Posted By Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 22 Settembre 2017
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=45882
Qualche mese fa avevamo dedicato un articolo alla resurrezione dell’agricoltura russa seguita alle sanzioni imposte dall’Europa a seguito della rivoluzione ucraina del Febbraio 2014. Una equazione, quella tra l’imposizione delle sanzioni e il rilancio della produzione agricola russa, che aveva trovato spazio anche su testate non propriamente complottiste o russofile, come il Financial Times. A distanza di tempo la stessa notizia viene trattata, finalmente, anche dalla carta stampata nostrana, ma a modo suo naturalmente. È La Stampa ad informarci, con un mirabile articolo, che l’incremento della produzione agricola russa è dovuto, sorpresa delle sorprese al… (rullo di tamburi) Global Warming!!!
Ma andiamo a guardare nel merito, che l’articolo è particolarmente ricco di spunti…
Questione di Sillogismi
La Stampa, dopo essersi distinta recentemente per una doppietta imbarazzante di articoli in cui si sostiene (in soldoni) che il presunto disastro climatico dell’Artico fa felice la Russia perché può mandare le “petroliere” a insozzare il Polo Nord e per giunta senza rompighiaccio, adesso ci informa che il global warming fa felice la Russia perché fa aumentare magicamente la produzione di cereali. In soldoni, questo global warming fa proprio schifo, è la causa di ogni male e ad approfittarsene, in modo vile e subdolo, pare di capire sia solo la Russia, per altro artefice dello stesso climate change perché produce tanto gas naturale.
Sicuramente mi sbaglio, probabilmente perché ho letto troppo Orwell e ho guardato troppi B-movie come Essi Vivono di Carpenter, ma a me questo modo di presentare certe informazioni fa venire in mente una forma sottile quanto elementare di influenza esercitata sul lettore: l’uso di un sillogismo implicito che con riferimento ad articoli come questo si può riassumere volgarmente in questi termini:
- Il Global Warming fa schifo.
- La Russia beneficia del Global Warming (solo lei).
- La Russia fa schifo.
Di certo ognuno deve essere libero di proporre (o di intravedere) i sillogismi che vuole. Quello che però mi interessa sottolineare in questa sede è il modo in cui la tematica del Global Warming viene ficcata in qualsiasi questione in modo talvolta assolutamente pretestuoso e con esiti francamente grotteschi.
Cosa c’entra il Global Warming?
L’articolo in questione sgombra il campo da fraintendimenti fin nel titolo, come è giusto che sia quando un fatto è evidente in tutta la sua essenza: “Il riscaldamento globale trasforma la Russia in superpotenza agricola” – Sottotitolo: “Clima più mite, le terre del Nord diventano campi di grano”.
L’articolo, nello snocciolare dati sui recentissimi record di produzione cerealicola russa, si fa una domanda e si da una risposta, alla Marzullo: “Ma cosa ha provocato questo boom delle esportazioni di frumento russo? Innanzitutto il riscaldamento globale”. Affermazione che lascia francamente increduli per la sua enormità, tanto più che per corroborarla si fa riferimento ad un non meglio precisato aumento di temperatura di quasi 2 gradi delle aree coltivate in questione rispetto al 1980 e addirittura a 3.9 gradi di aumento previsti per il 2050 (tutti a nuotare nel delta dell’Ob). Si danno i numeri, come al solito, sulla base di quegli stessi modelli climatici che non ne hanno azzeccata una nemmeno per sbaglio, al netto delle famigerate “omogeneizzazioni” a babbo morto.
Ma anche volendo far finta di credere a quei numeri, facciamo un esercizio banale che qualsiasi giornalista dovrebbe fare, a fronte di dichiarazioni così perentorie: prendiamo uno straccio di grafico e proviamo a commentarlo. In Fig. 1 (Fonte) si mostra la produzione totale russa di cereali e quella di grano. Particolarmente significativa la produzione totale, che mostra un andamento sostanzialmente costante negli ultimi 25 anni. Ché l’informazione più interessante che ci dà questo grafico è proprio che la produzione cerealicola odierna si è appena riportata agli stessi livelli del picco di 25 anni fa. Come questo si concili con la narrativa che “la produzione aumenta per colpa del Global Warming” lo sa solo il Padreterno. E La Stampa, naturalmente.
Eppure esistono spiegazioni assolutamente ovvie al grafico in Fig.1. Tra il 1991 e il 1992 Eltsin prende il potere sulle rovine fumanti del fu impero sovietico, e lo trascina in una crisi catastrofica che trova la sua conclusione nel default finanziario del 1998 e nel defenestramento dello stesso presidente. Non a caso il 1998 è proprio l’anno in cui si raggiunge la produzione minima di cereali: quei 50 milioni scarsi di tonnellate che rappresentano meno della metà della produzione di 8 anni prima. E di quella di oggi.
Un trend appena più significativo si può invece riscontrare con riferimento alla sola produzione di grano, e con un aumento che nella sua quasi totalità si è concentrato negli ultimi 5 anni (Fig.2). Anni di global warming feroce? Ipotesi evidentemente ridicola, anche perché specularmente bisognerebbe concludere che tra il 2008 e il 2013 si è avuta una mini-era glaciale. Forse varrebbe la pena invece puntare l’attenzione sulle recenti politiche agricole di rinnovamento tecnologico e sull’accesso facilitato alla terra per la piccola proprietà privata, ma si rischierebbe di far passare il messaggio pericolosissimo ed eversivo che ci sia la mano del governo russo dietro a questa “rinascita”, non sia mai. Così come potrebbe avere un senso citare l’effetto-volano seguito all’introduzione delle sanzioni UE nel 2014, ma anche questo è assolutamente disfunzionale alla narrativa.
Affermazioni opinabili
L’articolo in questione, tra l’altro, contiene una sequenza di affermazioni alcune delle quali assolutamente condivisibili: che il crollo del rublo, per esempio, abbia favorito le esportazioni russe è del tutto ovvio, specularmente al fatto che la forza dell’euro sta contribuendo a distruggere la manifattura italiana, per esempio. Molto meno ovvia, invece, la tesi che l’inflazione sia stata causata proprio dalle sanzioni europee: una tesi a dir poco spericolata visto che l’aumento di produzione interna e il ricorso a prodotti meno pregiati ha un effetto deflattivo, e non inflattivo. E soprattutto in considerazione del fatto che il crollo di una valuta è causa diretta e immediata di inflazione, ben più del divieto di importare Camembert.
Altra affermazione incomprensibile è che il Climate Change stia favorendo la Russia sui produttori americani e australiani che “soffrono sempre di più la mancanza d’acqua”. In realtà la mancanza d’acqua è uno dei problemi maggiori proprio per l’agricoltura russa, e non mi pare che gli scenari prospettati dai modelli climatici ultra-fallimentari a cui si fa riferimento nell’articolo parlino di grande abbondanza di precipitazioni nei prossimi decenni sulle steppe asiatiche, anzi.
Benedette fonti
È interessante notare come l’articolo de La Stampa si ispiri (eufemismo) ad un altro pezzo uscito pochi giorni prima su Bloomberg (leggere per credere). Un articolo dai toni violentemente russofobi, al punto da meritare un disclaimer con cui lo stesso Bloomberg, colonna portante dell’informazione liberal mondiale, prende le distanze dai contenuti del pezzo in questione, a nome della redazione e della proprietà stessa. La cosa non sorprenderebbe, se si facesse il grande sforzo di leggere il nome dell’autore, in calce allo stesso articolo: quel Leonid Bershidsky che ama caratterizzarsi come militante anti-putiniano, esule per sua scelta in polemica con il governo russo e attivissimo nel settore dell’informazione… in Ucraina. Non propriamente il profilo del giornalista obbiettivo quando si parla di Russia, diciamo.
Una cosa sia ben chiara: che un giornale abbia una linea editoriale filorussa o russofoba piuttosto che francofila è perfettamente legittimo, anzi sacrosanto laddove esiste la libertà di informazione e di opinione. Il giudizio finale, del resto, spetta solo al lettore, e se la linea editoriale di un giornale è gradita ai suoi lettori i risultati verranno di conseguenza, come è nelle regole del mercato. È però altrettanto lecito chiedersi che valore giornalistico abbia un pezzo che pesca a piene mani da un articolo evidentemente “op-ed”, a firma di un militante politico dichiarato, che a sua volta spiattella numeri e sentenze non supportati da nulla, e dal quale la testata stessa che lo ospita prende a sua volta elegantemente le distanze.
Una vera ossessione
Quello che comunque fa veramente specie è l’ossessione che certa stampa mainstream nutre per il Global Warming. Viene da chiedersi da dove venga questa esigenza improrogabile e invincibile di associare qualsiasi evento più o meno infausto o sgradito alla narrativa del Climate Change. Il risultato di questa ossessione è in larga parte controproducente, nel momento in cui basta mettere quattro numeri in fila o quattro pensieri in ordine per ricondurlo al suo rango di pura e semplice fake news, e anche di basso livello.
Anche perché chi di sillogismo ferisce, di sillogismo rischia di perire. Per esempio, a puro titolo accademico e senza riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti, avrebbe un senso guardarsi da sillogismi di ritorno come questo:
- Il Global Warming è una gigantesca bufala nel modo in cui viene raccontato.
- Il giornale XYZ parla di Global Warming dalla mattina alla sera, quasi sempre a sproposito.
- Il giornale XYZ è un bufalaro.
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Ah, dimenticavo, un disclaimer ce l’avrei anche io. Non faccio che sostenere di non leggere stampa mainstream e poi mi ritrovo a commentare continuamente perle come questa. A mia discolpa va detto che questo articolo l’ho raccattato attraverso Sputnik. Come a dire che per quanto uno provi a prendere le distanze da certa informazione, è comunque al mainstream che tocca tornare. Non sarà per caso, che si chiama Mainstream…