Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 8 Maggio 2018
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=48291
Un recente sondaggio ha rivelato che il 34% dei giovani americani tra 18 e 24 anni non è convinto che la Terra sia rotonda. Il 9%, in particolare, dichiara di aver sempre pensato che il nostro pianeta fosse piatto mentre un altro 9%, pur sapendo che la Terra è sferica, sospetta tuttavia che le cose non stiano davvero così. A questi si somma un 16% che più socraticamente ammette di non sapere quale sia la forma del Pianeta su cui vivono.
Ad aumentare lo sconforto c’è la constatazione che il terrapiattismo ha più seguaci tra i giovani in età immediatamente post-scolare, piuttosto che tra quelli che la scuola non la frequentano da molti anni: la percentuale dei terrapiattisti tra i trentenni scende infatti al 24%, fino a raggiungere un misero 6% tra gli over-55.
Questione di fiducia
La buona notizia, per i padroni del vapore, è che se in tanti credono nel terrapiattismo allora altrettanti possono legittimamente credere che la CO2 sia un veleno, che le ciminiere e le flatulenze bovine siano l’unica forzante climatica del pianeta Terra, o che la guerra in Siria sia scoppiata perché è piovuto poco.
La cattiva notizia, per gli stessi padroni, è che altrettanto liberamente la gente può credere in tesi diametralmente opposte. Per esempio che la CO2 sia il mattone elementare della vita sulla Terra, che le forzanti climatiche siano innumerevoli o che la Terra se la passi ottimamente dal punto di vista climatico. Oppure, perché no, che si vada verso una glaciazione dalle proporzioni catastrofiche, giusto per rimanere in ambito strettamente climatico.
Detta in altri termini, la gente oggi tende a credere a tutto e al contrario di tutto per il semplice fatto che si è rotto irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra i mezzi di informazione “ufficiali” e i fruitori degli stessi. Rottura causata dal diluvio di fake news promosse negli anni proprio dalla stampa mainstream, unitamente alla serie infinita di previsioni mai avveratesi nei termini in cui erano state annunciate.
Nessuna traccia, oggi, delle armi chimiche di Saddam con cui i media di tutto il mondo hanno giustificato la guerra in Iraq. E nessuna traccia, oggi, di quell’olocausto climatico annunciato da almeno 20 anni dagli stessi media. Solo per fare un paio di esempi.
La soluzione
Nel silenzio compiacente dei media (e con le solite benedette eccezioni), gli spiriti più illuminati di Bruxelles stanno lavorando per salvare dalla perdizione i loro cittadini così evidentemente disorientati. Ché ne va della nostra sicurezza.
È infatti il Commissario UE alla Sicurezza in persona, a presentare l’imminente stretta sull’informazione che i Salvamondo di Bruxelles stanno cucinando per noi. Con una serie di affermazioni del tipo:
- La Russia disinforma i cittadini europei per minare la stabilità e la coesione della nostra società.
- Pertanto si identificheranno i “bots che diffondono disinformazione” e si chiuderanno i loro profili sui social network (fatevi due risate su chi si celava veramente dietro i “bots russi” denunciati dall’autorevolissimo Guardian).
- Grazie a Facebook e Twitter si selezionerà l’informazione “di qualità” per combattere le fake news (siamo al lupo che si fa guardiano dell’ovile).
- Una rete di “fact-checkers indipendenti” qualificati con marchio UE vigilerà sulla buona informazione (!)
Ma la frase più bella è questa: L’esecutivo comunitario invita quindi gli stati membri a “prendere in considerazione schemi di aiuti” pubblici “orizzontali per rispondere ai fallimenti di mercato che danneggiano la sostenibilità del giornalismo di qualità”. Che tradotto in altri termini può suonare come: “gli Stati UE sono invitati a finanziare con soldi pubblici i media che non si sostengono commercialmente ma che raccontano la storia giusta”.
Ovvero, mentre si chiude il becco a chi racconta storie che “minano la stabilità della nostra società“, dall’altra parte si intende sostenere con i soldi dei contribuenti i cantastorie che piacciono agli euro-burocrati: storie che non vendono più, perché nessuno è più disposto a comprarle, ovvero a bersele. In fondo, si tratta semplicemente dell’ultimo passo verso l’agognata trasformazione dei media in organi di propaganda al servizio di un partito unico, globalista e sovranazionale. Una Euro-Pravda declinata in tutte le lingue dell’Unione.
Non hanno studiato.
…O non hanno ancora capito. Al di là dei contenuti francamente grotteschi, propagandistici e illiberali, quello che stupisce in certe proposte è l’evidente inutilità delle iniziative in questione. Eppure la storia dovrebbe aver insegnato qualcosa.
Non risulta, per esempio, che l’Unione Sovietica sia implosa per una eccessiva libertà di informazione o per un scarso controllo della propaganda da parte delle autorità. E allo stesso tempo, vi immaginereste il PCUS nell’atto di diffondere una lista di giornali da non leggere perché “fake news”? Quegli stessi giornali, qualora accessibili, sarebbero diventati immediatamente best-sellers in tutte le province dell’Impero. Ché un censore screditato diventa automaticamente il miglior promoter possibile.
E allora viva la libertà di informazione, e pazienza se il prezzo da pagare prende le forme del terrapiattismo o di qualche altro strano ircocervo del web. L’immunità alle vere fake news è nella consapevolezza del lettore, nella sua formazione culturale, nella sua curiosità, nel suo senso critico. E nell’autorevolezza e indipendenza delle fonti. Che si guadagnano sul campo, nel tempo, con l’onere della prova. E non con secchiate di contributi pubblici e il sabotaggio sistematico della concorrenza.