Di Vincenzo Zamboni – Fisico – 28 maggio 2019

Tutti parlano di cambiamenti climatici. E sottovalutano il sole
Il riscaldamento globale non è solo colpa dell’uomo. Il Professor Scafetta ci spiega perché vale la pena osservare l’attività solare.

Di Umberto Minopoli, Il Foglio, 26 Maggio 2019

Nicola Scafetta, fisico dell’atmosfera, è uno degli scienziati di cui una certa vulgata sui cambiamenti climatici postula la non esistenza. Autore di oltre 200 pubblicazioni e due libri è uno studioso, tra Stati Uniti e Italia (è professore associato a Napoli) di sistemi complessi e fisica statistica applicata alla climatologia. A differenza di quel che crede chi afferma “l’unanimità della scienza” sui modelli e le ipotesi previsionali dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu, Scafetta è tra gli studiosi (migliaia, per la verità) che, in università, centri di ricerca, libri e riviste scientifiche, discutono i modelli IPCC. Spesso opponendo ipotesi, calcoli, conclusioni e modelli che li modificano e correggono. Ad esempio: i modelli IPCC suppongono, nei loro calcoli previsionali, determinate temperature medie (dell’ultimo secolo in particolare) su cui fondano ipotesi predittive sul futuro. Il Professor Scafetta, nel 2013, mettendo a confronto i dati IPCC con quelli delle rilevazioni satellitari e degli studi sulla ciclicità climatica, è giunto a modelli che correggono, significativamente, le previsioni IPCC. La scienza, tantomeno quella sul clima, non procede per (impossibili) assunzioni “unanimi”. Specie in chiave di futuro e di previsioni.

C’è un dato accertato, afferma il professore, perché frutto di rilevazioni scientifiche strumentali: la Terra si è riscaldata di circa 0,9 °C dal periodo preindustriale, a partire cioè dal 1850. Su questo non ci piove. Alcuni modelli, noti come “General Circulation Models”, adottati dall’IPCC, attribuiscono il riscaldamento quasi esclusivamente all’emissione dei gas serra atmosferici. Su tali modelli è stata formulata la teoria, cosiddetta, del “riscaldamento globale antropico”, Anthropogenic Global Warming Teory (AGWT), la quale imputa a emissioni in eccesso di CO2, dovute all’uso crescente di combustibili fossili, la responsabilità del riscaldamento. È veramente corretta questa attribuzione?
Fateci caso: la forzante CO2 mal si accorda con le serie climatiche del passato. Parla il Professor Scafetta, fisico dell’atmosfera

Il Professor Scafetta ci dice che il problema fisico di questo contributo antropico è, in realtà, ancora da determinare nella sua effettiva e reale consistenza. La disciplina specifica degli studi del professore riguarda, ad esempio, la relazione tra l’attività del Sole e la variabilità climatica. C’è una stranezza che chiediamo a Scafetta di chiarirci: come mai il Sole, il motore del clima, viene nei modelli AGWT trascurato come possibile forzante del riscaldamento? In realtà, precisa il professore, i modelli climatici includono l’attività solare come uno dei forzanti del sistema climatico ma la minimizzano. Essi, infatti, considerano solo le variazioni della luminosità del Sole (la quantità di energia emessa dall’astro ogni secondo). Invece, il sole può influenzare il clima, e in modo persino più significativo, attraverso altri forzanti. Primo fra tutti: la forza dei suoi campi magnetici (quelli comunemente noti come cicli delle macchie solari). Essi modulano il flusso di raggi cosmici (provenienti anche dallo spazio profondo) che penetrano l’atmosfera.
E insieme ad altri possibili forzanti corpuscolari, influiscono, direttamente, sulla copertura nuvolosa della Terra inducendo cambi climatici. Si dà il caso che nessuno sappia, ancora, perfettamente come e quanto abbia inciso questo fattore magnetico. Non si sanno ancora, ad esempio, modellare sufficientemente le nubi (lo faceva notare, sul Foglio, anche il Professor Franco Prodi). E inoltre: poco si sa su come sia esattamente evoluta, negli ultimi secoli, la stessa luminosità solare. Eppure, i modelli climatici hanno scelto di minimizzarne, sottostimare l’incidenza nei calcoli. Discutibile. Soprattutto perché, insiste Scafetta, tante serie climatiche del passato suggeriscono il forte contributo solare ai cambiamenti climatici.