Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 06 Marzo 2019
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=50367
Per la serie “continuiamo così, facciamoci del male”, ci ritroviamo oggi a commentare un articolo apparso nella rubrica “Ambiente e Veleni” del Fatto Quotidiano. Titolo come al solito sobrio e asettico, come si conviene quando si parla di scienza alta: “Surriscaldamento globale, il pianeta è a rischio. Sta per scoppiare una bomba climatica?” Notiamo innanzitutto una escalation semantica, fin dal titolo: non si parla più infatti di “riscaldamento globale”, che evidentemente non basta: siamo ora al “surriscaldamento”. Rispetto a cosa, non è dato capire.
L’articolo, comunque, segna un deciso salto di qualità rispetto alla media di quanto propongono i quotidiani in fatto di clima-catastrofismo. In questo caso, infatti, siamo addirittura in presenza di citazioni di paper scientifici, nello specifico uno studio a firma di Whiteman, Hope e Wadhams (quest’ultimo vecchia conoscenza di CM). Studio pubblicato 6 anni fa (“recentemente”, per l’autore) che ha avuto ampia risonanza negli scorsi anni sui media, e pochissima fortuna in ambito scientifico.
Nello studio in questione si fa riferimento alla famigerata teoria vecchia di quasi un decennio (1,2) secondo cui lo scioglimento catastrofico dei ghiacci artici comporterebbe il rilascio di quantità enormi di metano che, da bravo gas serra, andrebbe ad incrementare drammaticamente il rateo di riscaldamento terrestre. Uno dei millemila esempi di feedback positivi proposti negli ultimi lustri, senza alcun riscontro verificabile al di là delle solite proiezioni modellistiche a 100 anni o giù di lì.
L’articolo
Il pezzo nel suo complesso appare talmente disconnesso da rendere ardua l’impresa di commentarlo. Ma ci proviamo ugualmente.
Si comincia con un clamoroso autogoal, con l’autore che fa riferimento al “bel po’ di soldi” che le società petrolifere si accingono a guadagnare bucherellando l’Artico per produrre orrendo petrolio. A rafforzare il concetto viene citato un articolo (datato luglio 2015) in cui si parla delle intenzioni della Shell di sfruttare risorse petrolifere nell’offshore dell’Alaska. Peccato che solo due mesi dopo, nel Settembre 2015, la Shell abbia annunciato il ritiro totale dall’impresa in questione, con perdita associata superiore ai 7 miliardi di dollari: bel po’ di soldi, in effetti, ma con il segno meno davanti. Logica conseguenza, il ritiro della Shell (e di tanti altri players), del crollo del prezzo del greggio che ha reso insostenibile economicamente lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in aree di frontiera, Artico in primis.
Segue il solito tributo all’hockey stick che prende in questo caso la forma di un aumento catastrofico di temperatura di 5-6 gradi a causa dei famigerati idrati di metano. Quindi l’autore scioglie definitivamente le riserve per sostenere che questo aumento di temperatura è senza dubbio possibile perché 50 milioni di anni fa la Terra è stata fino a 12 gradi più calda di oggi. E anche se il signor Rossi potrà contestare che non c’erano i SUV a rilasciare CO2 a quel tempo, comunque questo è la prova che il clima terrestre “è fragile … basta una perturbazione anche piccola per causare grossi cambiamenti” E quale perturbazione più grande della “inveterata abitudine (dell’uomo) di bruciare combustibili fossili”?
Qualche riflessione
Al di là del concetto incomprensibile per cui la Terra è “fragile” solo quando si tratta di riscaldarsi (pardon, surriscaldarsi), resta il fatto che la “perturbazione molto forte” causata dall’inveterata ambizione dell’uomo a migliorare le proprie condizioni di vita usando fonti energetiche economiche si è associata ad un aumento di temperatura su scala globale di 0.8 miseri gradi in 150 anni (ovvero dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi). Tanto per rimarcare la differenza siderale tra le proiezioni catastrofistiche dei modelli e la realtà dei fatti.
Quanto alla citata teoria del rilascio catastrofico di metano, vale la pena ricordare che questa è stata clamorosamente rigettata da paper pubblicati diversi anni dopo, di cui si è già parlato sulle pagine di CM. Non solo: le profezie di Wadhams et al. sul rilascio catastrofico di metano sono state liquidate come irrealistiche persino da personaggi al di sopra di ogni sospetto “negazionista” come Gavin Schmidt.
Quanto al co-autore dello studio sul metano-killer e padre putativo della teoria alla base dello stesso, ovvero Wadhams, è anche il caso di sottolineare la considerazione controversa di cui gode nell’ambito della comunità scientifica, testimoniata comicamente dai tweet di alcuni colleghi che in occasione di una sua presentazione alla Royal Society si espressero in questi termini:
- Usa foto e aneddoti come prove scientifiche;
- Usa dati scadenti da sottomarini e traccia grafici a casaccio;
- Usa proiezioni ridicole senza fondamento fisico;
- Ammette che dietro le sue proiezioni non c’è uno straccio di fisica;
- Peccato non abbia voluto scommettere sulla scomparsa del ghiaccio nel 2015!
- Puro intrattenimento, torniamo alla scienza;
- Non sono 4 anni che prevede la scomparsa dei ghiacci?
Conclusione
Una teoria vecchia di un decennio e scientificamente azzoppata da anni, presentata come “recente”.
Uno scenario di aumento di temperatura ultra-catastrofistico e totalmente outlier rispetto all’envelope (già pluri-fallimentare) di previsioni modellistiche presentato come “possibile”.
Un’invettiva contro le compagnie petrolifere che perforano l’Artico basata su una notizia vecchia e smentita già da anni.
Il tutto all’interno di una rubrica che si intitola “Ambiente e Veleni”
Voglio scendere.
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Cara, surriscaldi la pasta di ieri?
No caro, sto leggendo un romanzo che surriscalda il cuore. E comunque non ho voglia di minestre surriscaldate.
Hai ragione, mangiamo fuori allora.
OK, vai a surriscaldare il motore della macchina che in due minuti arrivo.
Vado, non prendo il cappotto che si è surriscaldata l’aria rispetto a ieri.
Nemmeno io allora. Benedetto surriscaldamento globale!
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