Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 25 Febbraio 2021
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=54416

Allo scoppiare dell’epidemia di Covid, i soliti profeti che tutto sanno e tutto prevedono, avevano descritto con minuzia il futuro prossimo “made-in-Davos” pieno di tutte quelle cose fighe che piacciono a quelli che piacciono (forse perché trilionari): un futuro ovviamente resiliente, sostenibile, green ed inclusivo (ne abbiamo parlato).

In quel futuro non c’era ovviamente spazio per gli idrocarburi: liquidati come una reliquia medioevale, sporchi, brutti, cattivi e inutili perché tanto ora abbiamo il Dio Pannello e il Dio Pala che a tutto provvedono, e la Madre Terra ringrazia commossa. Idrocarburi da vendere quindi a prezzo stracciato, anzi gratis, anzi a prezzi negativi perché del petrolio non c’è più bisogno, nè tantomeno delle società petrolifere.

Al solito, i profeti in questione sono stati smentiti dai fatti, clamorosamente. Un po’ come accade da qualche decina d’anni con i modelli climatici, ma con la grande differenza che mentre il modello climatico può essere “ricalibrato” e i dati del passato possono essere “omogeneizzati” per trasformare un fallimento comico in un successo prestigioso, la stessa cosa non è possibile farla quando la previsione è nel breve termine.

Ed ecco quindi che ad un anno dal Covid, i prezzi del greggio e del gas sono ritornati magicamente al punto di partenza, ovvero ai livelli pre-Covid. Per una serie di eventi che i pur grandi profeti non sono stati in grado di prevedere:

  • Incredibilmente, la gente ha continuato a muoversi. Per evitare i mezzi pubblici ha usato la cara vecchia automobile, e quindi il consumo di distillati è rimasto su livelli decisamente superiori alle previsioni.
  • I profeti non hanno considerato che esiste tutt’ora un cartello di produttori di oil & gas, che ha deciso (come fa da mezzo secolo a questa parte), di tagliare la produzione per far risalire il prezzo. Legge domanda-offerta, non più di moda in tempi di Gosplan dirigisti in salsa verde.
  • La nuova amministrazione americana non ha tardato a manifestare la sua avversione all’industria petrolifera, con i primi chiari segnali (leggi Keystone) che preannunciano vita dura per i produttori di shale, di fatto prospettando un futuro calo della produzione di greggio americano (ancora Gosplan vs. Domanda-Offerta).
  • Ha fatto freddo. Fatto non solo incredibile e imprevedibile per i profeti di Gaia, ma anche ontologicamente falso perché, come vedremo più avanti, ha fatto freddo perché fa caldo.

In Estremo Oriente

Fatto sta, non solo i prezzi del greggio sono tornati a livelli pre-covid, ma quelli del gas naturale sono letteralmente esplosi. In Asia, in particolare, il prezzo del gas liquefatto trasportato via nave (LNG) ha stracciato livelli storici di prezzo sul mercato spot raggiungendo il valore record di 32.5 $/MBTU, ovvero 16 volte più alto dei livelli di un anno fa: sono valori che sui contratti correlati al petrolio corrispondono ad un prezzo del barile di greggio di circa 200$, una enormità.

La ragione di questa esplosione dei prezzi?  È presto detto: domanda-offerta, ancora una volta. Domanda cresciuta vertiginosamente in Asia a fronte di una offerta troppo bassa e di problemi logistici (mancanza di cargo). Ma come mai è cresciuta questa domanda?… Elementare Watson: troppo freddo in Cina, Giappone e Corea del Sud: i principali importatori di LNG al mondo.

Mentre in Texas…

Mentre in Asia si gelava, in Texas…si gelava altrettanto. Una ondata di freddo polare che ha portato al collasso la rete di distribuzione elettrica dello stato: un evento a cui negli ultimi anni si assiste con sempre maggiore frequenza, “grazie” al peso via via crescente delle energie rinnovabili, al loro contributo alla rete in termini di … intermittenza. E grazie ad una infrastruttura obsoleta che avrebbe dovuto essere rinnovata e adeguata prima di percorrere la via della salvazione indicata dal Dio Vento e dal Dio Sole.

La vera novità è che stavolta il black-out ha colpito d’inverno, mentre California e Australia ci avevano abituato ormai da anni a crolli della rete estivi a causa dell’accoppiata rinnovabili-condizionatori. Costringendo quindi il Rescue Team ad una difficoltosa rielaborazione della narrativa da un formato estivo ad uno invernale.

Fatto sta, (non) hanno fatto il giro del mondo le immagini delle pale eoliche congelate, per altro nello stato tradizionalmente più “petrolifero” degli USA, con contorno di situazioni grottesche come la corsa al capezzale delle turbine texane di team di salvataggio svedesi virtualmente armati di scaldiglie per le pale: una alternativa tecnologica al più convenzionale sistema di de-icing con elicottero e spray al glicole (simile a quello utilizzato per gli aeroplani).

Nel mirino delle polemiche sono quindi finite proprio le pale, responsabili di un crollo di generazione elettrica proprio nel momento di massima richiesta di potenza, ovvero all’apice dell’ondata di gelo. Apriti cielo: immediatamente è partita la controffensiva del Rescue Team a media unificati, tutti uniti al grido di “Salvate il soldato Pala di Ghiaccio!”. Che tra mille contraddizioni ha concluso che la colpa è degli idrocarburi, perché le condotte del gas non sono state progettate per temperature così basse, e questo ha impedito che la generazione a gas compensasse al calo delle pur valorose pale.

Un clamoroso autogoal

In realtà le cose non stanno proprio come le ha raccontate il Rescue Team perché, dati alla mano, la generazione a gas è intervenuta massicciamente a compensare il crollo di quella eolica, aumentando la propria quota di produzione del 400% prima di perdere parte di quella potenza extra, proprio a causa della mancata winterizzazione delle linee di trasporto. Se proprio una conclusione si vuole trovare, quindi, tocca ammettere che la generazione elettrica in Texas non si è dimostrata Resiliente, per dirla alla Blackrock. E questo perché sia le pale che le condotte del gas avrebbero dovuto essere progettate per temperature molto più basse di quelle del passato, magari con standard scandinavi o russi.

Avete capito bene: per evitare il ripetersi di questi eventi bisognerebbe progettare gli impianti nell’ottica di un clima che si raffredda, altro che global warming. Resosi conto del clamoroso autogoal mediatico, il Rescue Team è subito accorso a “spiegare meglio”: in Texas (e in Russia, e in Cina, e in Giappone, e in Corea, e in quasi tutto l’Emisfero Nord…) ha fatto troppo freddo… a causa del global warming. Spiegazione sigillata dal neo-rappresentate degli USA all’ONU che discettando eruditamente di vortici polari e jet stream ha fatto propria la diagnosi demenziale del Rescue Team: farà più freddo perché fa più caldo.

Nient’altro da vedere qui: non fate altre domande, circolate e andate a dormire. E se soffrite di insonnia, conterete le pale che (non) girano. Ma con il sorriso sulle labbra. Che faccia caldo o faccia freddo, gli spunti comici dei salvaclima promettono infatti di essere infiniti.