Autore: Guido Guidi
Data di pubblicazione: 17 Agosto 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=45531

 

Dalla newsletter quotidiana di Science Daily arriva la notizia della pubblicazione di un lavoro interessante, sebbene si possa arrivare ad apprezzarne i contenuti solo dopo essersi sorbiti un bel po’ della solita retorica del clima che cambia, titolo e abstract compresi. Un lavoro che suscita anche qualche perplessità…

Changing climate shifts timing of European floods

Già molte volte sulle nostre pagine abbiamo ricordato ad un certo pubblico con molto attivismo e poca memoria, che lo stato dell’arte delle attuali conoscenze non consente di stabilire se ci sia un nesso tra il trend positivo delle temperature globali e gli eventi atmosferici estremi, di cui certamente le alluvioni sono uno degli effetti più dirompenti. Né, ovviamente, hanno trovato sin qui adeguata verifica o conferma le proiezioni che questi eventi li vedrebbero aumentare sia per frequenza che per intensità, anzi.

Il problema è nei dati, che sono scarsi e poco affidabili e suggerirebbero prudenza, ma è anche nel livello di conoscenza dei meccanismi che mettono in comunicazione le diverse scale temporali a cui agisce il sistema, quella climatica e quella del tempo meteorologico. Sicché questo folto gruppo di ricercatori (oltre 30), ha pensato di guardare al problema da un’altra prospettiva, andando ad investigare non gli aspetti quantitativi – come e quanto – degli eventi alluvionali, quanto piuttosto “quando”.

Nell’ambito delle importanti differenze del clima europeo, che va comunque dal tipo glaciale al tipo mediterraneo, gli eventi alluvionali, se analizzati nel loro complesso, sono connessi a periodi stagionali diversi ed a cause diverse da zona a zona. In alcune aree gioca un ruolo determinante lo scioglimento delle nevi invernali, in altre l’insorgenza delle perturbazioni, in altre ancora l’umidità del suolo, tutti fattori questi che naturalmente sono soggetti a dinamiche che subiscono variazioni a tutte le scale temporali, anche quindi nel lungo periodo.

Accade così che mettendo in relazione le date di occorrenza degli eventi alluvionali e l’eventuale trend di anticipazione o ritardo con le serie relative a questi fattori, si possono ipotizzare delle connessioni con il trend climatico in senso più generale. Qui sotto la Fig. 1 del lavoro in questione, che mette in evidenza le zone dove le date medie di occorrenza degli eventi alluvionali hanno subito un ritardo o un’anticipazione.

 

Nonostante la discussione spieghi abbastanza chiaramente le deduzioni fatte in termini di attribuzione, la situazione appare a prima vista un po’ confusa e di difficile interpretazione, specie riducendo la scala spaziale. In Italia, ad esempio, fissate le stagioni in cui arrivano la maggior parte delle alluvioni, ci sarebbe un trend di anticipazione della data media di occorrenza per il nord-ovest, per le isole maggiori e per l’alto e medio Tirreno, mentre ci sarebbe un posticipo per il nord-est e per il meridione peninsulare. Una differenza di comportamento non banale. Ed è però qui che l’articolo si fa interessante, sebbene opinabile, perché nella loro analisi gli autori hanno focalizzato l’attenzione su 6 hot spot in cui i trend temporali (positivi o negativi) sono più evidenti, ed uno di questi è l’alto Adriatico. Per gli autori la ragione di questo shift in avanti dell’occorrenza delle alluvioni tra i Balcani e l’est della Penisola potrebbe essere in uno spostamento verso sud della stormtrack, cioè della fascia latitudinale dove scorrono le perturbazioni, per effetto degli eventi a mesoscala che queste innescano. Quel che mi sfugge, tuttavia, è come possa questo aver causato anche un’anticipazione delle alluvioni sul versante ovest del nostro Paese, che è notoriamente molto più esposto agli eventi a mesoscala originati dai flussi atlantici di cui parlano proprio gli autori. In sostanza si parla di NAO (North Atlantic Oscillation) e di distribuzione della massa atmosferica, ma a prima vista i conti non tornano, almeno per l’Italia.

Ma, c’è di più. Concentrandosi su di un altro hot spot, La Norvegia, gli autori individuano come fattore di origine del trend rilevato proprio l’evoluzione della NAO, che avrebbe subito una modifica a partire dagli anni ’80, attribuendone però l’origine piuttosto vagamente al riscaldamento dell’Artico e trascurando di ricordare che proprio in quegli anni, per effetto dei cambiamenti di fase delle oscillazioni multidecadali sia dell’Atlantico che del Pacifico, si ebbe quello che viene definito lo shift climatico, ossia un notevole cambiamento nei regimi circolatori europei. In sostanza, se un cambiamento c’è stato, l’origine è ben più complessa e articolata di quanto non spieghi un non meglio specificato cambiamento climatico da riscaldamento globale…

Infine, dal momento che dalla rappresentazione grafica che gli autori fanno dei trend se ne percepiscono solo l’ampiezza e la componente lineare, partendo dai dati che dovrebbero aver messo a disposizione sarebbe interessante investigare sulla presenza di eventuali discontinuità nelle serie, magari proprio con riferimento agli anni ’80. So che ci sono dei lettori di CM che potrebbero raccogliere l’invito… aspettiamo 😉