Autore: Donato Barone
Data di pubblicazione: 10 Luglio 2018
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=48818

Si è chiuso da pochi giorni un workshop organizzato da ENEA incentrato sul tema dei cambiamenti climatici nel mar Mediterraneo e sulle conseguenze di tali cambiamenti sul livello del mare:

1st NATIONAL WORKSHOP ON CLIMATE CHANGE AND SEA LEVEL RISE IN THE MEDITERRANEAN SEA (qui la raccolta degli abstracts delle varie relazioni).

Nel corso dei lavori del convegno sono stati esaminati diversi problemi relativi alle variazioni del livello del mare Mediterraneo ed è impossibile riassumerli tutti in un unico post. Mi propongo, quindi, di dedicare alcuni articoli a questo argomento, focalizzando l’attenzione sugli argomenti, a mio giudizio, più interessanti tra quelli trattati dai vari relatori. In questo articolo ci occuperemo della relazione che ha maggiormente interessato i media generalisti e quelli di divulgazione:

Sea-level rise and potential drowning of the Italian coastal plains: flooding risk scenarios for 2100

Della questione si nono occupati diversi organi di stampa, telegiornali e riviste di divulgazione scientifica. Particolarmente interessante è il comunicato stampa dell’ENEA pubblicato da “Le Scienze”.

Riassumo brevemente le conclusioni del lavoro.

I ricercatori hanno cercato di modellare il livello del mare, in modo tale da poter quantificare il rischio di allagamento delle coste italiane da qui al 2100. L’intento è lodevole, in quanto consentirebbe ai decisori politici, di predisporre una serie di iniziative atte a prevenire e, soprattutto, mitigare le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare.

Chi segue queste problematiche sa che l’argomento è piuttosto spinoso, in quanto non riusciamo a quantificare in maniera esatta i contributi all’aumento del livello del mare. Abbiamo avuto modo di vedere, in passato, come i ricercatori hanno difficoltà a quantificare il contributo di massa ed il contributo sterico o volumetrico all’aumento del livello del mare a causa di due grosse fonti di incertezza: la temperatura degli oceani (contenuto di calore degli oceani, per essere più precisi) e la quantità di ghiaccio terrestre (antartico e groenlandese, principalmente) che fonde riversando in mare enormi quantità d’acqua. Per il mar Mediterraneo la questione è ancora più complessa: esso assomiglia ad un lago che viene alimentato dall’Oceano Atlantico e dal Mar Nero. Il livello del Mediterraneo è, infatti, più basso sia di quello dell’Oceano Atlantico (- 20 cm), sia di quello del Mar Nero (- 50cm). Questi “dislivelli” sono responsabili della circolazione delle acque, ovvero delle correnti marine che, a loro volta, influenzano la forma delle coste. La penisola italiana, inoltre, è sede di importanti fenomeni tettonici che determinano variazioni del livello delle coste che possono essere vantaggiosi o svantaggiosi. Se il livello del mare aumenta e quello delle coste diminuisce, infatti, si capisce che aumenta fortemente il rischio di allagamento delle coste. A questo deve aggiungersi, infine, il problema del rimbalzo post glaciale (GIA) ed il quadro appare in tutta la sua complessità.

Sulla base degli studi compiuti da un folto gruppo di ricercatori, raggruppati in diverse collaborazioni, si è potuto accertare che da qui al 2100 rischiamo di perdere qualcosa come 6000 km2 di aree costiere.

Le zone studiate sono costituite dalle aree litoranee di Oristano, Cagliari e Calledonia, in Sardegna, Tronto nelle Marche, Pescara e Sangro in Abruzzo, Granelli in Sicilia, Venezia, Lesina e Salento in Puglia, Marina di Campo in Toscana. Anche altre zone sono a rischio, ma queste citate appaiono quelle da seguire con maggiore attenzione, in quanto sono quelle che meno si elevano rispetto al livello del mare attuale.

Per poter giungere a queste conclusioni, gli autori hanno fatto ricorso ad un modello climatico ad altissima definizione adattato a livello regionale per tener conto delle peculiarità del Mediterraneo. In tale modello sono stati integrati un modello che tiene conto delle variazioni del livello delle coste per cause tettoniche, un modello che tiene conto del rimbalzo isostatico ed un modello che tiene conto del tasso di deposito di sedimenti. Si sono tenuti presenti, infine, una serie di indicatori che hanno consentito di monitorare il tasso di variazione del livello del mare Mediterraneo nel corso del tardo Olocene (struttura di stalattiti e stalagmiti all’interno di grotte marine, per esempio).

I risultati conseguiti dai ricercatori mi hanno lasciato alquanto perplesso, non per le elaborazioni modellistiche sulle quali possiamo obiettare quanto vogliamo, ma alla fine dobbiamo arrenderci all’idea che se vogliamo provare a vedere cosa succederà nel futuro, dobbiamo far ricorso per forza ai modelli, quanto per le ipotesi che gli studiosi hanno messo a base del loro lavoro. Come sa chi segue il dibattito sul tasso di variazione del livello del mare, esistono due linee di pensiero circa le risposte del livello del mare alle variazioni climatiche. Una è costituita dai modelli che potremmo definire fisici: si valuta il contributo sterico, quello di massa e, alla fine, il trend di variazione del livello del mare è dato dalla combinazione delle tendenze dei due contributi. Io sono sempre stato un convinto sostenitore di questo modo di operare, ma altri la pensano in modo diverso. L’altra linea di pensiero sfrutta il legame tra temperatura atmosferica e livello del mare: poiché una maggiore temperatura dell’atmosfera è legata ad un maggior contenuto di calore degli oceani, il livello del mare segue la temperatura atmosferica. Il livello del mare viene modellato, pertanto, utilizzando la temperatura globale come dato di prossimità: si tratta di quelli che si definiscono modelli semi-empirici.

Confrontando i risultati dei modelli semi-empirici con quelli dei modelli fisici, ci rendiamo conto che si ottengono risultati molto diversi: i primi danno tassi di variazione del livello del mare molto più grandi di quelli generati dai secondi. Personalmente sono dell’avviso che i modelli semi-empirici sopravvalutano molto il tasso di variazione del livello del mare (di almeno due o tre volte rispetto ai modelli fisici), per cui li considero poco affidabili.

Torniamo, però, al nostro problema: i ricercatori che hanno effettuato lo studio di cui ci stiamo occupando, per calcolare il tasso di variazione del livello del mare, hanno utilizzato un modello semi-empirico (Rahmstorf , 2007) e lo hanno fatto girare sotto lo scenario di emissione RCP-8.5.

Come ben sanno i lettori di CM lo scenario di emissione RCP-8.5 è quello più gravoso ed anche quello più irrealistico, in quanto l’andamento delle emissioni si sta rivelando nettamente inferiore a quanto previsto dallo scenario.

Cosa concludere? Personalmente sono del parere che i risultati dello studio sopravvalutano di molto i tassi di variazione del livello del mare per due ordini di motivi:

  • i modelli semi-empirici sopravvalutano il tasso di variazione del livello del mare;
  • lo scenario RCP-8.5 è irrealistico perché troppo gravoso.

Ne deduco che il valore di 6000 km2 di pianure costiere a rischio inondazione, è piuttosto lontano dalla realtà.

Mi si può obiettare che anche un solo km2, è troppo ed io accetto l’obiezione, ma perché non utilizzare metodiche che avrebbero dato risultati, secondo me, più aderenti alla realtà? Forse perché se avessimo parlato di poche decine di chilometri quadrati, nessuno o quasi, si sarebbe preoccupato, mentre 6000 chilometri quadrati fanno un certo effetto?

Ai posteri l’ardua sentenza!