Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 21 Maggio 2021
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=55012
Proprio mentre si profila la tanto attesa uscita dall’emergenza Covid, in modo del tutto … atteso la narrativa si sposta adesso sul Global Warming, e sull’urgenza di accelerare la “Transizione Energetica” per “decarbonizzare” il Pianeta e salvare il Mondo.
Una presunta emergenza, quella della “decarbonizzazione”, che oltre a tradire lessicalmente una vocazione suicida (la vita nelle forme a noi note si basa proprio sui composti del carbonio), fa anche a pugni con l’evidenza numerica di un Pianeta che nell’ultimo anno, dati satellitari alla mano, si è raffreddato di 0,6 gradi semplicemente a seguito dell’azione della Nina.
Una diminuzione delle temperature in pochi mesi che è del tutto confrontabile con l’aumento complessivo delle temperature planetarie registrato negli ultimi 170 anni (corrispondente a circa 0,9 gradi centigradi), a dimostrazione di come certi numeri diventino rilevanti (o addirittura catastrofici) solo secondo necessità di narrativa.
Ma si sa, i profeti del Gran Reset si fanno bastare le proiezioni dei modelli climatici (sempre sbagliate da decenni a questa parte) e non hanno certo bisogno del supporto dei dati reali sul campo per portare avanti le loro agende.
A proposito di agende…
Grande risalto, per esempio, è stato dato dai giornaloni all’ultimo report della IEA, la “International Energy Agency”: un report in cui si auspica la cessazione immediata di qualsiasi investimento nello sviluppo di idrocarburi per raggiungere i mitici “obbiettivi di Parigi” e salvare così il Pianeta.
Si tratta di un report dai toni semplicemente deliranti, smascherato nella sua totale insensatezza da esperti del settore (qui un esempio) e che, se tradotto in pratica, ci regalerebbe un mondo senza prodotti chimici e con costi dell’energia insostenibili per i paesi già sviluppati, e condannerebbe alla miseria più assoluta le economie emergenti che quegli idrocarburi li producono, o vorrebbero usarli per raggiungere standard di benessere occidentali.
Ma cos’è la IEA?
A dispetto del nome roboante della associazione in questione, che parrebbe suggerire una adesione pressoché totale da parte di tutti i paesi del Mondo, la IEA in realtà è un club decisamente ristretto che conta solamente una trentina di membri, quasi tutti europei, e tutti appartenenti al novero delle economie industrializzate.
Fondata nel 1973 con lo scopo di reagire alla crisi petrolifera per proteggere gli interessi dei paesi industrializzati in ambito energetico, la IEA fu costituita all’interno della cornice dell’OCSE, l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica.
E in modo del tutto analogo all’OCSE, anche la IEA ha subìto nel tempo una “mutazione genetica” che l’ha portata su posizioni militanti, sempre più ostili agli ideali del libero mercato e sempre più incentrate su vocazioni “miglioristiche” che in ultima analisi si traducono in proposte economiche che allargano a dismisura i poteri e le competenze dei governi a danno della libertà di impresa (nel nostro piccolo, sono anni che l’OCSE ci martella chiedendo l’innalzamento delle imposizioni fiscali in Italia, specie in ambito patrimoniale).
Fatto sta, siamo di fronte ad un report redatto dai paesi più ricchi del mondo in cui si vagheggia una decrescita di proporzioni epocali sulla base di una “emergenza climatica” che nei fatti non esiste. Una decrescita che porterebbe alla distruzione sostanziale della ricchezza dei paesi occidentali e che precipiterebbe nella miseria e nel caos quelli in via di sviluppo (del tutto casualmente non rappresentati presso la stessa IEA).
E la Cina?
La Cina non fa (ancora) parte della IEA, intuitivamente per il semplice fatto che le vocazioni suicide in ambito energetico dei paesi occidentali non sono in nessun modo condivise dalla Repubblica Popolare. Tuttavia, di recente i cinesi hanno richiesto l’adesione al prestigioso Club in questione. Certo non con l’intento di decarbonizzare (i consumi di carbone cinesi sono in continuo aumento) quanto, si immagina, con quello di facilitare la decarbonizzazione altrui, traendone un vantaggio personale.
Ci aiuta a far luce sulla questione un bell’articolo comparso sul Sole24Ore in cui Enrico Mariutti (ricercatore e analista non certo ascrivibile a posizioni cospirazioniste in materia), esplora il tema della riconversione elettrica della mobilità automobilistica. Lo fa utilizzando proprio i dati della IEA in tema di estrazioni dei minerali necessari a sostenere il boom dell’eolico, del solare, e delle batterie.
Le conclusioni sono davvero interessanti: la sostituzione brutale dei motori a combustione interna con quelli elettrici ci regalerebbe un mondo in cui l’industria petrolifera viene di fatto sostituita con quella estrattiva dei metalli necessari alla “Transizione”. Generando problemi ambientali nuovi e potenzialmente devastanti. Ma soprattutto, mandando sul lastrico le economie dei paesi in via di sviluppo che gli idrocarburi oggi li producono, con effetti politici tutti da definire. E avvantaggiando specularmente un unico paese. Indovinate quale?
Ma la Cina naturalmente, che nell’estrazione dei metalli in questione è leader indiscusso, e che trattandosi di un regime può permettersi il lusso di dedicarsi ad industrie minerarie estremamente dannose per l’ambiente e le comunità (come quella delle terre rare, una vera schifezza) senza dover rendere conto a ONG, gruppi di pressione vari ed eventuali o… agli elettori.
Distopia assoluta
Tornando al tema di apertura possiamo quindi concludere che il report della IEA non solo chiede a gran voce il suicidio dell’industria manifatturiera degli stati appartenenti (industria che ha disperato bisogno di energia a basso costo), non solo promette di gettare nel caos e nella miseria decine di paesi in via di sviluppo. Fa ancora di più: promette di arricchire spaventosamente la Cina e di darle un potere pressoché assoluto in termini di controllo delle materie prime che diventeranno indispensabili, a “transizione” avvenuta.
A testimonianza dell’impianto ideologico totalmente utopistico e distopico della IEA, proprio negli stessi giorni in cui veniva distribuito il report incriminato, il CEO di Stellantis Carlo Tavarez denunciava come “imposte brutalmente dall’alto” le politiche in materia di elettrificazione delle auto, con una conclusione che già su queste pagine avevamo descritto esattamente negli stessi termini: “se non manteniamo l’accessibilità economica, avremo un impatto sulla libertà di mobilità”. Traduzione: ci stanno costringendo a produrre solo auto elettriche che nessuno (o quasi) si potrà permettere.
Brave new World
Tutti a piedi quindi, possibilmente senza lavoro e sussidiati dal “SuperStato”. Meglio ancora, tutti chiusi in casa, a gustare il paté di cavallette consegnato da Amazon mentre scriviamo fesserie sui social network sperando che i capricci del meteo non ci regalino un verdissimo black-out. Immersi in un mondo più sporco, più caotico, più violento, più povero e più ingiusto.
Con una unica super-potenza che beneficerà di tutti i vantaggi della “Transizione Energetica”, e che si sta mettendo letteralmente in tasca il Pianeta mentre i suoi rivali strategici e commerciali sgomitano per avere il privilegio di lanciarsi per primi nel burrone del “Green”, senza paracadute.
Chissà chi ispira realmente questi progetti di “Transizione”. Chissà con quali veri obbiettivi lo fa, e servendosi di quali strumenti. E chissà quali interessi stanno davvero tutelando, quella miriade di associazioni, gruppi editoriali ed entità che predicano (talvolta letteralmente) il nuovo vangelo della Transizione che toglie tutti i peccati del Mondo.
Ah, saperlo!