Il seguente scenario è stato descritto da una spedizione scientifica del 2008 finanziata dalla NASA e dalla US National Science Foundation, che per la prima volta ha inviato sottomarini-robot con telecamere per esplorare l’oceano sotto i ghiacci eterni dell’Artico: Vulcani subacquei a «decine» a 4 mila metri di profondità, che vomitano magma rovente; «getti o fontane di materiali caldissimi proiettati fino a uno, due chilometri sotto il ghiaccio»; misture di «lava e gas» sparate alla velocità di 500 metri al secondo; mescolandosi con l’acqua gelata, formano «grandi nuvole sottomarine».
L’enorme e inattesa attività geotermica ha sorpreso i geofisici della «Arctic Gakkel Vents Expedition» (AGAVE), che hanno descritto i loro risultati sulla rivista «Nature». Sono stati i primi umani a vedere il «Crinale di Gakkel», una catena montuosa che attraversa per 1.800 chilometri il fondo dell’oceano artico.
La spedizione aveva il compito di indagare la causa di uno sciame di terremoti subacquei avvenuti nel 1999, tra i mesi di gennaio e settembre, originatisi in una porzione del Gakkel Ridge. E lì, nell’avvallamento dove la placca nord-americana ed eurasiatica si allontanano di una dozzina di chilometri l’anno, hanno trovato i vulcani con i segni dell’eruzione recente del ‘99.
«La scala e la grandezza dell’attività esplosiva che abbiamo visto fa scomparire al confronto qualunque altro evento constatato nelle altre faglie sub-oceaniche esplorate», ha dichiarato Rob Reves Sohn, il geofisico della Woods Hole Oceanographic Institution a capo della spedizione dei 22 scienziati di quattro Paesi che vi hanno partecipato. «Il volume di gas e lava che pare essere uscito in modo esplosivo dai vulcani di Gakkel è molto, molto più grande di qualunque altro evento noto». In particolare, la spedizione ha notato i vasti depositi di materiale che testimoniano una immane attività piroclastica; tale fenomeno si riteneva impossibile a quella profondità.» L’accumulo di energia, vapori e biossido di carbonio emesso da un vulcano non può raggiungere una tale forza da vincere la tremenda pressione della colonna d’acqua di 4 chilometri che gli grava sopra, tanto da manifestarsi come una nube piroclastica sottomarina. Così almeno si credeva. Oggi si è capito che nella faglia di Gakkel ciò è avvenuto: il che significa «l’accumulo di volume e di pressione della CO2 nel magma dev’essere stato dieci volte maggiore dei vulcani in superficie», ai quali occorre molto meno energia per produrre la nube ardente, dice Sohn. «Una titanica spuma ardente di magma gonfiato di gas deve essersi proiettata fino a due, tre chilometri di altezza sott’acqua». O forse di più, visto che la spedizione ha visto e ripreso con le telecamere ad alta definizione certe formazioni rocciose infitte verticalmente nello strato di lava da poco solidificato; simili formazioni verticali, sulla terraferma, sono interpretate come spezzoni di roccia proiettati in alto e poi ricaduti; quelli visti possono essere stati proiettati addirittura fuori dall’acqua. In pratica l’eruzione del 1999 deve essere stato un super vulcano, i cui effetti – apocalittici se il fenomeno si fosse verificato in superficie – sono stati attutiti dalla profondità e dalla pressione idrostatica dei 4 mila metri d’acqua sovrastante.
E’ già accaduto ed accadrà ancora.
Tuttavia l’eruzione del ’99 non è stata l’unica, almeno nell’ultimo secolo. Già nel 1922 il Weather Bureau statunitense indagava riguardo un’improvvisa ritirata dei ghiacci artici avvenuta quell’anno, pur senza andare a ricercare informazioni utili sul campo.
Una prova lampante, invece, risale al 1957. Così scrivono alcuni ricercatori di una base scientifica sul pack ghiacciato: “la mattina del 24 novembre, a seguito di uno sciame sismico durato tre giorni, si registrarono emissioni di anidride solforosa, movimenti della massa oceanica e profonde fratture nella banchisa, con formazione di enormi icebergs”.
Questo è il racconto di un membro dell’equipaggio a bordo della USS Skate che navigava al Polo Nord nel 1957 e in numerose altre località artiche durante le missioni del 1958 e 1959: “Il sottomarino Skate ha trovato il mare aperto sia in estate che nell’inverno successivo. Noi navigammo in superficie in prossimità del Polo Nord durante l’inverno attraverso il ghiaccio sottile inferiore a 2 piedi di spessore.” Sotto una foto scattata dal sottomarino nei pressi del Polo, estate 1958. Si nota la quasi totale assenza di ghiaccio, se non in piccoli pezzi.
Il ghiaccio polare ha uno spessore medio di 6-8 piedi, ma a causa del vento e delle forti maree (di quell’anno) il ghiaccio si rompeva e si trasforma in una larga area di mare aperto, e poi questi settori ricongelano con ghiaccio sottile. Noi avevamo apparecchiature sonar che potevano trovare queste zone di mare aperto o di ghiaccio sottile in modo da venire in superficie limitando così i danni al sommergibile.”
Anche lo scioglimento di alcune aree della Groenlandia potrebbe essere stato legato a questo fenomeno. Uno strano “hotspot” è stato scoperto nel 2007, in un angolo della parte nordorientale dell’isola, proprio in corrispondenza del sito in cui recentemente è stato scoperto un fiume di ghiaccio. Gli studiosi non sono in grado di stimare attualmente quanto sia il calore che fuoriesce, ma ritengono che possa essere sufficiente a indurre una lubrificazione della base della coltre ghiacciata, che così può scivolare più rapidamente verso il mare. Non solo. Anche in Antartide sono stati individuati numerosi vulcani di un certo potenziale, alcuni dei quali posizionati sotto il ghiaccio perenne.
Fonti: Effedieffe.it; Daltonsminima.it