Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 11 Gennaio 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=43308

Devo ammettere che è con una certa stanchezza che mi accingo a commentare articoli come questo, pubblicato sulla Stampa l’8 Gennaio a firma di Luca Mercalli. E per diversi motivi.

  1. Perché è simile ad almeno altri 100 o 1000 articoli dello stesso tenore letti in passato;
  2. Perché è difficile cercare di risolvere le dissonanze cognitive altrui quando si fa già abbastanza fatica a fare i conti con le proprie;
  3. Perché questi articoli sono talmente prevedibili che li hai già letti prima ancora che vengano scritti: per esempio, questo pezzo l’avevamo già visto arrivare una decina di giorni fa sulle Previsioni di CM.

Previsioni in cui si annunciava, appunto, che avremmo letto che “fa più freddo perché fa più caldo”. E così, puntualmente, è stato. E allora perché commentarlo? Forse per un riflesso pavloviano irrefrenabile. O forse perché certi articoli ci forniscono comunque degli assist per alcuni spunti di riflessione.

Riassunto

L’articolo si apre con una riflessione generale sull’impressione destata dalle immagini del Sud imbiancato, con particolare riferimento al Salento e alla Sicilia, posti in cui questi fenomeni sono ben più rari che sulla costa abruzzese o sullo stesso litorale barese. L’autore quindi sostiene che questo scenario è “molto meno raro di quanto si possa immaginare”. Vengono quindi citati tempi di ritorno dell’ordine di 3-5 anni per eventi del genere.

Successivamente l’autore si sofferma sul “lake-snow effect”, fenomeno largamente noto a chi vive lungo la costa adriatica italiana e che consiste essenzialmente nella condensazione dell’aria fredda continentale al passaggio sull’Adriatico con le nevicate associate, come spiegato anche su CM in questo articolo.

Insomma l’articolo è fin qui sostanzialmente condivisibile e quasi ammirevole nel suo approccio didattico e semplificativo. È in chiusura che arriva la solita pezza salva-global-warming: si sostiene infatti che in Valpadana a causa dell’aumento di temperatura medio ”di circa 1 °C”, non nevica più, se non al di sopra dei 1000 metri di quota. E comunque nevica meno che 30 anni fa.

Finale melancolico delle grandi, anzi delle solite occasioni: “singoli episodi freddi come quello in corso non smentiscono, purtroppo, l’aumento di temperatura su scala mondiale”. Gran finale: “siccome siamo abituati al caldo, quando fa freddo ci stupiamo di più”. Altrimenti tradotto: se sentite freddo, è a causa di una vostra errata percezione.

Commento

C’è effettivamente tanto da scrivere, sulle poche ma lapidarie affermazioni di Mercalli. Proviamo a mettere in ordine qualche pensiero sparso:

  • I tempi di ritorno di episodi come quello appena vissuto sul Salento o sulla Sicilia non sono dell’ordine di 3-5 anni, ma ben superiori. Per il Salento gli unici episodi paragonabili sono quelli del 1987 e del 2001. Si può ben parlare di tempi di ritorno di 15 anni negli ultimi 30, a confermare quindi l’eccezionalità dell’evento.
  • C’è una evidente dissociazione cognitiva nel momento in cui in apertura di articolo si definiscono questi fenomeni come “non rari” per quanto “impressionanti”, salvo poi concludere l’articolo sostenendo che c’è una errata percezione del freddo dovuta al troppo caldo. Insomma, riusciamo a metterci almeno d’accordo sul fatto che faccia freddo? O è chiedere troppo?
  • Se è vero che a Napoli si è stabilito il nuovo record assoluto di temperatura minima con -5.6 °C possiamo dirlo ad alta voce, come si è fatto pochi giorni fa per il caldo fuori stagione di Oslo e Stoccolma o al Polo Nord? O dobbiamo sussurrarlo per paura che qualcuno ci senta, e imputarlo ad una “errata percezione” del termometro di Capodichino, magari in attesa che venga in soccorso l’IPCC con una delle sue mirabolanti revisioni a babbo morto, abbassando i precedenti record partenopei sulla base di un rivoluzionario calcolo dell’effetto dell’attività vulcanica nei Campi Flegrei?
  • Davvero incomprensibile il riferimento alla Valpadana e ai 1000 metri di quota, tanto più essendo reduci da un mese di Dicembre in cui le temperature sulla Valpadana centro-orientale sono state nella norma stagionale (Fig.1), e in molti casi in pianura ha fatto più freddo che in montagna a causa delle inversioni termiche. Va da sè che la mancanza di neve in valle e sulle Alpi è la semplice conseguenza di una configurazione sinottica penalizzante per le precipitazioni al Nord. Cosa accaduta più volte in passato, quando ancora di global warming non si parlava nemmeno. Viste le termiche attuali in Valpadana, basterebbe una modesta perturbazione atlantica per portare la neve al piano, altro che 1000 metri.
Fig.1. Fonte: Climatemonitor

 

  • Qualche altro commento sulla Valpadana: dispiace veder utilizzato un dato statistico (che non posso smentire nè confermare) sulle nevicate negli ultimi 30 anni come una pistola fumante pro-global-warming. Dispiace perché 20-30 anni corrispondono alla durata media dei cicli multidecadali dell’AMO e della PDO. Ovvero rientrano a pieno titolo nella variabilità climatica naturale del nostro Pianeta.
  • Dispiace anche veder liquidata questa ondata di gelo come un “singolo episodio freddo”, in presenza di tanti di questi episodi, attualmente distribuiti su molte aree del Globo, dagli USA alla Siberia. Se a Napoli si è stabilito un nuovo record del freddo, a Mosca si è reduci dal Natale ortodosso più freddo dal 1891, la Russia è immersa in un gelo eccezionale da molte settimane e degli Stati Uniti si è parlato nel già citato articolo.
  • Dispiace veder ridimensionato l’episodio freddo italiano alla stregua di un evento locale, provinciale. Anche perché le cose non stanno decisamente così. Per esempio, sarebbe interessante che Mercalli commentasse l’attuale copertura nevosa sull’emisfero Nord, attualmente a livelli record, avendo letteralmente polverizzato la deviazione standard (+1) sia per estensione che per volumi. Nevica di più perché fa più caldo? Davvero? E allora in Valpadana nevica di meno perché fa più freddo? Mistero. A giudicare dai grafici in Figs. 1 e 2 si fa la figura del provincialotto, a disquisire di Valpadana quando l’intero emisfero Nord è interessato da una anomalia clamorosa di segno decisamente opposto.
copertura nevosa sull’emisfero Nord
Fig. 2. Copertura nevosa sull’emisfero Nord. Fonte: www.ccin.ca

 

copertura nevosa sull’emisfero Nord
Fig. 3. Equivalente in acqua della copertura nevosa sull’emisfero Nord. Fonte: www.ccin.ca

 

  • Ma guardiamo altrove… Forse ci verrà in soccorso la Groenlandia, citata sempre come pistola fumante del clima che cambia e cambia male. E scopriamo che il bilancio di superficie ghiacciata sull’isola è a livelli record: letteralmente polverizzata la media di accumulo di neve e ghiaccio dal minimo annuale di Settembre (Fig.4).
Surface Mass Balance
Fig.4. Surface Mass Balance – Greenland. Fonte: www.dmi.dk
  • Andiamo a dare una occhiata alle temperature globali allora. Rubo un grafico dal solito articolo già citato (Fig.5). Pare di capire che il Nino di quest’anno è stato più o meno in linea con l’evento precedente del 1998-1999. E che, proprio come allora, dopo l’evento in questione le temperature sono letteralmente precipitate. Qual è l’anomalia attuale quindi? 0.24 gradi.

È questa l’entità del riscaldamento che sta uccidendo il Globo? 0.24 °C? È questo quarto-di-grado che ha alterato in modo irreversibile la nostra percezione del caldo e del freddo? E l’hockey stick? Dove è andata a finire? Dritta negli occhi dei divulgatori scientifici del mainstream forse. E lo hiatus? Come mai è ancora lì? Forse perché le secchiate di Karl non si applicano in libera atmosfera?

A chi obbietta che si tratta di dati satellitari ribatto che è proprio a questi che bisognerebbe guardare, visto che l’IPCC non ha potuto (ancora) alterarli, e visto che a mio modesto parere fanno giustizia del rumore di fondo dei dati terrestri alterati, questi sì, da isole di calore e interpolazioni più o meno fantasiose dei dati mancanti.

 

Anomalie termiche in bassa troposfera
Fig.5. Anomalie termiche in bassa troposfera. Fonte: www.drroyspencer.com

 

Conclusione

Allora? Come la mettiamo? Nevica di più in Groenlandia perché fa più caldo? Nevica e si battono i denti al sud Italia perché fa più caldo? Nevica meno in Valpadana perché fa più caldo? Nevica di più su tutto l’emisfero Nord perché fa più caldo? Fa più freddo perché fa più caldo?

Oppure fa più caldo e basta, che lo dicono Karl et al. con i loro giochi di prestigio a base di secchi di legno e secchi isolati, e tanto ci deve bastare? Forse l’errata percezione dei nostri alterati sensi fa tutt’uno con le percezioni altrettanto alterate degli strumenti che sfornano i grafici allegati in questo articolo? Gli facciamo fare un bel tagliando all’officina revisione-dati dell’IPCC? O forse qualcosa di grosso sfugge alla ricerca e alla narrativa del mainstream in fatto di global warming?

Abbiamo fatto cherry picking in questo articolo? Sì, l’abbiamo fatto. E abbiamo l’onestà di riconoscerlo. Non sono certo questi pochi grafici a chiudere il contenzioso sul ruolo dell’uomo nel cambiamento climatico. Ma se qui abbiamo fatto cherry picking, allora cosa ha fatto Mercalli nel suo articolo? Sinceramente non lo so. Forse c’era del picking, ma invece di ciliegie ho come l’impressione che si siano presi soprattutto granchi.

Eppure mi rimane una strana sensazione. Per buona parte, nella sua brevità, quello di Mercalli è un bel pezzo: didattico, didascalico, si intravede il piacere di fare divulgazione scientifica, di far arrivare al lettore digiuno di meteorologia e climatologia alcuni concetti di base, affascinanti in sè, come tutto quello che attiene al mondo fisico che ci circonda, e a cui l’uomo medio non dedica particolare attenzione.

È quel finale che stona, così posticcio, quasi un tributo da pagare per la pubblicazione. L’ennesimo stanchissimo disclaimer, l’ennesima foglia di fico a nascondere le tante, troppe vergogne che sottendono alla narrazione attuale del global warming e di un certo salvamondismo che fa acqua da tutte le parti: dal punto di vista scientifico, per la sempre più evidente manipolazione cui sono sottoposti i data set delle temperature mondiali, e dal punto di vista della percezione collettiva, per l’evidenza tangibile e quotidiana che l’arrostimento collettivo antropogenico è ben lontano dal realizzarsi nei termini in cui ce lo descrivono, da decenni.

Forse non è la percezione comune ad essere sbagliata. Forse è un certo approccio a determinate tematiche pseudo-ambientaliste, molto politiche e poco scientifiche, a mostrare la corda. Qualcuno è dalla parte sbagliata della storia e il tempo dirà se ad essere nel torto erano le percezioni di tanti comuni mortali, le obiezioni dei pochi battitori liberi o, piuttosto, i granitici convincimenti del pensiero allora dominante, e altrettanto intollerante.