Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 28 Marzoo 2018
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=47940

Negli ultimi tempi gli attacchi alle motorizzazioni diesel si sono fatti veramente martellanti. Se a Roma si è accusato il diesel di far nevicare l’inverno e causare la siccità in estate, a Milano con fare pragmatico tipicamente meneghino si è accusato il diesel di causare la quasi totalità dell’inquinamento da traffico su gomma: “lo dicono tutte le statistiche”. In attesa di sapere quali siano le statistiche di cui si parla, e in presenza di ricerche che raccontano tutt’altro, forse vale la pena provare a raccontare un’altra storia.

C’era una volta…

C’era una volta il diesel “pulito” che risolveva tutti i problemi del mondo grazie alle marmitte catalitiche, e ci liberava dalla maledetta benzina. Incolpata, quest’ultima, di averci prima avvelenato con derivati del piombo, per poi regalarci leucemie e linfomi in quantità a causa dell’aumento del tenore di idrocarburi aromatici (tenore aumentato proprio per ridurre il contenuto di piombo).

Fu una vera e propria rivoluzione: i consumatori abbandonarono in massa le auto a benzina per buttarsi sul diesel, più efficiente (e quindi economico) a causa del rendimento superiore del ciclo omonimo rispetto a quello “Otto”. Concetto noto già dal 1892 ed oggi curiosamente dimenticato.

L’industria dei carburanti si adeguò di conseguenza: la voracità della domanda riuscì a sostenere la produzione di diesel delle raffinerie europee, molto più spinta verso il gasolio rispetto alle benzine. In Europa si arriva a consumare talmente poca benzina che le raffinerie sono costrette a piazzare sul mercato extra-UE l’enorme sovrapproduzione.

Un giorno all’improvviso…

Mentre i giornaloni di tutto il mondo si dilettavano con le solite previsioni “affidabilissime” sulla imminente mancanza di petrolio, negli Stati Uniti si sviluppava la rivoluzione dello “shale oil”: una enormità di idrocarburi viene riversata sul mercato da un giorno all’altro grazie alla disponibilità di nuove tecnologie. Nell’imbarazzo generale, al cospetto della verdissima agenda dell’amministrazione Obama, il Congresso americano nel 2015 cancella il bando dell’export di petrolio, e il mondo viene annegato dal greggio americano. Come fa notare Il Foglio in un ottimo articolo sull’argomento: “Le direzioni dei prodotti le decidono i consumi, ma le destinazioni dei greggi le decidono le raffinerie”.

E infatti…

  • Grazie alla disponibilità di petrolio leggero “fatto in casa” gli Stati Uniti tagliano l’import di benzine dall’Europa, mettendo in crisi un settore già provato dal calo dei consumi, da tasse vampiresche e da legislazioni ambientali severissime. Cui si aggiunge la concorrenza sleale dei paesi emergenti, con associate azioni di dumping sostenute dai rispettivi governi.
  • Le raffinerie europee si ritrovano con un surplus monstre di benzine e non riescono comunque a soddisfare la domanda di diesel, con la conseguenza che l’Europa il gasolio lo deve importare. Da chi? Principalmente dalla Russia, che negli ultimi anni ha investito risorse ingentissime per ammodernare le sue raffinerie e soddisfare i severissimi criteri ambientali europei (Fig2).
  • Se gli USA fanno la rivoluzione con lo shale, la Russia è il convitato di pietra che silenziosamente rifornisce di gas a prezzi stracciati l’Europa, e per giunta vende agli europei stessi anche il suo diesel. Mettendosi in competizione diretta con gli USA, che non solo esportano anch’essi diesel in Europa, ma soprattutto mirano a rubare quote di mercato ai russi nel più strategico mercato del gas, grazie all’export di LNG prodotto dai loro campi shale.

Riassumendo

La prosopopea sul diesel-killer, se ben alimentata e ulteriormente tradotta in regolamenti e decisioni politiche, potrebbe ridisegnare gli scenari mondiali dell’industria della raffinazione. Proviamo a immaginare in che termini:

  • In una prima fase l’Europa riesce a riguadagnare una indipendenza dalla fornitura di diesel russo grazie alla diminuzione della domanda interna, e a piazzare sul mercato interno il suo eccesso di benzina riducendone l’export. Vince l’Europa, perde la Russia.
  • In una seconda fase, l’Europa non riesce a sostenere la richiesta di benzina a causa di deficienze strutturali del suo sistema di raffinazione e diventa importatore netto, col rischio di dover piazzare il suo gasolio in eccesso, in un mercato mondiale ancora più difficile. L’industria della raffinazione europea ne esce definitivamente distrutta. L’aumento del consumo di benzine a livello mondiale consente agli USA di smaltire il loro eccesso di produzione, e di sostenere ulteriormente il boom dello shale. Perde l’Europa, vincono gli Stati Uniti.

Abbiamo giocato con la geopolitica e l’industria della raffinazione solo per sottolineare un concetto: certe agende pseudo-ambientaliste senza alcun senso tecnologico ed ambientale sottendono ad interessi potenzialmente enormi. Si parla di posti di lavoro (600,000 gli impiegati nel settore della raffinazione nella sola Europa), di intere filiere industriali che rischiano di andare in fumo, di politiche di indipendenza energetica dalla Russia e di neo-dipendenza da partner più presentabili o semplicemente più convincenti. Forse si ritiene che il cittadino comune sia troppo stupido per comprendere questi temi, che pure hanno un loro fondamento e una loro ragion d’essere. E quindi si preferisce parlare di scemenze pseudo-ambientaliste piuttosto che giocare a carte scoperte.

A proposito…

A proposito di carte scoperte: questo è uno studio recente pubblicato sull’American Journal of Epidemiology in cui si correla la residenza in aree prossime ai distributori di benzina con l’incremento del tasso di leucemie infantili. Che gli aromatici contenuti nelle benzine (e in tasso maggiore proprio in quelle europee) causino la leucemia è un sospetto scientificamente consolidato da molti anni. Che non sia più di moda parlarne, invece, è anche questa un’altra storia. O la solita storia, se preferite.

 

PS: le figure nell’articolo sono tratte da fuelseurope.eu