando l’indice in territorio piuttosto negativo.

A 30hPa si evidenzia l’uscita da un periodo negativo con valori sempre crescenti e in fase positiva da giugno scorso. A 50hPa andamento simile ai 30hPa ma con ingresso in fase positiva dallo scorso settembre e quindi verosimilmente la fase positiva è destinata a perdurare ancora a lungo. Stessa sorte per la quota isobarica di 70hPa che vede un andamento in crescita ma con valori positivi da ottobre. Quindi possiamo immaginare che la fase positiva nel corso del prossimo inverno riguarderà certamente i piani isobarici bassi 50-70hPa mentre per i 30hPa possiamo attenderci nella seconda parte invernale una graduale flessione a causa della fase est discendente che come visto già interessa i 10hPa.

Al momento non guarderemo all’intera nomenclatura degli indici oceanici ma ci soffermeremo ai due che ritengo siano i principali: indice PDO ed ENSO.

Il primo è importante perché ci segnala la variazione del flusso atmosferico, e quindi del treno d’onda, che ha iniziato nei mesi precedenti il suo cambio di segno. Le variazioni di temperatura delle acque superficiali sono riconducibili al fenomeno di wind stress che trasferisce momento alla superficie marina, la quale acquista movimento necessario per alimentare i fenomeni di downwelling e upwelling contribuendo a modificare le zone di risalita delle fredde acque profonde oceaniche e l’inabissamento di acque superficiali. Le zone di inabissamento sono quelle influenzate da persistenti strutture anticicloniche e viceversa per la risalita. Da qui si può facilmente intuire come l’indice PDO sia descrittivo dell’efficacia della variazione e persistenza delle forme d’onda sopra il Pacifico settentrionale. Questa porzione del globo è fondamentale per focalizzare lo sviluppo del treno d’onda principale che troverà poi risonanza nelle forme d’onda atlantica e asiatica.

I grafici nelle figure 8 e 9 mostrano rispettivamente l’andamento dell’indice PDO annuale dal 1950 ad ottobre del corrente anno e le vicende mensili dello stesso indice dallo scorso gennaio a ottobre.

Il grafico in figura 8 ci indica una PDO da inizio anno con valore lievemente negativo o, meglio ancora, possiamo indicare l’indice in fase praticamente neutra. Per meglio comprendere lo sviluppo annuale la figura 9 rappresenta l’andamento dei singoli mesi a partire dallo scorso gennaio. La tendenziale è verso una ulteriore discesa nei prossimi mesi con indice che è atteso divenire negativo.

Come detto poco sopra la valutazione di questo indice è significativa per determinare la posizione media del treno d’onda.

Dalla figura 10 possiamo ricavare la zona di convezione equatoriale dal primo ottobre scorso al 25 novembre del corrente mese. Seguendo i punti di divergenza dei vettori del vento alla quota isobarica di 200hPa sulla fascia interequatoriale ricaviamo le aree con la massima convezione la quale possiamo supporre possa mantenere una certa memoria lungo il trimestre invernale e compatibile con un indice ENSO che andrà ad incrementare nei valori negativi. I cerchietti rossi evidenziano le zone di divergenza da cui possiamo supporre che le zone MJO più attive potranno essere la 3-4-5 e 7-8-1.

Passando all’analisi dello stato della stratosfera iniziamo con esaminare l’andamento del vento zonale alla quota isobarica di 10hPa così come da figura 11.

Si nota come dalla terza decade di ottobre il vento zonale abbia iniziato ad intensificarsi tanto da raggiungere livelli di intensità ragguardevoli. Questa intensificazione ha corrisposto ad un approfondimento del vortice la cui origine è data da un consistente raffreddamento così come visibile in figura 12.

Il raffreddamento è iniziato verso la fine della scorsa estate aumentando la sua anomalia negativa progressivamente raggiungendo valori particolarmente bassi.

L’effetto sull’anomalia del geopotenziale è evidenziato dal grafico in figura 13 del NAM10hPa, indice che è andato aumentando portandosi ad oltrepassare la soglia di +1,5 in questi giorni e previsto fluttuare attorno a quel valore. Da letteratura questo significa un condizionamento troposferico di una sessantina di giorni con rinforzo del relativo vortice polare e una invasione della fascia anticiclonica subtropicale verso nord. Per quanto ci riguarda significa una prevalente ingerenza di alte pressioni nel mediterraneo centro-occidentale.

Detto ciò tutto si potrebbe concludere qui e come dicono in molti: inverno finito! In verità guardando ai dati complessivi con più attenzione emergono alcuni dubbi, vediamo quali.

Dai grafici in figure 13a e 13b possiamo analizzare lo stato dei flussi di calore alla quota isobarica di 100hPa tra le latitudini di 45°N e 75°N. Dal primo grafico si nota come i flussi non sono mai stati azzerati nonostante le vicende descritte in stratosfera, indice di una troposfera tutt’altro che incline a favorire un compattamento della massa artica. Il grafico in figura 13b, poi, ci suggerisce come gli eventi dei flussi di calore calcolati su un intervallo di 40 giorni non abbia raggiunto il limite negativo dei -5,5K m/s necessario per decretare un ESE di tipo cold al pari e in concomitanza del superamento della soglia NAM10hPa di +1,5. Questo non è un fattore secondario perché significa che il raffreddamento e intensificazione del VPS non è riconducibile all’azione troposferica con una chiara struttura di tipo T-S-T (troposfera-stratsofera-troposfera), ma di sola matrice stratosferica con conseguente scarsa influenza sulle vicende troposferiche. Inoltre nel grafico 13b è possibile valutare anche la previsione della tendenziale degli eventi dei flussi di calore su 40 giorni (curva gialla) che ci indica valori che non raggiungeranno nemmeno nel corso delle prossime settimane il valore negativo di soglia, anzi, si prevede una ripresa dei flussi di calore nel mese di dicembre, anche consistente (vedi curva verde). Tornando al grafico in figura 13 notiamo come la curva dell’indice SEI (Stratospheric Event Index) non abbia raggiunto, e tanto meno superato, la soglia di +1,5. Ricordo che questo indice tiene conto sia del NAM10hPa che dei flussi di calore per meglio focalizzare tutti i casi di superamento di soglia (positiva o negativa) al fine di individuare con maggiore precisione i casi di ESE.

Dunque ciò che sta avvenendo non sembra avere tutte le caratteristiche per essere indicato come evento stratosferico estremo, in base ai dati e fino a prova contraria non ritengo lo sia a prescindere dal valore NAM10hPa raggiunto. Però qualche ulteriore dubbio lo offre il NAM1000hPa così come da figura 14.

Oggettivamente, nella bassissima troposfera (a poche decine di metri dal suolo) l’indice NAM ci indica una notevole fase positiva appena trascorsa, con un forte compattamento della massa artica con relativa flessione del geopotenziale e una espansione della fascia degli anticicloni subtropicali verso nord. Il tempo di novembre ne è stato una plastica rappresentazione. Ma, per identificare dei disturbi in grado di penetrare la stratosfera e propagarsi in essa verso l’alto tali da generare eventi di tipo T-S-T i, dati dell’AO non sono indicativi, dobbiamo guardare alle anomalie di geopotenziale più in alto e specificatamente a quella quota limite tra troposfera e stratosfera nelle medio-alte latitudini. Questa quota è la 200hPa e il grafico successivo (figura 15) del NAM200hPa non ci segnala alcun evento particolare di anomalie in grado di penetrare e propagare in stratosfera. Il massimo “sforzo” sarà dato da un valore di appena poco superiore a +1 altrimenti i valori dei giorni e settimane precedenti sono rimasti all’interno della neutralità con anomalia di geopotenziale praticamente nulla.

Dunque detto ciò possiamo cautamente escludere che vi sia stato (o vi sarà nel prossimo futuro) la partenza di un impulso troposferico in grado di generare un evento di tipo T-S-T.

L’attività d’onda prevista dal modello IZE, attualmente operativo, è visibile in figura 16 e frutto dell’elaborazione dello scorso ottobre. Ci suggerisce tutt’altro che un condizionamento troposferico da ESE cold.

Dall’interpretazione del grafico possiamo notare l’uscita della fase con scarsa attività d’onda di novembre farsi strada nei primi giorni di dicembre ma poi riprendere in maniera corposa trovando i massimi effetti attorno alla metà del mese, per poi spegnersi temporaneamente (sembrerebbe attorno al Natale) per poi riprendere in maniera più vigorosa. Tale dinamica, se troverà conferma, sarà da seguire per le ripercussioni in stratosfera. Il mese di gennaio sembra trascorrere interamente con buona attività d’onda. Solo in febbraio, nella prima parte, si prevede uno stop per poi riprendere nella seconda parte del mese.

Questa attività il modello la traduce con le seguenti anomalie di geopotenziale previste alla quota isobarica di 250hPa come da figure 17, 18, 19 e 20.

Per quanto concerne l’Europa e il bacino centrale del mediterraneo si prevede un’anomalia negativa di geopotenziale con segnale più evidente nei mesi di dicembre e gennaio, caratterizzati da ingressi di aria fredda prevalentemente di matrice nord atlantica in dicembre e con una provenienza più settentrionale o nord orientale per gennaio, complice una maggiore propensione alla chiusura del flusso zonale ad opera della seconda onda. Le precipitazioni potrebbero dunque risultare sopra media complice anche un persistente blocco anticiclonico sull’Europa orientale. In febbraio dovrebbe prevalere il temporaneo ritorno di correnti zonali viste in rinforzo, comunque non ad interessare l’intero mese.